«Ho gettato uno sguardo, come al primo incontro» – Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Ho gettato uno sguardo, come al primo incontro
Non si guarda.
Gli occhi neri hanno inghiottito lo sguardo.

Ho levato le ciglia e me ne sto lì.
– E allora, – son luminosa? –
Non lo dirò, che m’ha centellinata fino alle radici.

La pupilla ha inghiottito fino all’ultima goccia.
E me ne sto lì.
E scorre la tua anima nella mia.

Marina Ivanovna Cvetaeva

7 agosto 1916

(Traduzione di Haisa Pessina Longo)

da “Verste”, 1916, in “Il lato oscuro dell’amore”, Panozzo Editore, 2000

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«И взглянул, как в первые раза»

И взглянул, как в первые раза
Не глядят.
Черные глаза глотнули взгляд.

Вскинула ресницы и стою.
– Что, – светла? –
Не скажу, что выпита до тла.

Всё до капли поглотил зрачок.
И стою.
И течет твоя душа в мою.

Марина Ивановна Цветаева

7 августа 1916

da “ВЕРСТЫ”, 1916

Fuga – Antonia Pozzi

Antonia Pozzi

ad A.M.C.

Anima, andiamo. Non ti sgomentare
di tanto freddo, e non guardare il lago,
s’esso ti fa pensare ad una piaga
livida e brulicante. Sí, le nubi
gravano sopra i pini ad incupirli.
Ma noi ci porteremo ove l’intrico
dei rami è tanto folto, che la pioggia
non giunge a inumidire il suolo: lieve,
tamburellando sulla volta scura,
essa accompagnerà il nostro cammino.
E noi calpesteremo il molle strato
d’aghi caduti e le ricciute macchie
di licheni e mirtilli; inciamperemo
nelle radici, disperate membra
brancicanti la terra; strettamente
ci addosseremo ai tronchi, per sostegno;
e fuggiremo. Con la piena forza
della carne e del cuore, fuggiremo:
lungi da questo velenoso mondo
che mi attira e mi respinge. E tu sarai,
nella pineta, a sera, l’ombra china
che custodisce: ed io per te soltanto,
sopra la dolce strada senza meta,
un’anima aggrappata al proprio amore.

Antonia Pozzi

Madonna di Campiglio, 11 agosto 1929

da “Antonia Pozzi, Parole”, Garzanti, 1989

La celeste pazzia – Mariangela Gualtieri

Foto di Roberto De Mitri

 

Procedi piano. Lascia che la mano
esegua il fragile dettato.
Abbi fede in quel niente
che viene – quel niente che succede.
Non prendere la parola.
Lascia sia lei da sola. Diventa tu
la preda. Sia lei che ti cattura.

Mariangela Gualtieri

da “Quando non morivo”, Einaudi, Torino, 2019

Un uomo di parole – John Ashbery

John Ashbery

 

Il suo caso suscita interesse
ma scarsa simpatia; è più piccolo
di quanto non sembrasse a prima vista. Che contributo
dà la prima ortica se ciò che cresce
diventa uno sketch? Tre lati conchiusi,
il quarto aperto all’erosione delle intemperie,
uscite ed entrate, gesti intesi in modo teatrale
a interrompere ripetutamente come malerbe piegate su se stesse
mentre il giardino si satura di neve?
Ah, ma si sarebbe trattato di un altro, ben altro
spettacolo, non del sapore metallico
che ho in bocca mentre distolgo lo sguardo, densità nera come polvere infume
negli angoli in cui continua lo scrivere d’erba,
Rosarossa in luoghi inusitati come la pressione
di dita su un libro chiuso di scatto all’improvviso.

Quelle intricate versioni del vero vengono
sbrogliate, i ringhiosi grovigli estirpati
e sparpagliati. Dietro la maschera
permane una comprensione continentale
del bello, che s’appalesa di rado e quando lo fa già
muore sulle ali del vento che l’ha portato sulla soglia
della parola. Racconto consunto dal raccontare.
Tutti i diari s’assomigliano, limpidi e gelidi, con
la prospettiva di un gelo interminabile. Vengono collocati
in orizzontale, paralleli alla terra,
come i morti che non ci intralciano. Giusto il tempo di rileggere
e il passato ti scivola tra le dita, augurandosi che tu sia con lui.

John Ashbery

(Traduzione di Damiano Abeni)

da “Autoritratto entro uno specchio convesso”, Bompiani, 2019

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A man of words

His case inspires interest
But little sympathy; it is smaller
Than at first appeared. Does the first nettle
Make any difference as what grows
Becomes a skit? Three sides enclosed,
The fourth open to a wash of the weather,
Exits and entrances, gestures theatrically meant
To punctuate like doubled-over weeds as
The garden fills up with snow?
Ah, but this would have been another, quite other
Entertainment, not the metallic taste
In my mouth as I look away, density black as gunpowder
In the angles where the grass writing goes on,
Rose-red in unexpected places like the pressure
Of fingers on a book suddenly snapped shut.

Those tangled versions of the truth are
Combed out, the snarls ripped out
And spread around. Behind the mask
Is still a continental appreciation
Of what is fine, rarely appears and when it does is already
Dying on the breeze that brought it to the threshold
Of speech. The story worn out from telling.
All diaries are alike, clear and cold, with
The outlook for continued cold. They are placed
Horizontal, parallel to the earth,
Like the unencumbering dead. Just time to reread this
And the past slips through your fingers, wishing you were there.

John Ashbery

da “Self-Portrait in a Convex Mirror”, Penguin Publishing Group, 1972

Aspetta che scenda la temuta notte – Antonella Anedda

Katia Chausheva, Les fleurs d’hiver

 

Aspetta che scenda la temuta notte, che scompaia
la luce dal crepuscolo, e ruoti
la terra sul suo asse.
Questa è la verità di questa sera incerta
sui cespugli di acacie e sulle case
questa è la sua misura – un acro di deserto.

Sopporta i tuoi pensieri dentro il buio
che avanzino in fitte di memoria.
Puoi schierarli fino a crinali di spavento
fissarli vacillare quando la pianura si oscura
attenderne il ritorno ora che il cane tace
e la mente si spegne
per un attimo forma senza male
anima del geranio
teso sulla ringhiera.

Antonella Anedda

da “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999