«Se ho scritto è per pensiero» – Antonella Anedda

Antonella Anedda, foto di Dino Ignani

 

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell’ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.

Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l’attesa marina – senza grido – infinita.

Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
– da brughiera –
sulla terra del viale.

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

Antonella Anedda

da “In una stessa terra”, in “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999

«Cercano di dare un tempo alla morte» – Antonio Porta

Gianni Berengo Gardin, Gran Bretagna, 1977

 

Cercano di dare un tempo alla morte
poiché non ha dimensioni, è il vero
nostro infinito; così dicono alle ore
10 e 11 minuti ma non è vero
si era visto invece come si preparava
rannicchiandosi nella posizione fetale.
Quando si sedeva in macchina accanto
già prendeva quella posizione: l’auto
come il ventre della madre e via fino all’arrivo.
Quella volta in attesa di una morte in anticamera
ho sentito dire che negli ultimi tre minuti
la sua vita è precipitata nel senza tempo
nell’ultimo eterno minuto i dolori
raggiungono il loro acume, se ne vanno con l’anima.
Ma è un bene essere privati del tempo,
è un furto che genera abbastanza e dona
una pace non sperabile, raggiunta senza speranza
da un istante all’altro la dimensione è solo spazio
mare bianco increspato nella mente spalancata.

Antonio Porta

26.12.1988

da “Yellow”, “Lo Specchio” Mondadori, 2002

«Forse mi prende malinconia a letto» – Dario Bellezza

Portrait of James Dean by Roy Schatt, December 1954

 

Forse mi prende malinconia a letto
se ripenso alla mia vita tempesta e di
mattina alzandomi s’involano i vani
sogni e davanti alla zuppa di latte
annego i miei casi disperati.

Gli orli senza miele della tazza
screpolata ai quali mi attacco a bere
e nella gola scivola piano il mio
dolore che s’abbandona alle
immagini di ieri, quando tu c’eri.

Che peccato questa solitudine, questo
scrivere versi ascoltando il peccatore
cuore sempre nella stessa stanza

con due grandi finestre, un tavolo
e un lettino di scapolo in miseria.

E se l’orecchio poso al rumore solo
delle scale battute dal rimorso
sento la tua discesa corrosa
dalla speranza.

Dario Bellezza

da “Invettive e licenze”, Garzanti, 1971

Una vetta – Diego Valeri

Donata Wenders, Untitled I, 2002

 

Eran disciolti veli di diafana bianchezza,
lievi come respiro, che passavano via,
sfiorando nevi e rocce d’una breve carezza
e subito svanendo nell’azzurra chiaría.

Nebbie del piano ardente, che il gran vento del mare
recava su le vette… Ma nell’ora beata
io sentivo e vedevo angeli trasvolare
su la terra in offerta tutta al cielo levata:

ali ali ali vedevo apparire e sparire
sul mio capo, com’ombre di pura luce, e un canto
divinamente triste mi pareva d’udire
d’ogni parte fluire dentro il silenzio santo…

Oh, l’anima era sopra di sé, sopra la vita,
alta sul suo soffrire, come in un paradiso!
Alta sopra la stessa soavità infinita
delle tue mani, amore, posate sul mio viso.

Diego Valeri

daPoesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1967

Di un difficile oracolo – Gesualdo Bufalino

Edward Steichen, Touch is Love, 1934

 

E mi stupisco ancora
del tuo sangue violento che mi sfida
e sgrida con voce di vento.

Decifrassi una volta la vermiglia
cantilena che recita,
bando di morte o vita, chi sa dirlo?

Ma io non sono che il drago custode
dei tuoi polsi in burrasca, un pescatore
di maree che origlia dalla riva.

Anche infelice, se non fosse il lampo
che inatteso sorride e mi dà scampo
nella tenace mafia dei tuoi occhi.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1982