Ciocca di capelli – Paul Celan

Foto di Nastya Kaletkina

 

Ciocca, che non intrecciai, che lasciai al vento,
che si fece bianca per il suo andare e venire,
che si staccò dalla fronte da me sfiorata
nell’anno delle fronti – :

questa è una parola che si muove
per amor di vedretta,
una parola che affisò lo sguardo alle nevi,
quando io, recinto da un’estate di occhi,
scordai il sopracciglio che tu spiegavi sopra di me,
una parola che mi evitò
quando il labbro mi sanguinava di linguaggio.

Questa è una parola che si aggirava accanto alle parole,
una parola sul modello del silenzio,
recinta da cespugli di pervinca e di afflizione.

Qui calano giú le lontananze,
e tu,
un fioccoso astro di capelli,
qui scendi come neve
fino a toccare la terrosa bocca.

Paul Celan

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “Di soglia in soglia”, Einaudi, Torino, 1996

∗∗∗

Strähne

Strähne, die ich nicht flocht, die ich wehn ließ,
die weiß ward von Kommen und Gehen,
die sich gelöst von der Stirn, an der ich vorbeiglitt
im Stirnenjahr –:

dies ist ein Wort, das sich regt
Firnen zulieb,
ein Wort, das schneewärts geäugt,
als ich, umsommert von Augen,
der Braue vergaß, die du über mich spanntest,
ein Wort, das mich mied,
als die Lippe mir blutet’ vor Sprache.

Dies ist ein Wort, das neben den Worten einherging,
ein Wort nach dem Bilde des Schweigens,
umbuscht von Singrün und Kummer.

Niedergehn hier die Fernen,
und du,
ein flockiger Haarstern,
schneist hier herab
und rührst an den erdigen Mund.

Paul Celan

da “Von Schwelle zu Schwelle”, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart, 1955

L’ascensore – Giorgio Caproni

Foto di Alfred Eisenstaedt

 

Quando andrò in paradiso
non voglio che una campana
lunga sappia di tegola
all’alba – d’acqua piovana.

Quando mi sarò deciso
d’andarci, in paradiso
ci andrò con l’ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ci andrò rubando (forse
di bocca) dei pezzettini
di pane ai miei due bambini.
Ma là sentirò alitare
la luce nera del mare
fra le mie ciglia, e… forse
(forse) sul belvedere
dove si sta in vestaglia,
chissà che fra la ragazzaglia
aizzata (fra le leggiadre
giovani in libera uscita
con cipria e odor di vita
viva) non riconosca
sotto un fanale mia madre.

Con lei mi metterò a guardare
le candide luci sul mare.
Staremo alla ringhiera
di ferro – saremo soli
e fidanzati, come
mai in tanti anni siam stati.
E quando le si farà a puntini,
al brivido della ringhiera,
la pelle lungo le braccia,
allora con la sua diaccia
spalla se n’andrà lontana:
la voce le si farà di cera
nel buio che la assottiglia
dicendo «Giorgio, oh mio Giorgio
caro: tu hai una famiglia».

E io dovrò ridiscendere,
forse tornare a Roma.
Dovrò tornare a attendere
(forse) che una paloma
blanca da una canzone
per radio, sulla mia stanca
spalla si posi. E alfine
(alfine) dovrò riporre
la penna, chiuder la càntera:
«È festa», dire a Rina
e al maschio, e alla mia bambina.

E il cuore lo avrò di cenere
udendo quella campana,
udendo sapor di tegole,
l’inverno dell’acqua piovana.

Ma no! se mi sarò deciso
un giorno, pel paradiso
io prenderò l’ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ruberò anche una rosa
che poi, dolce mia sposa,
ti muterò in veleno
lasciandoti a pianterreno
mite per dirmi: «Ciao,
scrivimi qualche volta»,
mentre chiusa la porta
e allentatosi il freno
un brivido il vetro ha scosso.

E allora sarò commosso
fino a rompermi il cuore:
io sentirò crollare
sui tegoli le mie piú amare
lacrime, e dirò «Chi suona,
chi suona questa campana
d’acqua che lava altr’acqua
piovana e non mi perdona?»

E mentre, stando a terreno,
mite tu dirai: «Ciao, scrivi»,
ancora scuotendo il freno
un poco i vetri, tra i vivi
viva col tuo fazzoletto
timida a sospirare
io ti vedrò restare
sola sopra la terra:

proprio come il giorno stesso
che ti lasciai per la guerra.

Giorgio Caproni

da “Il «Terzo libro» e altre cose”, Einaudi, Torino, 1968

Istruzioni per i lettori di giornali – Horst Bienek

Stanley Kubrick, Passengers reading in a subway car, New York, 1946

I

Verificate ogni parola
verificate ogni riga
             non dimenticate mai
             con una tesi
             è possibile
             esprimere anche l’antitesi

II

Diffidate dei titoli
scritti in grassetto
            nascondono le cose piú importanti
diffidate degli articoli di fondo
             delle inserzioni
             delle quotazioni
             delle lettere al direttore
e delle interviste di fine settimana
anche i sondaggi di opinione
            sono manipolati
            le notizie varie escogitate
            da redattori furbetti
diffidate della terza pagina
           delle critiche teatrali i libri
           per lo piú sono migliori dei loro recensori
leggete quello che loro hanno sottaciuto
diffidate anche dei poeti
              in loro tutto suona
              piú bello anche piú atemporale
             ma non è piú vero né piú giusto

III

Non prelevate niente senza averlo verificato
né le parole né le cose
né il conto e neppure la bicicletta
           né il latte e neppure l’aragosta
           né l’uva e neppure la neve
afferratelo, assaggiatelo, rigiratelo da tutte le parti
mettetevelo tra i denti come una moneta
resiste? ne siete contenti?

IV

Il fuoco è ancora fuoco e il fogliame ancora fogliame
l’aereo è aereo e la rivolta rivolta
una rosa è ancora una rosa?

Non smettete mai
            di diffidare dei vostri giornali
            anche quando cambiano i redattori
            o i governi

Horst Bienek

(Traduzione di Roberto Fertonani)

da “Giovani poeti tedeschi”, Einaudi, Torino, 1969

∗∗∗

Anweisung für Zeitungsleser

I

Prüft jedes Wort
prüft jede Zeile
           vergeßt niemals
           man kann
           mit einem Satz
           auch den Gegen-Satz ausdrücken

II

Mißtraut den Überschriften
den fettgedruckten
            sie verbergen das Wichtigste
mißtraut den Leitartikeln
           den Inseraten
           den Kurstabellen
           den Leserbriefen
und den Interviews am Wochenende
auch die Umfragen der Meinungsforscher
           sind manipuliert
           die Vermischten Nachrichten von findigen
           Redakteuren erdacht
mißtraut dem Feuilleton
           den Theaterkritiken die Bücher
           sind meistens besser als ihre Rezensenten
lest das was sie verschwiegen haben
mißtraut auch den Dichtem
          bei ihnen hört sich alles
          schöner an auch zeitloser
          aber es ist nicht wahrer nicht gerechter

III

Übernehmt nichts ohne es geprüft zu haben
nicht die Worte und sucht die Dinge
nicht die Rechnung und nicht das Fahrrad
           nicht die Milch und nicht den Hummer
           nicht die Traube und nicht den Schnee
faßt es an schmeckt es dreht es nach allen Seiten
nehmt es wie eine Münze zwischen die Zähne
hält es stand? seid ihr zufrieden?

IV

Ist Feuer noch Feuer und Laub noch Laub
ist Flugzeug Flugzeug und Aufstand Aufstand
ist eine Rose noch eine Rose?

Hört nicht auf
           euren Zeitungen zu mißtrauen
           auch wenn die Redakteure
           oder Regierungen wechseln

Horst Bienek

da “Aussichten”, a cura di Peter Hamm, Biederstein-Verlag, München, 1966 

Canzoncine – Milo De Angelis

Foto di Jonas Hafner

   
   Scala F

Con l’esametro di un gatto bianco e nero
e le alberelle serene nella pioggia,
il tuo sguardo diventava astronomia
e tutto era vasto e fuori tempo e tutti
gli incubi, per un intero pomeriggio,
mi lasciarono.

Via Selvanesco

Fu il rosa tenue del cielo, la salmodia
dei corpi vivi nella risaia, fu quel
presente di spighe
che la terra sprigionava
per noi, pattuglia di due anime:
come rintocca quell’ostinato
silenzio dei crepuscoli,
tu ritorni da un refolo di vento.

Via Selvanesco, ancora…

Con una sciarpa viola ti alzi
dalla risaia e mi raggiungi, drastica presa
che tiene congiunti: c’è ancora un grido
tra i chicchi incantati e consenzienti
e ogni cosa per noi sembra creata.

Puntaspilli

L’ultima frase sfiora la prima. Quella
corsa, tra le colline del moscato,
portò dio nel nostro nome,
nella porpora dei capelli, cronaca
della terra, parola per parola.

Punteggio

Fu una rara edizione del nulla,
un nulla fiorito d’estate, brusio
di terra rossa e presagi, un nulla
vicino al suo rovescio di fanciulla
tra erba e colletto, tra ventaglio
e firmamento,
gioia e fine avvinghiate
in una sola melodia, lo spazio
di nessuno dove avviene l’incontro.

Inchiostro nero

La vita esce dal quaderno
a righe, stamattina, svolge i pensieri,
supera i ponti, getta le sillabe
in un fiume di acque lunari e di ragazze
disperate per un corpo da niente
un cenno delle labbra,
una tenerezza protesa nel vuoto.

Cum più ablativo

Il nostro pensiero cercava la carne
nel guizzo del pallone e nell’estasi del prato,
luci dello scatto, legni colpiti, case
aperte al primo sguardo, aveva il volto
nudo dell’estate, di ogni estate. Cosa avvenne
lo ignoro. Non siamo tornati mai più.

19 marzo

Tra oscure severità
è apparsa lei, la giocatrice
dalle due finte, e ogni vita
fu illuminata
alle soglie dei cipressi
si squarciò la notte minerale
si colmarono i prestiti della mente

e questo paesaggio
con le sue innocenze sibilline
con i suoi vuoti d’aria e di cuore
entra nell’intero musicale
si rigenera morendo

allora fu eroica l’estate
delle nostre battaglie, fu una sapienza
di tiri e passaggi
dove la linea fiorisce
nell’atto di una squadra, nel giro
dell’aquila, nelle assemblee del vento

noi a strappi, noi
appoggiati a un pioppo
siamo il sangue
di un attimo, siamo
le prime corse nell’ombra, siamo
rimasti.

Voci
I

Ci frastorna questa furia di voci, foglie
nello spazio tra due corpi, antiche
camere d’albergo cadono in cortile
come una frazione di noi
e noi cominciamo la parafrasi.

II

… allora mi chiamò un drappello
di anime sole… scostarono le tende bisbigliando,
si avvicinarono alle grandi vetrate del tempo…
una salmodia di numeri e vento… quello fu l’atto
… il solo atto consentito…
quell’andarsene dei cortili nel buio.

III

“l’invisibile assedia il computer
ciò che hai
perduto ora ti raggiunge
ciò che abbiamo
scordato parlerà nel ticchettio
della partita, nel raziocinio
dei minuti, nella vigilia
sconfinata che ti chiama”

IV

nel buio senza notte,
un arbusto di parole fu condotto fino a noi
ed erano semplici parole dal viso denudato
era la donna che parlava di un dono,
di un gelido dono…
… questo è il fiume dove ti attendo…
ricordati di me… sono stata la prima…
sono acqua, acqua che beve se stessa…

V

si spezza il tempo, si oscura
il paesaggio, noi ci siamo persi
tra i gessetti di una stanza…
… questa voce dimezzata
era la nostra… era la parola
cancellata dal documento, la sete
che cerca il suo cammino, il raggiro
dei ricordi… era il drastico
inizio di un amore…

VI

insegnatemi il cammino, voi che siete
stati morti, attingete la nostra
verità dal pozzo sigillato, staccatevi dal tempo
e portateci oltre le tragiche colonne
tra i fari dei camion e un piumino
getteremo le più alte
astrazioni in un sussulto di fiammiferi,
torneremo a casa, vi diremo.

Milo De Angelis

da “Quell’andarsene nel buio dei cortili”, “Lo Specchio” Mondadori, 2010

T’amo – Paul Éluard

Yves Pires, Le baiser, 2012

 

T’amo per tutte le donne che non ho conosciuto
T’amo per tutte le stagioni che non ho vissuto
Per l’odore d’altomare e l’odore del pane fresco
Per la neve che si scioglie per i primi fiori
Per gli animali puri che l’uomo non spaventa
T’amo per amare
T’amo per tutte le donne che non amo

Sei tu stessa a riflettermi io mi vedo cosí poco
Senza di te non vedo che un deserto
Tra il passato e il presente
Ci sono state tutte queste morti superate senza far rumore
Non ho potuto rompere il muro del mio specchio
Ho dovuto imparare parola per parola la vita
Come si dimentica

T’amo per la tua saggezza che non è la mia
Per la salute
T’amo contro tutto quello che ci illude
Per questo cuore immortale che io non posseggo
Tu credi di essere il dubbio e non sei che ragione
Tu sei il sole forte che mi inebria
Quando sono sicuro di me.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

***

Je t’aime

Je t’aime pour toutes les femmes que je n’ai pas connues
Je t’aime pour tous les temps où je n’ai pas vécu
Pour l’odeur du grand large et l’odeur du pain chaud
Pour la neige qui fond pour les premières fleurs
Pour les animaux purs que l’homme n’effraie pas
Je t’aime pour aimer
Je t’aime pour toutes les femmes que je n’aime pas

Qui me reflète sinon toi-même je me vois si peu
Sans toi je ne vois rien qu’une étendue déserte
Entre autrefois et aujourd’hui
Il y a eu toutes ces morts que j’ai franchies sur de la paille
Je n’ai pas pu percer le mur de mon miroir
Il m’a fallu apprendre mot par mot la vie
Comme on oublie

Je t’aime pour ta sagesse qui n’est pas la mienne
Pour la santé
Je t’aime contre tout ce qui n’est qu’illusion
Pour ce cœur immortel que je ne détiens pas
Tu crois être le doute et tu n’es que raison
Tu es le grand soleil qui me monte à la tête
Quand je suis sûr de moi.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963