Un’apparizione – Giancarlo Pontiggia

Toni Schneiders, Self Portrait, 1952

 

È notte, sei
tra le cose del mondo, le cose
solide, vaganti, che si sfanno
in altre cose: cose
su cose, nell’imo che fermenta,
e sprofondi
nella vita che è, nel tutto
che s’invasa in uno, prima
di sfarsi nel crivello della mente

stridi, becchi, blaterii
buchi di lingua, suoni
che si torcono, stipano,
si ammaccano
ed è lì, lei, fa un cenno
l’ombra funesta, troppo amata,
fa freddo, com’è troppa la stagione,
con che tenaglie stride, si torce, scuote

le lusinghe del mondo, «dov’è che sei?»
le chiedo, nel gelo
di biglia delle cose
«sei cosa o altro?», mentre delira
in delirio il mondo, si sfarina, ed io
«non ho tempo per questo
struggimento stupido, doloroso, di’

soltanto se sei o no»
ma lei: «di’ tu, piuttosto, di’
qualcosa che valga
per me, per noi, che ti guardiamo», e va
per una strada che non conosco, va, dove non è
altro che lei, che loro, lì, nella gran fossa

del firmamento algido, stipato
di roba ultima, vagante, «di’, se sai, qualcosa
che valga la pena», continua
stridendo come una stupida
ferraglia

e fa cenno, nel non so dove del sonno, nel
ben maturato senno della mente
a qualcosa che si cela, s’infima
in brividi, in onde

di niente, di poco – cosa
che si fa cosa, verbo
che s’intana

in una lingua di troppo gelo,
di solo, forse,

vuoto?

Giancarlo Pontiggia

da “Il moto delle cose”, “Lo Specchio” Mondadori, 2017

Lo scorso settembre… – Philip Schultz

Foto di William Gedney

QUATTRO
11.

Lo scorso settembre
il dott. O. mi chiese se
non sarebbe meglio essere
un po’ meno fissato
a contemplare l’esodo
di formiche idiote che attraversano
lente il voluttuoso
deserto della
mia coscienza…
a non essere invitato
così spesso allo spettacolo
di Dio da sempre in scena,
Erranti senza ali.
Non so come andare avanti,
dissi, non l’ho mai saputo
perché
fa molto male.
Sì, rispose, lo so,
sì, è così.

Philip Schultz

(Traduzione di Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli e Paola Splendore)

da “Erranti senza ali”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2016

∗∗∗

FOUR
11.

Last September
Dr. O. asked if I
wouldn’t prefer to be
a tad less obsessed
with watching an exodus
of imbecile ants inch
across the voluptuous
wilderness of
my consciousness…
with not being called
quite so often to God’s
longest-running spectacle,
The Wandering Wingless?
I don’t know how to proceed,
I said, I never knew
because
it hurts so bad.
Yes, it does, he said,
Yes, indeed.

Philip Schultz

da “The Wandering Wingless”, in “Failure”, Harcourt Books, 2007

Scavalcamento ventrale – Milo De Angelis

Milo De Angelis, foto di Viviana Nicodemo

Abbandona quest’eco di giustizia, cedi alla sproporzione.
                                    Piero Bigongiari

L’ho riconosciuta da lontano, dalla rincorsa
a nove passi, dalla maglietta rossa
e prestigiosa che le donò Stepanenko, nel 1961.
L’ho riconosciuta da lontano. E poi Milano
è rinchiusa nell’ovale del Pirelli, nella sua
breve pedana, che sbuca su un’asticella
bianca e nera, sugli infiniti corpi che ha sfiorato.

Mi viene incontro e all’improvviso
la sua voce incide una lesione, non so quale,
un nulla temporale, un sortilegio
di vetri e macerie, mentre il cielo
di febbraio troppo forte portava via gli asciugamani,
apriva tutte le porte, spopolava le tribune.
Non so quale dio ferito a morte
urlava dentro lei, quale oscura
sorte l’atterriva, quale dentro la gola
guerriera e sbarrata da un filo di silenzio: l’attimo
è contato eppure si dilunga,
si conficca dentro il prato e il pensiero
vortica intorno. Così il creato è solo un’unghia
e ciascuno può cambiare la sua nascita,
le statue camminare e, sorridendo,
avvertirci che hanno un’ombra. Di lei
ignoravo proprio quest’ombra.
Trascorre un istante
di questo millennio. Non conoscerò il suo respiro
di saltatrice immacolata, il volo dove è stata
felice, il fazzoletto
dei secondi essenziali, il tendersi perfetto
dei dorsali, che una goccia di sudore ha benedetto:
quelle ciglia
in cui brillava un ventaglio di grazia,
si apersero imploranti,
un battito di incanti animò la pista
e la sua luce calcinata, entrò nelle docce, nella conquista
dei giochi studenteschi, delle supreme
alleanze, dei blocchi di partenza, degli affreschi
dove ognuno getta il seme di se stesso,
dove prima, dove adesso ognuno resta insieme
a quest’odore di carbonella e spogliatoi
e forma il luogo intero, il codice terrestre, il vero
prodigio materiale e celeste, la disciplina
dei corpi che trovano dimora, l’amore che confina
con la sua suprema ombra, i forti
battiti di una falcata sulla pista, l’ora
delle nostre prime morti.
Non conoscerò quel respiro
di acrobata lucente, il volo che sprigiona
quella forza in piena luce… la chiarezza
del suo corpo di amazzone fanciulla
l’ho desiderata, come a volte si desidera, tra i luoghi,
il più visibile.
«Ma non sarà questo minuto, non sarò io…
… sarà un’antica promessa, un saluto, forse sarà Dio
ad amare ciò che non hai voluto di te stessa».

Milo De Angelis

da “Biografia sommaria”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998

Amore – Antonella Anedda

Foto di René Groebli

Assomiglia a un pigiama?
Il suo odore fa pensare a un lama?
Wystan Hugh Auden,
Oh, dite che cos’è davvero Amore

 

Somiglia a un pigiama e ha un odore di lama
e ci sono altre cose: l’asciugamano che si può scambiare
le poltrone vicine davanti al televisore
l’insofferenza per le reciproche mancanze
che però si svuota come si fa con le buste della spesa.
Molte leggende, il sesso sopravvalutato
ma non la solitudine che segue.

Il resto è molto poco.
Quando morí mia madre mio padre radunò i vestiti,
se li mise sul petto, un cumulo di stoffa
e restò a lungo cosí, sotto quel peso di calore,
una notte e un giorno,
per poi alzarsi e innaffiare
le piante già secche sul balcone.

Antonella Anedda 

da “Historiae”, Einaudi, Torino, 2018

Accecante – Angela Botta

Angela Botta

 

Credo di non aver compreso
è tutto fermo
ignobile come una farsa voluta
dal potere
dall’ignoranza
dalla passione dei clown.
In quella zona vuota
ho lasciato parte del mio corpo.
Replica dell’assurdo c’erano
tutte le mie mani.
Pittura di sangue nero fuoco
veloce e didascalica come urlo
prima del pianto
e mentre tu mi aspettavi
passavano gli anni in divenire cieco.
Li ho dipinti di seppia e nero fumo
proprio lì dove i palazzi sventrati
erano scenario del nostro vivere.
Ricordi quanto ero bella?
Nuda sul prato vuoto
avevo la forma delle sirene
e il bianco e nero degli autostoppisti
del grigio del cielo.
Forse Pasolini ci spiava
guardando tutte le coppie
che si stagliavano come arcobaleni
sulla città amata come vergine d’ombra.
Non ci siamo mai posseduti
mai capiti forse
e abbiamo vissuto bambini
tutte le umidità del mondo
stesi a guardare nel cielo
strane stelle
in quel punto del vuoto
dove gli occhi
trasformavano la carta straccia
in splendore di aironi.

Angela Botta