Corrente – William Carlos Williams

Dipinto di Odilon Redon

 

Hai l’incanto d’un fiume
sotto cieli tranquilli.
Ci sono cose imperfette
ma vi si stende una musica.

E dice per che letto
di tenebre si spinge la corrente
a che smagliante mare
che increspa la mia mente.

William Carlos Williams

(Traduzione di Vittorio Sereni)

da “William Carlos Williams, Poesie”, “Supercoralli” Einaudi, 1967

∗∗∗

A flowing river 

You are lovely as a river
under tranquil skies –
There are imperfections
but a music overlays them –

telling by how dark a bed
the current moves
to what sea that shines
and ripples in my thought

William Carlos Williams

da “Collected Later Poems”, New Directions, 1951

Il color nocciola… – Marcello Comitini

Maurits Cornelis Escher, Buccia, maggio 1955

 

Il color nocciola s’addensa nei miei occhi
come in rari fiori di cui sconosco il nome
in cieli distesi tra spazio e tempo.
La luce del tramonto assai simile all’alba
fiorisce di nuvole che fuggono la terra
oltre ogni miserevole dimensione umana.
Vivo nel silenzio
ma un gemito lungo sulle mie labbra
come il canto solitario dei poeti.
Nuvole anche questi
che mutano forme e lineamenti
impongono domande
sui giudizi e le condanne
donano vita ai miei sentimenti
m’allontanano dal destino.

Così libera da ogni dolore
gli altri mi vedono nella loro cecità.

Marcello Comitini

da “Donne sole”, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

AMAZON – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020
IL MIO LIBRO – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

«È più allentato l’alveare di neve» – Osip Ėmil’evič Mandel’štam

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

II.

È più allentato l’alveare di neve,
il cristallo più trasparente della finestra
e il velo turchese
con noncuranza è buttato sulla sedia.

Il tessuto, ebbro di se stesso,
carezzevole per le lusinghe della luce,
assapora l’estate
come non toccato dall’inverno.

E se nei diamanti di ghiaccio
scorre il gelo dell’eternità,
qui c’è il palpito delle libellule
presto-in-vita, occhiazzurri…

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

1910

(Traduzione di Gianfranco Lauretano)

da “Pietra”, il Saggiatore, Milano, 2018

∗∗∗

II.

Медлительнее снежный улей,
Прозрачнее окна хрусталь
И бирюзовая вуаль
Небрежно брошена на стуле.

Ткань, опьяненная собой,
Изнеженная лаской света,
Она испытывает лето,
Как бы нетронута зимой.

И, если в ледяных алмазах
Струится вечности мороз,
Здесь – трепетание стрекоз
Быстроживущих, синеглазых…

Осип Эмильевич Мандельштам

da “Камень”, Akmè, 1913

La presente traduzione di Kamen’ tiene conto il più possibile della storia della composizione del volume. L’interesse principale è per la poesia del primo Mandel’stam, volendo presentare al lettore italiano il pensiero del poeta e il clima culturale dei suoi anni di formazione e di esordio, ma all’esiguo numero di composizioni di K1 si è aggiunta gran parte delle poesie pubblicate nelle edizioni successive, facenti parte dello stesso humus artistico-letterario, quello che coincide con il «periodo creativo, la tappa» del primo Mandel’stam. La guida è stata l’edizione critica di Kamen’ curata da Ginsburg, Mets, Vasilenko e Frejdin, pubblicata nel 1990 dall’editore Nauka di Leningrado, intrecciata all’edizione critica Stichotvorenija. Proza, a cura di Frejdin e Gasparov (Ripoi Klassik, Mosca 2001). [N.d.C]

In una villa medicea – Piero Bigongiari

Foto di Katia Chausheva

 

Scivolerai dentro uno specchio nero
col peso della tua ala corvina,
ti solleva la forza a cui reclina
discende la tua anima di fuoco.

La luna scalderà ancora i ginepri 
nel giardino segreto ove una spalla
illividiva cieca al roteare
dei pianeti che a lungo la cercavano, 

gli spiragli lucenti dentro i vepri,
il lampo delle chiome dissuase,
e la mano che palpa quanto, addietro,
non è ancora paura e la conduce,

e le sete gualcite, i fiori, i veli
ove il passo tuo aptero rallenta
come una lunga musica di cieli
vi dissesti le stelle all’albeggiare.

Piero Bigongiari

da “Almanacco dello Specchio 2009”, Milano, Mondadori, 2010

Testamento – Tudor Arghezi

 

Alla mia morte ti lascerò i miei averi:
non altro che un nome, chiuso in un libro.
Nelle tenebre in rivolta,
che dai miei avi arrivano fino a te,
i miei padri strisciarono come animali
lungo dirupi e precipizi,
che ora aspettano te, mio giovane figlio:
il mio libro è un gradino per risalirli.

Mettilo al capo del letto
con devota pietà: è la carta piú antica
della liberazione
di voi servi dai rozzi mantelli
pieni delle ossa riversate in me.

Ora possiamo mutare per la prima volta
la zappa con la penna e il solco in calamaio
perché i nostri avi, tra i buoi dorati,
raccolsero il sudore
del lavoro di centinaia d’anni.
Dalle loro voci che incitavano gli armenti
ho creato misure, accordi di parole
e culle per i padroni futuri:
e per migliaia di settimane,
lavorandole come il pane, le ho trasformate
in sogni e icone. Dagli stracci
sbocciarono gemme e ghirlande.
Ho mutato in miele il veleno ricevuto,
lasciando intero il suo dolce potere.
Filando lievemente l’offesa
ne ho fatto persuasione e bestemmia.
Ho preso dal focolare la cenere dei morti
per alzare un dio di pietra,
alto confine con due mondi sui pendii
che vegli in cima al tuo dovere.

Il nostro dolore sordo e amaro
l’ho raccolto su un solo violino:
il padrone ballò alle sue note
come un capro che viene sgozzato.
Dalle piaghe dalle muffe dal fango
ho fatto nascere bellezza e nuovi valori.
I colpi di frusta si mutano
in parole lente, castigatrici
che perdonano ai figli
il delitto che fu di tutti.
Questa è la giustizia resa al ramo
oscuro uscito dalla foresta al sole,
ramo da cui spunta come grappolo di nèi
il frutto della pena di tutta l’eternità.

Pigramente sdraiata sul divano
la giovane principessa
soffre dentro il mio libro.
La parola di fuoco e quella formata ad arte
si uniscono nella pagina come
la tenaglia abbraccia il ferro rovente.
Il servo l’ha scritta, il signore la legge
e non vede che nel suo profondo
c’è tutta la collera dei miei antenati.

Tudor Arghezi

(Traduzione di Salvatore Quasimodo)

da “Tudor Arghezi, Poesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1966

∗∗∗

Testament

Nu-ţi voi lăsa drept bunuri, după moarte,
Decât un nume adunat pe-o carte.
În seara răzvrătită care vine
De la străbunii mei până la tine,
Prin râpi şi gropi adânci,
Suite de bătrânii mei pe brânci,
Şi care, tânăr, să le urci te-aşteaptă,
Cartea mea-i, fiule, o treaptă.

Aşeaz-o cu credinţă căpătâi.
Ea e hrişovul vostru cel dintâi.
Al robilor cu săricile, pline
De osemintele vărsate-n mine.

Ca să schimbăm, acum, intâia oară,
Sapa-n condei şi brazda-n calimară,
Bătrânii-au adunat, printre plăvani,
Sudoarea muncii sutelor de ani.
Din graiul lor cu-ndemnuri pentru vite
Eu am ivit cuvinte potrivite
Şi leagane urmaşilor stăpâni.
Şi, frământate mii de săptămâni
Le-am prefecut în versuri şi-n icoane,
Făcui din zdrenţe muguri şi coroane.
Veninul strâns l-am preschimbat în miere,
Lăsând întreaga dulcea lui putere
Am luat ocara, şi torcând uşure
Am pus-o când să-mbie, când să-njure.
Am luat cenuşa morţilor din vatră
Şi am făcut-o Dumnezeu de piatră,
Hotar înalt, cu două lumi pe poale,
Păzând în piscul datoriei tale.

Durerea noastră surdă şi amară
O grămădii pe-o singură vioară,
Pe care ascultând-o a jucat
Stăpânul, ca un ţap înjunghiat.
Din bube, mucegaiuri şi noroi
Iscat-am frumuseţi şi preţuri noi.
Biciul răbdat se-ntoarce în cuvinte
Şi  izbăveste-ncet pedesitor
Odrasla vie-a crimei tuturor.
E-ndreptăţirea ramurei obscure
Ieşită la lumină din pădure
Şi dând în vârf, ca un ciorchin de negi
Rodul durerii de vecii întregi.

Întinsă leneşă pe canapea,
Domniţa suferă în cartea mea.
Slovă de foc şi slovă faurită
Împarechiate-n carte se mărită,
Ca fierul cald îmbrăţişat în cleşte.
Robul a scris-o, Domnul o citeşte,
Făr-a cunoaşte ca-n adîncul ei
Zace mania bunilor mei.

Tudor Arghezi

da “Cuvinte potrivite”, Editura Fundaţiei Culturale Principele Carol, Bucureşti, 1927