La prima infanzia di Dominique – Paul Éluard

Sabine Weiss, Portrait of Anne-Marie Edvina, 1961

In quel tempo diviso tra l’uragano e la speranza
Cattivo tempo e primavera
Scrissi questo poemetto per conciliarmi
Con l’amore e con la vita.
I

La notte e la paura della notte tutti gli incendi della notte
Gli interdetti le zanne mostrate e le unghie sfoderate
I colori vaghi lo specchio che traspira il raso logoro
Lei non era nata

Il paesaggio si chiudeva come un sasso
Gli uomini si svegliavano stanchi smemorati
La nebbia dei loro sogni appestava l’aurora
Lei non era nata
Nessuno la conosceva

Pudore era ubriaco insozzato
La ricchezza adorava la stupidità
La bellezza la pietà abbeveravano sontuosi carnai
Lei non era nata
Nessuno la conosceva
I suoi occhi erano chiusi

La carne rauca tremava nel freddo silenzioso
E per prolungarsi il dolore ragionava
Dalle vene della notte si alzava un’onta insolubile
Lei non era nata
Nessuno la conosceva
I suoi occhi erano chiusi
Ma era già ritta contro la morte contro la notte.

II

Colei che si è data
Dolce come nell’erba
L’occhio umile di una sorgente

Colei che si è data
Piú sicura di un pensiero
Che lotta per esistere

Piú dura della vita
Intramezzata di speranza
Seme dei fiori avvizziti

Colei che si è data
Partendo da lei si dà tutto
Nella natura e nell’uomo

Si dà tutto in silenzio
A gesti a parole
Io disegno una donna

Una madre in accordo
Col gran giorno col passato
E fino al suo declino

Fino alla sua primavera
La vedo con i suoi difetti
Limpida come un campo di grano

Cancella il freddo
La giovinezza cresce sulla terra
Nessun fiore è senza radici

Il fanciullo è attaccato al seno di sua madre.

III

E la madre diventa interamente madre e senza vergogna
Simile a un anello
Ricolmo di carne
Simile a radura ideale all’oasi della foresta
Orizzonte di verde attorno a un sol frutto

Era un anello simile a un anello
Anello del cuore del corpo dell’occhio e della mano
Del ventre e della luna pallida di mezzoggiorno
Il sangue umano in lei colorava il mondo
Lei divenne prisma e la sua voce spazio

Ali distese screziarono le sue risa
Evidente ed esemplare risuonò in alto il suo canto
Lei diede subito un nome a ogni forma individuata
La curva delle braccia sviluppò la sua stretta
E la sua bocca infantile cancellò l’ignoranza

Con il dorso dritto e le anche come base
Seduta era saggia e parlava di costruire
Ritta in piedi sembrava annientare il vuoto
Le sue pupille lavate da una luce uniforme
Ripopolavano il deserto di insetti e di uccelli

Di insetti e di uccelli di scoiattoli e di scimmie
Di tutti i divertenti animali dell’aria
E di fanciulli turbolenti sfuggiti alla loro prigione
Ritta in piedi aveva l’aria di comporre i giochi
Che prendono per oro le meraviglie dei sensi

Disegnando su due bocche dei baci uguali
Accordava il suo cuore al tempo che gli avanza
Non voleva congiungere il vivere e il morire
Ripeteva vivere e infrangeva le barriere
Troppo rapida lei per non durare

Nella sua orbita brillavano il vomere dell’aratro
Il seme germogliato il mucchio del grano
Le sue nuvole notturne scoppiavano di tiepida pioggia
Un bambino si accendeva nel flusso del suo sangue
La sua trasparenza stabiliva la rassomiglianza.

IV

Già c’erano puliti d’aurora
Fiori per schiarirla
C’erano gemme sopra i rami
Le risa di nozze avevano varcato l’inverno

C’erano gli occhi di una fanciulla di vent’anni
Resa forte dai suoi sogni
E per domani un altro ragazzo altrettanto fiducioso

Il connubio era una ragione feconda
Ragione dei piú deboli e ragione di lotta
Per dominare contro la sfortuna

Bastava avanzare per vivere
Andare dritto davanti a sé
Verso tutto ciò che si ama

È lieve la strada davanti a sé
E s’apre su ogni sponda
Dietro non ci sono che catene

La carezza è come una rosa
Che rafforza la madreperla di un mezzoggiorno caldissimo
Presenza per sempre
Nulla si fa amore che non sia di futuro

La pianta lenta e cupa che conquista il giorno
Non ha altro culmine che l’estate
Nutrito dall’eternità dai semi senza posa
Che sublimano il giogo del tesoro della vita.

V

Terra c’è luce al suono di un giorno perfetto
E la passione assume un nuovo volto
Il ventre oscuro si schiude alla luce
La piana si spoglia un sentiero di foresta
Divide il suo fuso sotto i passi del sole

Un fanciullo è appena nato l’ombra di un uccello
Piú pesante di lui grava sulla terra enorme
Tranquillamente passa da un’ora all’altra
Il bel tempo lo compenetra con le sue campane d’oro
La brocca della luna gli rinfresca le midolla

Nel cavo della culla si raggomitola e addormenta
E nei pesanti solchi dei sogni confonde
Ciò che non può essere e ciò che sarà
Solo la sferza della fame lo sveglia e lo tormenta
Non ama la sua fame ma ama sua madre

Ama ed è nutrito dalla sua necessità
Vivere s’intende dappertutto allo stesso modo
Bisogna amare per vivere bisogna essere nutrito
Del desiderio e del piacere d’essere nutrito
Il fanciullo-riflesso anima un amore reciproco.

VI

Una perla un cumulo di umori congiunti
In un angolo cupo dove giace il fanciullo degli amori banali
Palma del futuro corona inincolpabile
Un bambino l’uscita del labirinto dell’età
Tenero passaggio del cielo verde tra il fogliame delle stelle

L’erba fugge sotto il vento la primavera si abbandona
E la morte mette i suoi brividi tra le mani dell’estate
Ma il bimbo appena nato nega il corso delle stagioni
Illumina tutto si trova alle porte della vita
Fuoco liquido diluvio del desiderio di vivere

Sempre lo stesso fanciullo immortale eterno
All’orizzonte dell’uomo stesso fulgore solare
E il muschio e la ruggine e il cuore secco d’inverno
S’inteneriscono fioriscono come una promessa
La giovinezza non ha una nascita
Ma è sempre presente in questo mondo.

VII

Un fanciullo piccolissimo un mattino eccezionale
Che fruttifica a fior di terra
Una cenere rosseggiante
Una domenica visibile
Un’onda ridotta a una goccia d’acqua

Una luce in pieno giorno.

VIII

I miei ricordi vanno al cuore lontano
Di ogni fanciullo inespressivo
Quasi gratuito quasi innocente

Un bimbo nei suoi primi giorni di vita
Fuscello d’erba appena disgiunto
Dalle grandi maree di primavera

Un bimbo grande come un bacio
Futuro per un bimbo futuro

Prima estasi del sole
Che brucia i ghiacci di rugiada
Prima sete illuminata

Un fanciullo immobile ma agile tanto
Che la natura prende il volo con lui

La terra è ai suoi piedi.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

∗∗∗

La Petite Enfance de Dominique

En ce temps divisé par l’orage et l’espoir
Mauvais temps et printemps
J’écrivis ce poème pour me concilier
Les formes de l’amour les formes de la vie.
I

La nuit et la peur de la nuit toutes les flammes de la nuit
Les interdits les crocs montrés et les griffes sorties
Les couleurs vagues la glace qui transpire le satin éraillé
Elle n’était pas née
Le paysage se fermait comme un caillou
Les hommes s’éveillaient fatigués sans mémoire
La fumée de leurs rêves empestait l’aurore
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait

Pudeur était soûle souillée
Richesse adorait la bêtise
La beauté la pitié abreuvaient des charniers somptueux
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait
Ses yeux étaient fermés

La chair rauque tremblait dans le froid silencieux
Et pour se prolonger le chagrin raisonnait
Des veines de la nuit surgissait une honte insoluble
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait
Ses yeux étaient fermés
Mais elle était déjà debout contre la mort contre la nuit.

II

Celle qui s’est donnée
Douce comme dans l’herbe
L’œil humble d’une source

Celle qui s’est donnée
Plus ferme que pensée
Luttant pour exister

Plus dure que la vie
Entremêlée d’espoir
Graine des fleurs fanées

Celle qui s’est donnée
À partir d’elle tout se donne
Dans la nature et dans l’homme

Tout se donne en silence
En gestes en paroles
Je dessine une femme

Une mère accordée
Au grand jour au passé
Et jusqu’à son déclin

Jusqu’à son renouveau
Je la vois avec ses défauts
Limpide comme un champ de blé

Elle efface le froid
Jeunesse monte dans la terre
Nulle fleur n’est sans racines

L’enfant tient au sein de sa mère.

III

Et la mère devint tout entière et sans honte
Pareille à un anneau
Comblé de chair
Pareille à la clairière idéale à l’oasis de la forêt
L’horizon de verdure entourant un seul fruit

Un anneau elle était pareille à un anneau
Anneau du cœur du corps de l’œil et de la main
Du ventre et de la lune pâle de midi
Le sang humain en elle colorait le monde
Elle devint le prisme et sa voix retentit

Des ailes étendues irisèrent ses rires
Son chant sonna très haut l’évidence et l’exemple
Elle nomma d’emblée toute forme avouée
La courbe de ses bras développa l’étreinte
Et sa bouche enfantine abolit l’ignorance

Le dos droit et les hanches figurant le socle
Assise elle était sage et parlait de construire
Debout elle semblait anéantir le vide
Ses prunelles lavées par la lumière unie
Repeuplaient le désert d’insectes et d’oiseaux

D’insectes et d’oiseaux d’écureuils et de singes
De tous les animaux aériens distrayants
Et d’enfants turbulents échappés à leur geôle
Debout elle avait l’air de composer les jeux
Qui prennent pour pain blanc la merveille des sens

Figurant sur deux bouches des baisers égaux
Elle accordait son cœur au temps qui se dépasse
Elle ne voulait pas joindre vivre et mourir
Elle répétait vivre et brisait les barrières
Elle était trop rapide pour ne pas durer

Dans son orbe brillaient le soc de la charrue
La semence levée et le bloc des moissons
Ses nuages de nuit éclataient de pluie tiède
Un enfant s’allumait dans le flot de son sang
Sa transparence établissait la ressemblance.

IV

Il y avait déjà lisses d’aurore
Des fleurs pour l’éclairer
Il y avait déjà des bourgeons sur les branches
Les rires de la noce avaient passé l’hiver

Il y avait les yeux d’une enfant de vingt ans
Robuste de ses rêves
Et pour demain un autre enfant aussi confiant.

Alliance était raison féconde
Et raison des moins forts et raison de lutter
Pour régner contre le malheur

Il suffit d’avancer pour vivre
D’aller droit devant soi
Vers tout ce que l’on aime

Devant soi la route est légère
Et s’ouvre sur tous les rivages
Derrière il n’y a que des chaînes

La caresse est comme une rose
Qui renforce la nacre d’un midi très chaud
Présence à tout jamais
Rien ne se fait amour qui ne soit d’avenir

La plante lente et sombre qui conquiert le jour
N’a pas d’autre sommet que celui de l’été
Nourri de l’infini des graines sans esprit
Qui subliment le joug du trésor de la vie.

V

Terre il fait clair au son d’un jour parfait
Et la passion prend un nouveau visage
Le ventre obscur s’entrouvre à la lumière
La plaine se dévêt un sentier de forêt
Dévide son fuseau sous les pas du soleil

Un enfant vient de naître l’ombre d’un oiseau
Pèse plus lourd que lui sur la terre géante
Il va d’une heure à l’autre avec tranquillité
Le beau temps le pénètre de ses cloches d’or
La cruche de la lune rafraîchit ses moelles

Au golfe du berceau il se noue et s’endort
Et dans les lourds sillons des rêves il confond
Ce qu’il ne peut pas être avec ce qu’il sera
Seul le fouet de la faim l’éveille et le tourmente
Il n’aime pas sa faim mais il aime sa mère

Il aime il est nourri de sa nécessité
Vivre s’entend partout de la même manière
Il faut aimer pour vivre il faut être nourri
De son désir et du plaisir d’être nourri
L’enfant-reflet anime un amour réciproque.

VI

Une perle un amas de sèves conjuguées
Dans un coin sombre où gît l’enfant d’amours banales
Palme de l’avenir couronne non coupable
Un enfant la sortie du dédale de l’âge
Tendre passage du ciel vert dans le feuillage des étoiles

L’herbe fuit sous le vent le printemps s’abandonne
Et dans les mains d’été la mort met ses frissons
Mais l’enfant nouveau-né nie le cours des saisons
Il rayonne il demeure aux portes de la vie
Feu liquide déluge du désir de vivre

Toujours le même enfant immortel éternel
À l’horizon de l’homme même éclat solaire
Et la mousse et la rouille et le cœur sec d’hiver
S’attendrissent fleurissent comme une promesse
Jeunesse ne vient pas au monde elle est constamment de ce monde.

VII

Un tout petit enfant un matin d’exception
Fructifiant au ras du sol
Une cendre rougeoyant
Un dimanche visible
Une vague réduite à une goutte d’eau

Une lampe en plein jour.

VIII

Mes souvenirs vont au cœur loin
De chaque enfant inexpressif
Presque gratuit presque innocent

Un enfant à ses premiers jours
Brin d’herbe à peine séparé
Des grandes marées du printemps

Un enfant grand comme un baiser
Futur pour un enfant futur

Première extase du soleil
Brûlant les glaces de rosée
Première soif illuminée

Un enfant immobile et pourtant si agile
Que la nature prend son essor avec lui

La terre est à ses pieds.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963

Il sogno – Jorge Luis Borges

Pablo Picasso, The Dream, 1932, collezione privata, New York

 

La notte impone a noi la sua fatica
magica. Disfare l’universo,
le ramificazioni senza fine
di effetti e di cause che si perdono
in quell’abisso senza fondo, il tempo.
La notte vuole che stanotte oblii
il tuo nome, i tuoi avi ed il tuo sangue,
ogni parola umana ed ogni lacrima,
ciò che poté insegnarti la tua veglia,
l’illusorio punto dei geometri,
la linea, il piano, il cubo, la piramide,
il cilindro, la sfera, il mare, le onde,
la guancia sul cuscino, la freschezza
del lenzuolo nuovo…
Gli imperi, i Cesari e Shakespeare
e, ancora più difficile, ciò che ami.
Curiosamente, una pastiglia può
svanire il cosmo e costruire il caos.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

∗∗∗

El sueño 

La noche nos impone su tarea
mágica. Destejer el universo,
las ramificaciones infinitas
de efectos y de causas, que se pierden
en ese vértigo sin fondo, el tiempo.
La noche quiere que esta noche olvides
tu nombre, tus mayores y tu sangre,
cada palabra humana y cada lágrima,
lo que pudo enseñarte la vigilia,
el ilusorio punto de los geómetras,
la línea, el plano, el cubo, la pirámide,
el cilindro, la esfera, el mar, las olas,
tu mejilla en la almohada, la frescura
de la sábana nueva, los jardines,
los imperios, los Césares y Shakespeare
y lo que es más difícil, lo que amas.
Curiosamente, una pastilla puede
borrar el cosmos y erigir el caos.

Jorge Luis Borges

da “La Cifra”, Alianza Editorial, S. A., Madrid, 1981

L’età dell’oro dell’amore – Nichita Stănescu

 

Le mie mani sono innamorate,
ah!, la mia bocca ama,
ed ecco, mi sono accorto
che le cose sono talmente vicine a me,
da poter a malapena camminare fra di esse
senza ferirmi.

È una sensazione dolce,
di risveglio, di sogno,
ed ecco che, senza dormire,
vedo reali gli dei d’avorio,
li prendo in mano e
li avvito ridendo, nella luna,
come maniglie scolpite,
così come forse erano un tempo,
ornate, le ruote del timone delle navi.

Giove è giallo, ed Era
la meravigliosa è argentea.
Colpisco con la sinistra la ruota ed essa si muove.
È una danza, amore mio, dei sentimenti,
dei dell’aria, fra noi due.
Ed io, con le vele dell’anima
gonfie di nostalgia,
ti cerco dappertutto, e le cose vengono
sempre più vicino,
e stringono il mio petto fino a farmi male.

Nichita Stănescu

(Traduzione di Fulvio Del Fabbro e Alessia Tondini)

da “Una visione dei sentimenti”, 1964, in “Nichita Stănescu, La guerra delle parole”, Le Lettere, Firenze, 1999

***

Vârsta de aur a dragostei

Mâinile mele sunt îndrăgostite,
vai, gura mea iubeşte,
şi iată, m-am trezit
că lucrurile sunt atât de aproape de mine,
încât abia pot merge printre ele
fără să mă rănesc.

E un sentiment dulce acesta,
de trezire, de visare,
şi iată-mă fără să dorm,
aievia văd zeii de fildeş,
îi iau în mână şi
îi înşurubez râzând, în lună,
ca pe nişte mânere sculptate,
cum trebuie că erau pe vremuri,
împodobite, roţile de cârmă ale corăbiilor.

Jupiter e galben, şi Hera
cea minunată e argintie.
Izbesc cu stânca-n roată şi ea se urneşte.
E un dans iubito, al sentimentelor,
zeiţe-ale aerului, dintre noi doi.
Şi eu, cu pânzele sufletului
umflate de dor,
te caut pretutindeni, şi lucrurile vin
tot mai aproape,
şi pieptul mi-l strâng şi mă dor.

Nichita Stănescu

da “O viziune a sentimentelor”, Editura pentru Literatură, 1964

Alcesti – Mariangela Gualtieri

Renato Guttuso, Testa di donna, 1960

 

Ma solo pensare a te.
Non è una figura che viene
una nitida traccia.
È come cadere in un posto
con un po’ di dolore.

Tu sei il mio tu piú esteso
deposto sul fondo mio. Tu. Non c’è
un’altra forma del mondo
che si appoggi al mio cuore
con quel tocco, quell’orma.
Tu. Tu sei del mondo la piú cara
forma, figura, tu sei il mio essere a casa
sei casa, letto dove
questo mio corpo inquieto riposa.
E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma
lontana, scomoda un poco
perduta, come malata,
un po’ sporco il mondo lontano da te,
piú nemico, che punge, che
graffia, sta fuori misura.

Mio vero tu, mio altro corpo
mio corpo fra tutti mio
piú vicino corpo, mio corpo destino
ch’eri fatto
per l’incastro con questo mio
essere qui in forma di femmina
umana. Mio tu. Antico suono
riverberante, antico
sentirti destino intrecciato
sentire che sei sempre stato,
promesso da ere lontane
da distanze cosí spaventose
cosí avventurose distanze da
lontananze sacre.

Tu sei sacro al mio cuore.
Il mio fuoco
brucia da sempre col tuo
il mio fiato.

Io parlo delle forze −
di correnti sul fondo del mio lago
sul fondo del tuo, oscure e potenti,
piú del tempo dure piú dello
spazio larghe, ma sottili
al nostro sentire,
afferrate appena
e poi perdute, nel loro gioco.

Che cosa siamo io e te? Che cosa eravamo
prima di questo nome? E ancora
saremo qualcosa, lo sappiamo e non
lo sappiamo, con un sentire
che non è intelligente lavorio cerebrale.

Nessuna parte di corpo che muore
nessun pezzo umano, nessun arto,
nessun flusso di sangue, nessun
cuore, nessuno, niente che sia
stretto nel giro del sole, niente
che sia solo terrestre umano muove
il tuo cuore al mio, il mio al tuo,
come fossero due parti di un uno.

Allora tu sei la mia lezione piú grande
l’insegnamento supremo.
Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste
l’uno solamente, senza il due.

Mariangela Gualtieri

da “Bestia di gioia”, Einaudi, Torino, 2010

Maithuna – Octavio Paz

Irving Penn, Amber Valletta, New York, 1996

 

I miei occhi ti scoprono
nuda
          e ti coprono
d’una calda pioggia
di sguardi

                                     *

Gabbia di suoni
                             aperta
in piena mattina
                               più bianca
delle tue natiche
                             in piena notte
il tuo riso
                 o piuttosto il tuo fogliame
la tua camicia di luna
                                        quando scendi dal letto

Luce stacciata
                         la spirale canora
dipana il biancore
                                 Aspo
X
    piantata in un crepaccio

                            *

Il mio giorno
                       nella tua notte
scoppia
              Il tuo grido
salta a pezzi
                     La notte
sparge
           il tuo corpo
Risacca
              i tuoi corpi
s’annodano
Ancora il tuo corpo

                          *

Ora verticale
                        siccità
muove le sue ruote luccicanti
Giardino di rasoi
                               festino d’inganni
Da quei riflessi
                           entri
illesa
          nel fiume delle mie mani

                             *

Più rapida della febbre
nuoti nel buio
                                          la tua ombra è più chiara
tra le carezze
                        il tuo corpo è più nero
Salti
         sulla riva dell’improbabile
toboga di come quando perché sì
Col riso incendi i tuoi vestiti
                                                   il tuo riso
mi bagna la fronte gli occhi le ragioni
Il tuo corpo incendia la tua ombra
Ti dondoli sul trapezio della paura
i terrori della tua infanzia
                                                 mi guardano
dai tuoi occhi d’abisso
                                         aperti
nell’atto d’amore
                                 sull’abisso
Il tuo corpo è più chiaro
                                            più nera la tua ombra
Ridi sulle tue ceneri

                                     *

Lingua vinaccia di sole flagellato
lingua che lambisce il tuo paese d’insonni dune
chioma
             lingua di fruste
                                         linguaggi
snodati sulla tua schiena
                                             intrecciati
sui tuoi seni
                       scrittura che ti scrive
con gli sproni delle lettere
                                               ti nega
con i tizzoni dei segni
                                       vestito che ti sveste
scrittura che ti veste di enigmi
scrittura in cui mi seppellisco
                                                      Chioma
grande notte improvvisa sul tuo corpo
giara di vino caldo
                                   versato
sulle tavole della legge
nodo d’urli e nube di silenzi
grappolo di serpi
                                grappolo d’uva
pestata
             dalle gelide piante della luna
pioggia di mani di foglie di dita di vento
sul tuo corpo
                        sul mio corpo sul tuo corpo
Chioma
               fogliame dell’albero d’ossa
l’albero di aeree radici che suggon notte dal sole
Albero carnale                                  Albero mortale

                                            *

Ieri notte
                 nel tuo letto
eravamo in tre:
tu          io            la luna

                                               *

Apro
         le labbra della tua notte
umide cavità
                        echi
s-nascite:

                  improvviso
biancor d’acqua
                             irruenta

                                   *

Dormire in te dormire
anzi svegliarsi
                          aprire gli occhi
nel tuo centro
                         nero bianco nero
bianco
            Essere un sole insonne
che la tua memoria brucia
                                                 (e
la memoria di me nella tua memoria)

                                    *

E nuova sale a mo’ di nube
linfa
         (salvia ti chiamo
fiamma)
               Il fusto
scoppia
              (Piove
neve ardente)
                        La mia lingua
è là
      (Arde la tua rosa
nella neve)
              È
ormai
           (sigillo il tuo sesso)
                                             l’alba
salva

Octavio Paz

(Traduzione di Franco Mogni)

da “Verso l’inizio” (1964-1968), in “Octavio Paz, Vento Cardinale e altre poesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1984

***

Maithuna

Mis ojos te descubren
desnuda
               y te cubren
con una lluvia càlida
de miradas

                                  *

Una jaula de sonidos
                                      abierta
en piena mañana
                               màs bianca
que tus nalgas
                          en piena noche
tu risa
            o màs bien tu follaje
tu camisa de luna
                                al saltar de la cama

Luz cernida
                      la espirai cantante
devana la blancura
                                    Aspa
X
   plantada en un abra

                     *                                  

Mi dia
           en tu noche
revienta
              Tu grito
salta en pedazos
                              La noche
esparce
               tu cuerpo
Resaca
             tus cuerpos
se anudan
Otra vez tu cuerpo

              *    

Hora vertical
                         la sequía
mueve sus ruedas espejeantes
Jardín de navajas
                                 festín de falacias
Por esas reverberaciones
                                              entras
ilesa
          en el rio de mis manos

                *    

Más rápida que la fiebre
nadas en lo obscuro
                                                      tu sombra es más clara
entre las caricias
                               tu cuerpo es más negro
Saltas 
            a la orilla de lo improbable
toboganes de cómo cuando porque sí
Tu risa incendia tu ropa
                                            tu risa
moja mi frente mis ojos mis razones
Tu cuerpo incendia tu sombra
Te meces en el trapecio del miedo
los terrores de tu infancia
                                                me miran
desde tus ojos de precipicio
                                                  abiertos
en el acto de amor
                                   sobre el precipicio
Tu cuerpo es más claro
                                          tu sombra es más negra
Tú ríes sobre tus cenizas

                      *    

Lengua borgona de sol flagelado
lengua que lame tu país de dunas insomnes
cabellera
                lengua de látigos
                                               lenguajes
sobre tu espalda desatados
                                                  entrelazados
sobre tus senos
                            escritura que te escribe
con letras aguijones
                                    te niega
con signos tizones
                                 vestidura que te desviste
escritura que te viste de adivinanzas
escritura en la que me entierro
                                                         Cabellera
gran noche sùbita sobre tu cuerpo
jarra de vino caliente
                                       derramado
sobre las tablas de la ley
nudo de aullidos y nube de silencios
racimo de culebras
                                   racimo de uvas
pisoteadas
                   por las heladas plantas de la luna
lluvia de manos de hojas de dedos de viento
sobre tu cuerpo
                             sobre mi cuerpo sobre tu cuerpo
Cabellera
                  follaje del àrbol de huesos
el àrbol de raices aéreas que beben noche en el sol
El àrbol carnal                                    El àrbol mortal

                                             *

Anoche
              en tu cama
éramos tres:
tu           yo        la luna

                                             *

Abro
          los labios de tu noche
húmedas oquedades
                                     ecos
desnacimientos:

                             blancor
súbito de agua
                          desencadenada

                            *

Dormir dormir en ti
o mejor despertar
                                  abrir los ojos
en tu centro
                      negro blanco negro
blanco
            Ser sol insomne
que tu memória quema
                                           (y
la memória de mí en tu memória)

             *

Y nueva nubemente sube
savia
           (salvia te llamo
llama)
            El tallo
estalla
            (Llueve
nieve ardiente)
                           Mi lengua está
allá
       (En la nieve se quema
tu rosa)
    Está
ya
      (sello tu sexo)
                                  el alba
salva

Octavio Paz

da “Hacia el comienzo” (1964-1968), in “Octavio Paz, Poemas: 1935-1975”, Ed. Seix Barral, 1979