La collina – Mark Strand

 

Sono arrivato fin qui con le mie gambe,
perso l’autobus, persi i taxi,
sempre in salita. Un piede avanti all’altro,
è così che faccio.

Non mi inquieta, la collina di cui non vedo fine.
Erba sul ciglio della strada, un albero che fa risuonare
le foglie nere. E allora?
Più cammino, più mi allontano da tutto.

Un piede avanti all’altro. Passano le ore.
Un piede avanti all’altro. Passano gli anni.
I colori dell’arrivo sbiadiscono.
È così che faccio.

Mark Strand

(Traduzione di Damiano Abeni)

da “Il futuro non è più quello di una volta”, minimum fax, Roma, 2006

∗∗∗

The hill

I have come this far on my own legs,
missing the bus, missing taxis,
climbing always. One foot in front of the other,
that is the way I do it.

It does not bother me, the way the hill goes on.
Grass beside the road, a tree rattling
its black leaves. So what?
The longer I walk, the farther I am from everything.

One foot in front of the other. The hours pass.
One foot in front of the other. The years pass.
The colors of arrival fade.
That is the way I do it.

Mark Strand

da “Darker: poems”, Atheneum, 1970

«Sento i tuoi passi nella sala» – Karin Boye

 

Sento i tuoi passi nella sala,
sento in ogni nervo i tuoi rapidi passi
che nessuno nota altrimenti.
Intorno a me soffia un vento di fuoco.
Sento i tuoi passi, i tuoi amati passi,
e l’anima fa male.

Cammini lontano nella sala,
ma l’aria ondeggia dei tuoi passi
e canta come canta il mare.
Ascolto, prigioniera dell’oppressione che consuma.
Nel ritmo del tuo ritmo, nel tempo del tuo
batte il mio polso nella fame.

Karin Boye

(Traduzione di Daniela Marcheschi)

da “Karin Boye, Poesie”, Le Lettere, Firenze, 1994

∗∗∗

«Jag känner dina steg i salen»

Jag känner dina steg i salen,
Jag känner i var nerv dina hastiga steg,
som annars ingen märker.
Omkring mig sveper en vind av eld.
Jag känner dina steg, dina älskade steg,
och själen värker.

Du går långt borta i salen,
men luften böljar av dina steg
och sjunger som havet sjunger.
Jag lyssnar, fången i förtärande tvång.
I rytmen av din rytm, i takten av din
slår min puls i hunger.

Karin Boye

da “Härdarna”Bonniers Förlag1927 

«Altri ti hanno presa» – Sergej Aleksandrovič Esenin

E.O. Hoppé, Harriet Cohen, 24 July 1920

 

Altri ti hanno presa:
A me è rimasto il fumo di vetro
Dei tuoi capelli, e dei tuoi occhi
La stanchezza autunnale.

Oh, la stagione dell’autunno! Mi è più cara
Della primavera e dell’estate.
Per questo così fortemente sei piaciuta
Alla fantasia di un poeta.

Io non mento col cuore:
Da oggi a tutta voce
Posso gridare di aver lasciato
La strada del teppismo.

E già viene il tempo degli addii
All’insolenza spregiudicata, indomabile:
Il cuore ha bevuto una miscela
Più forte dell’alcool.

E alla mia finestra bussa settembre
Con un ramo rosso di salice
Perché mi prepari all’incontro
Tranquillamente, senza cerimonie.

Ora stringo alleanza con l’universo
E nulla ho perduto di me stesso.
Solo la Russia mi sembra un’altra,
Diversi i cimiteri e i casolari.

Mi guardo intorno con occhi trasparenti
E in ogni luogo vedo te,
Sorella, amica,
Compagna ideale di un poeta.

Soltanto a te, rinnegando la mia natura
Infedele, io posso cantare
Nella penombra delle strade
Il teppismo che se ne va.

Sergej Aleksandrovič Esenin

[1923]

(Traduzione di Curzia Ferrari)

da “Sergej Aleksandrovič Esenin, Russia e altre poesie”, Baldini Castoldi Dalai, 2007

***

«Пускай ты выпита другим»

Пускай ты выпита другим,
Но мне осталось, мне осталось
Твоих волос стеклянный дым
И глаз осенняя усталость.

О, возраст осени! Он мне
Дороже юности и лета.
Ты стала нравиться вдвойне
Воображению поэта.

Я сердцем никогда не лгу
И потому на голос чванства
Бестрепетно сказать могу,
Что я прощаюсь с хулиганством.

Пора расстаться с озорной
И непокорною отвагой.
Уж сердце напилось иной,
Кровь отрезвляющею брагой.

И мне в окошко постучал
Сентябрь багряной веткой ивы,
Чтоб я готов был и встречал
Его приход неприхотливый.

Теперь со многим я мирюсь
Без принужденья, без утраты.
Иною кажется мне Русь,
Иными кладбища и хаты.

Прозрачно я смотрю вокруг
И вижу, там ли, здесь ли, где-то ль,
Что ты одна, сестра и друг,
Могла быть спутницей поэта.

Что я одной тебе бы мог,
Воспитываясь в постоянстве,
Пропеть о сумерках дорог
И уходящем хулиганстве.

1923

Сергей Александрович Есенин

da “Полное собрание сочинений в семи томах, Том 1.: Стихотворения”, Наука: Голос, 1995

«Lievi le mani della poesia» – Chandra Livia Candiani

André Kertész, “My Mother’s hands”, 1919

 

Lievi le mani della poesia
intorno alla morte
lievi.
Sorreggono appena
il corpo appassito
la bellezza stanca
che non eccita e non riposa,
ma fatti lieve
entra nella delicata soglia
che non regge ma solleva
soffio candido
nemmeno una parola
un balbettio
di noci che rotolano
di gusci che si aprono
fiore di mandorlo
è il respiro,
che finisce.

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015

«Rimani dove sei, ti prego» – Mario Luzi

Leonid Osipovich Pasternak, Portrait of E. Levina, 1916

 

Rimani dove sei, ti prego,
                        così come ti vedo.
Non ritirarti da quella tua immagine,
non involarti ai fermi
lineamenti che ti ho dato
io, solo per obbedienza.
Non lasciare deserti i miei giardini
d’azzurro, di turchese,
            d’oro, di variopinte lacche
dove ti sei insediata
                                   e offerta alla pittura
                                   e all’adorazione,
non farne una derelitta plaga,
              primavera da cui manchi,
mancando così l’anima,
il fuoco, lo spirito del mondo.
Non fare che la mia opera
ricada su se medesima,
                                   diventi vaniloquio, colpa.

Mario Luzi

da “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”, Garzanti, 1994