«La luce prigioniera nella stanza» – Marcello Comitini

Foto di Hadar Ariel Magar

 

La luce prigioniera nella stanza
proietta sul soffitto grappoli di fiori
come una finta luna e poche stelle
in un cielo percorso dalle nuvole.
Assorto nel silenzio il cuore scuote le mie vene
e gli occhi fissano le immagini fluttuanti come drappi
di un amore dissolto tra le dita.
Sembra farsi lentamente più vicino
il tuo corpo, albero irrorato dalla linfa.
Tra i miei seni celi il viso
e al mio cuore giunge l’oscuro grido del tuo sguardo
come il sole che sprofonda.
La tua risata tra i miei capelli scorre
più limpida dell’acqua sotto il sole
e le tue mani di gabbiano carezzano
il profilo del mio corpo per placarne la tempesta.
S’impennano nel vento taglienti come lame
discendono a ferire
il desiderio e i fuochi accesi
all’orizzonte del mio cielo grondante di malinconia
nel tepore solitario della notte.

No, non svanire! Resta ancora!
Inganna la mia memoria
col profumo dolce del tuo sangue.

Marcello Comitini

da “Donne sole”, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

AMAZON – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020
IL MIO LIBRO – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

Paese di nebbia – Ingeborg Bachmann

 

D’inverno la mia amata
sta fra gli animali del bosco.
Ch’io sia costretto a rientrare all’alba
sa quella volpe, e ne ride.
Come rabbrividiscono le nuvole!
E sopra il mio bavero innevato
una lastra di ghiacciuoli s’infrange.

D’inverno la mia amata
è un albero fra gli alberi
e invita le cornacchie derelitte
tra i suoi rami leggiadri.
Ella sa che, quando albeggia, il vento
solleva il suo abito da sera,
rigido, ricoperto di brina,
e mi ricaccia a casa.

D’inverno la mia amata
sta fra i pesci ed è muta.
Schiavo dell’acque che la carezza
delle sue pinne internamente muove,
sto ritto alla riva,
e la guardo tuffarsi e voltolarsi,
finché lastre di ghiaccio mi allontanano.

E poi di nuovo colpito
dal richiamo di caccia dell’uccello
che sopra me drizza le ali,
stramazzo in aperta campagna:
lei spenna i polli e mi getta
una bianca clavicola. In mezzo
all’amaro pulviscolo di piume
intorno al collo me l’appendo e scappo.

La mia amata è infedele.
So che talora librata
sugli alti tacchi se ne va in città,
e bacia nei bar con la cannuccia
profondamente la bocca dei bicchieri,
e trova parole per tutti.
Ma tale linguaggio io non intendo.

Paese di nebbia ho veduto,
cuore di nebbia ho mangiato.

Ingeborg Bachmann

(Traduzione di Maria Teresa Mandalari)

da “Ingeborg Bachmann, Poesie”, Guanda, Parma, 1978

∗∗∗

Nebelland

Im Winter ist meine Geliebte
unter den Tieren des Waldes.
Daß ich vor Morgen zurückmuß,
weiß die Füchsin und lacht.
Wie die Wolken erzittern! Und mir
auf den Schneekragen fällt
eine Lage von brüchigem Eis.

Im Winter ist meine Geliebte
ein Baum unter Bäumen und lädt
die glückverlassenen Krähen
ein in ihr schönes Geäst. Sie weiß,
daß der Wind, wenn es dämmert,
ihr starres, mit Reif besetztes
Abendkleid hebt und mich heimjagt.

Im Winter ist meine Geliebte
unter den Fischen und stumm.
Hörig den Wassern, die der Strich
ihrer Flossen von innen bewegt,
steh ich am Ufer und seh,
bis mich Schollen vertreiben,
wie sie taucht und sich wendet.

Und wieder vom Jagdruf des Vogels
getroffen, der seine Schwingen
über mir steift, stürz ich
auf offenem Feld: sie entfiedert
die Hühner und wirft mir ein weißes
Schlüsselbein zu. Ich nehm’s um den Hals
und geh fort durch den bitteren Flaum.

Treulos ist meine Geliebte,
ich weiß, sie schwebt manchmal
auf hohen Schuh’n nach der Stadt,
sie küßt in den Bars mit dem Strohhalm
die Gläser tief auf den Mund,
und es kommen ihr Worte für alle.

Doch diese Sprache verstehe ich nicht.
Nebelland hab ich gesehen,
Nebelherz hab ich gegessen.

Ingeborg Bachmann

da “Anrufung des Großen Bären”, Piper Verlag GmbH, München/Berlin, 1956

Castelli in aria – Moka

Constant Puyo, Im Schilf, 1903

 

Castelli in aria ne costruisco
a ogni battito di ciglia,
madreperlacee trasparenze
tra me e il mondo efferato,
una placenta che mi protegge e m’affoga
tra le sue verità ispide
come gli occhi pungenti
di chi sa capire
e i sogni gelatinosi raccolti
come le more, d’estate,
nel meriggio lacustre,
nelle accaldate passeggiate a piedi nudi,
nell’abbandono assoluto dei campi assolati.

Moka

da “Nella mia selva sgomenta la tigre”, Le Mezzelane Casa Editrice, 2018

Nella mia selva sgomenta la tigre – AMAZON
Nella mia selva sgomenta la tigre – IBS
Nella mia selva sgomenta la tigre – Le Mezzelane Casa Editrice

Nostalgia del presente – Antonis Fostieris

Geoffrey Johnson

 

Ho nostalgia del presente che vivrò.
(L’attesa si accorda bene con la memoria:
Entrambe alterano il più possibile
La sventurata realtà. Lo vedi.)

Quali eventi escogiteranno ancora
La mia partecipazione? Quale variopinto
Straccio di passione
Interpreterà di nuovo il ruolo della porpora?
Mi stupisco
Di quanto velocemente faccia effetto la noia. Se conoscessi
La matematica dei sentimenti correrei
Immobile come Achille (idea di Zenone)
Più lento della mia vita tartaruga.

        Meglio non aver fretta.
Come puoi osare sorpassi con il clacson
Quando davanti a te stanno in coda gli inferi.

Come puoi presumere una qualunque cosa accaduta,

                    In questo remotissimo presente.

Antonis Fostieris

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Il pensiero appartiene al dolore (1966)”, in “Nostalgia del presente”, Crocetti Editore, 2021

∗∗∗

Νοσταλγῶ τό παρόν

Νοσταλγῶ τό παρόν πού θά ζήσω.
(Ἡ προσδοϰία ταιριάζει στήν ἀνάμνηση:
Κι οἱ δυό παραχαράζουν ὅσο δύνανται
Τήν ἀτυχή πραγματιϰότητα. Τό βλέπεις).

Ποιά γεγονότα θά μηχανευτοῦνε πάλι
Τή συμμετοχή μου; Ποιό ἔγχρωμο
Κουρέλι πάθους πρόϰειται
Νά ὑποδυθεῖ ἐϰ νέου τήν πορφύρα;
Ἐϰπλήττομαι
Μέ τήν ταχύτητα πού ἐπενεργεῖ ἡ πλήξῃ. Ἂν ἤξερα
Τά μαθηματιϰά τῶν αἰσθημάτων θά ἕτρεχα
Ἀϰίνητος σάν Ἀχιλλέας (ἰδέα τοῦ Ζήνωνα)
Πιό πίσω ἀπ’ τή χελώνα ζωή μου.

         Ἂς μή βιαζόμαστε.
Πῶς νά τολμήσεις προσπεράσματα μέ ϰόρνες
Ὅταν μπροστά σου μποτιλιάρονται τά ἐρέβη.

Πῶς νά εἰϰάσεις ὅ,τι ϰι ἂν συνέβη,

      Στό ἀπώτατο ἐτοῦτο παρόν.

Ἀντώνης Φωστιέρης

da “Ἡ σκέφη ἀνήχεί λίπνη”, 1996 

Paese d’assenza – Gabriela Mistral

Foto di Paz Errázuriz

 

Paese d’assenza
bizzarro paese
più leggero d’angelo
e gesto sottile,
color d’alga morta,
colore di nibbio,
con l’età di sempre,
senza età felice.

Non dà melograni,
non dà gelsomini,
e non ha né cieli
né mari di viola.
Il nome suo, il nome,
mai gliel’ho sentito,
e in paese senza nome
io morirò.

Né ponte né barca
mi ha portato qui.
Non me lo hanno detto
per isole o terre.
Io non lo cercavo
né poi l’ho scoperto.

E sembra una fiaba
che ho già imparato,
sogno da prendere
e poi da lasciare.
È la patria dove
vivere e morire.

Mi è nato da cose
che non son paese;
da patrie e patrie
che ho avuto e perduto;
da quelle creature
che ho visto morire;
da ciò che era mio
e mi ha abbandonato.

Ho perso montagne
su cui ho dormito;
ho perso orti d’oro
dolcezza di vita;
ho perso le isole
di canna e di viola,
e le loro ombre
le vidi a me stringersi
e avvinte e amanti
farsi anche paese.

Criniere di nebbia
senza dorso e nuca,
respiri assopiti
li vidi seguirmi,
e in anni erranti
diventar paese,
e in paese senza nome
io morirò.

Gabriela Mistral

(Traduzione di Matteo Lefèvre)

da “Taglio del bosco, 1938”, in “Canto che amavi”, Marcos y Marcos, Milano, 2010

∗∗∗

País de la ausencia

País de la ausencia
extraño país
más Ujier o que ángel
y seña sutil
color de alga muerta,
color de neblí,
con edad de siempre,
sin edad feliz.

No echa granada,
no cría jazmín,
y no tiene cíelos
ni mares de añil.
Nombre suyo, nombre,
nunca se lo oí,
y en país sin nombre
me voy a morir.

Ni puente ni barca
me trajo hasta aquí.
So me lo contaron
por isla o país.
Yo no lo buscaba
ni lo descubrí.

Parece una fábula
que ya me aprendí,
sueño de tomar
y de desasir.
Y es mi patria donde
vivir y morir.

Me nació de cosas
que no son país;
de patrias y patrias
que tuve y perdí;
de las maturas
que yo vi morir;
de lo que era mío
y se fue de mí.

Perdí cordilleras
en donde dormí;
perdí huertos de oro
dulces de vivir;
perdí yo las islas
de caña y añil,
y las sombras de ellos
me las vi ceñir
y juntas y amantes
hacerse país,

Guedejas de nieblas
sin dorso sin cerviz,
alientos dormidos
me los vi seguir,
y en años errantes
volverse país,
y en país sin nombre
me voy a morir.

Gabriela Mistral

da “Tala”, Poemas, Editorial Sur, 1938