Anniversario – Gesualdo Bufalino

Edward Weston, Tina Modotti, 1923

 

La festa abbaglia ancora i tuoi balconi
e il mare, sale una rosa di luce
antica sul tuo viso, ogni bengala
nel giro negro e veloce degli occhi
ti si ripete, e la musica fiera
degli spari: chissà se tu ripensi
il tuo cuore d’altranno, e le parole
che ci gridammo d’amore, sospesi
sui colori violenti della folla,
chissà se tu rammenti la mia voce.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, in “Gesualdo Bufalino, Opere 1981 – 1988”, Bompiani, 2006

Mia lingua fedele – Czesław Miłosz

Foto di Tomasz Tomaszewski

 

Mia lingua fedele,
ti ho ser­vito.
Ogni notte ti met­tevo davanti le sco­del­line dei colori,
per­ché tu avessi e la betulla e la caval­letta e il ciuf­fo­lotto
con­ser­vati nella mia memoria.

È stato così per molti anni.
Sei stata la mia patria per­ché un’altra è man­cata.
Pen­savo che avre­sti fatto da inter­me­dia­ria
fra me e le per­sone buone,
non fos­sero che venti, dieci,
o ancora doves­sero nascere.

Ora rico­no­sco di dubi­tare.
Ci sono momenti in cui mi sem­bra di aver sciu­pato la vita.
Per­ché tu sei la lin­gua degli umi­liati,
la lin­gua degli insen­sati e di coloro che odiano
se stessi forse ancor più degli altri popoli,
la lin­gua dei con­fi­denti,
la lin­gua dei con­fusi,
malati della pro­pria innocenza.

Ma senza di te chi sono.
Solo un pedante in qual­che paese lon­tano,
un suc­cess senza paura e umi­lia­zioni.
Be’ sì, chi sono senza di te.
Un filo­sofo come tutti.

Capi­sco, que­sta deve essere la mia edu­ca­zione:
la glo­ria all’individualità sot­tratta,
al Pec­ca­tore d’una Mora­lità
il Gran Borioso stende sotto il tap­peto rosso,
men­tre la lan­terna magica
getta sulla tela imma­gini di umana e divina sofferenza.

Mia lin­gua fedele,
eppure forse io ti devo sal­vare.
Con­ti­nuerò per­ciò a met­terti davanti sco­del­line di colori
chiari e puliti se pos­si­bile,
per­ché nell’infelicità occorre una qual­che armo­nia e bellezza.

Czesław Miłosz

Berkeley, 1968

(Traduzione di Pietro Marchesani)

da “Città senza nome”, in “Czesław Miłosz, Poesie”, Adelphi, 1983

∗∗∗

Moja wierna mowo

Moja wierna mowo,
służyłem tobie.
Co noc stawiałem przed tobą miseczki z kolorami,
żebyś miała i brzozę i konika polnego i gila
zachowanych w mojej pamięci.

Trwało to dużo lat.
Byłaś moją ojczyzną bo zabrakło innej.
Myślałem że będziesz także pośredniczką
pomiędzy mną i dobrymi ludźmi,
choćby ich było dwudziestu, dziesięciu,
albo nie urodzili się jeszcze.

Teraz przyznaję się do zwątpienia.
Są chwile kiedy wydaje się, że zmarnowałem życie.
Bo ty jesteś mową upodlonych,
mową nierozumnych i nienawidzących
siebie bardziej może od innych narodów,
mową konfidentów,
mową pomieszanych,
chorych na własną niewinność.

Ale bez ciebie kim jestem.
Tylko szkolarzem gdzieś w odległym kraju,
a success, bez lęku i poniżeń.
No tak, kim jestem bez ciebie.
Filozofem takim jak każdy.

Rozumiem, to ma być moje wychowanie:
gloria indywidualności odjęta,
Grzesznikowi z moralitetu
czerwony dywan podścieła Wielki Chwał,
a w tym samym czasie latarnia magiczna
rzuca na płótno obrazy ludzkiej i boskiej udręki.

Moja wierna mowo,
może to jednak ja muszę ciebie ratować.
Więc będę dalej stawiać przed tobą miseczki z kolorami
jasnymi i czystymi jeżeli to możliwe,
bo w nieszczęściu potrzebny jakiś ład czy piękno.

Czesław Miłosz

Berkeley, 1968

da “Miasto bez imienia”, Instytut Literacki, Paryż, 1969

Dolore – Giovanni Raboni

Foto di Florence Henri

 

Tu e le tue fissazioni! mi vien voglia
di rinfacciarti le mie piaghe,
quelle sí cancrenose, immedicabili…
Ma no, sbaglio. Non io, tu sei l’erede
d’una sacra penuria,
te e i tuoi da sempre ha saccheggiato il cielo.
C’è piú tristezza nel tuo lutto
per un gioco perduto, per una bambola squartata
che nel mio per il novero dei morti
che colleziono da una vita.
È piú giusta, ha piú stoffa la tua pena.
E intanto non riesco a consolarti,
mio affamato, tremante, altero amore!
Non rispondi, mi guardi
come, ma sí, come un nemico di classe
se cerco di distrarti,
se ti ricatto con la tenerezza…
Ma credimi, tesoro, che non voglio rubartelo
l’osso del tuo dolore.

Giovanni Raboni

da “A tanto caro sangue”, (1956-1987), in “Tutte le poesie”, Einaudi, Torino, 2014

Romanza – Angelo Maria Ripellino

Foto di Josef Sudek

 

Su Kampa bisbigliava quella notte
il salice dei sogni; all’altra riva
i vecchi tram sul lungofiume Masaryk
guizzavano in un bosco di fanali.

«Addio, – dicevi al vento della notte –
prima che fugga il mio amore lontano,
vorrò cantare Tu červenou sukynku,
in questa luce di lilla e di neve».

Come in un bianco ghiacciaio, sullo specchio
del fiume vacillavano i gabbiani.
Quei gabbiani che via dal lago Máchovo
volano dentro la luna d’aprile.

Nei giorni del distacco, l’illusione
su una tastiera batteva di neve;
sulla bocca del tempo aveva nido
un vento amaro come l’atropina.

Sono spavalde sempre le promesse,
come la prima pioggia dei sobborghi,
e i presagi sul falso davanzale
cadono come neve dentro un orcio.

Era la notte, un pàlpito di favole,
erano infusi in un freddo sciroppo
ponti, gabbiani, tremolìo di salici,
e le speranze, e il nulla, e il nostro sangue.

Dai lembi della notte apparve l’alba,
come una febbre, e il guscio della luna
cadde nel fiume, mentre tu cantavi
in una luce di lilla e di làcrime.

Angelo Maria Ripellino

da “Angelo Maria Ripellino, Poesie prime e ultime”, Torino, Aragno, 2006

Elegia – Nikos Gatsos

Foto di Herbert List

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel fuoco del tuo occhio un giorno avrà sorriso Dio
La primavera avrà chiuso là il suo cuore come perla di un’antica sponda.
Ora che dormi luminoso
Nei campi ghiacci dove le viti selvatiche
Son divenute ali imbalsamate colombe di marmo
Muti figli dell’attesa –
Volevo tu venissi una sera come una nube gonfia
Alito della roccia brina dell’ulivo
Perché sulla tua fronte pura
anch’io avrei visto un giorno
La neve delle pecore e dei gigli,
Ma sei passato nella vita come una lacrima del mare
Come un brillìo dell’estate ultima guazza del maggio
Sebbene un tempo anche tu fossi una sua onda azzurra
Un suo ciottolo amaro
Una sua piccola rondine in un bosco solitario
Senza campana all’alba senza lucerna a tarda sera
Con il tuo cuore caldo girato ad altre terre
Ai denti guasti dell’altra riva
Alle isole diroccate del ciliegio selvatico e della foca.

Nikos Gatsos

(Traduzione di Filippomaria Pontani)

da “Filologhikà Chronikà” 38-40, 1946; poi in Amorgo, 1969

da “Poeti greci del Novecento”, “I Meridiani” Mondadori, 2010

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ΕΛΕΓΕΙΟ

Στή φωτιά τοῦ ματιοῦ σου θά χαμογέλασε ϰάποτε ὁ Θεός
Θά ’ϰλεισε τήν ϰαρδιά της ἡ ἄνοιξη σά μιᾶς
ἀϰρχαίας ἀρογιαλιᾶς μαργαριτάρι.
Τώρα ϰαθώς ϰοιμᾶσαι λαμπερός
Στοὺς παγωμένους ϰάμπους ποὺ οἱ ἀγράμπελες
Γίναν βαλσαμωμένα φτερά μαρμάρινα περιστέρια
Βουβά παιδιά τῆς ἀπαντοχῆς –
Ἤθελα νά ’ρθεις μιά βραδιά σά βουρωμένο σύννεφο
Ἄχνη τῆς πέτρας πάχνη τῆς ἐλιᾶς
Γιατí στό ἁγνό σου μέτωπο
άποτε θά ’βλεπα ι ἐγώ
Τό χιόνι τῶν προβάτων ϰαí τῶν ϰρίνων
Μά πέρασες ἀπ’ τή ζωή σάν ἕνα δάϰρυ τῆς θάλασσας
Σά λαμπηδόνα ϰαλοαιριοῦ αí στερνοβρόχι τοῦ Μάη
Κι ἄς ἤσουν μιά φορά ϰι ἐσὺ ἕνα γεράνιο ϰύμα της
Ἓνα πιϰρό βότσαλό της
Ἓνα μιϰρό χελιδόνι της σ’ ἕνα πανέρημο δάσος
Χωρíς ϰαμπάνα τή χαραυγή χωρí ς λυχνάρι τό ἀπόβραδο
Μέ τή ζεστή σου αρδιά γυρισμένη στά ξένα
Στά χαλασμένα δόντια τῆς ἄλλης ἀρογιαλιᾶς
Στά γρεμισμένα νησιά τῆς ἀγριοερασιᾶς ϰαí τῆς φώϰιας.

Νίϰος Γϰάτσος

περ. «Φιλολογιά Χρονιά», τ. 38-40, 1946 [: Ἀμοργός, 1969]

da “Ἀμοργός”, 3.ª ed., Atenas, Ícaros, 1969