Elogio alla durata – Thomas Amadei

Thomas Amadei

 

L’elogio della durata è
la condanna degli allibratori,
il purgatorio delle sale d’attesa,
la guerra di satelliti gravitazionali.
Polaroid di fontane ghiacciate, da
artefici ed inganni sono
spalmati sul dorso della realtà
sbattuta sulle nove colonne
del dramma quotidiano, mentre
la radio passa una canzone rivoluzionaria.
Messaggi in segreteria lasciati
a prendere polvere
fino ad esplodere di ricordi
con la memoria che
trabocca di dimenticanze.
Specchi, vetri e luci di Natale
appesi al labirinto delle idee,
un percorso di sopravvivenza all’amore
dove tutto si vince, quando
tutto sembra perso e
un folle all-in degli audaci
abbraccia la durata.

Thomas Amadei

18/02/21

Sonetto XIV.- Elizabeth Barrett Browning

Clotilde Sacharoff

XIV.

Se amarmi devi, amami sì, ma a patto
     Che sia sol per amor: «Per la figura
     L’amo,» non dire, «per la parlatura
Ch’ella ha soave, io l’amo per un tratto

Di pensiero al mio simil, che m’ha fatto
     In quel giorno obliar la vita dura.»
     Queste cose, amor mio, per lor natura
O per te cangiar possono, e disfatto

Potrebb’esser così l’amore sì sorto.
     E non mi amar per la pietà di cuore
         Che terge il pianto mio. Potrebbe il pianto

Cessare e l’amor tuo, pel tuo conforto.
         Ma solo per amor: così soltanto
     Tu m’amerai l’eternità d’amore.

Elizabeth Barrett Browning

(Traduzione di Mario Praz)

da “Sonetti dal portoghese”, 1850, in  “Poeti inglesi dell’ottocento”, Casa Editrice Marzocco, Firenze, 1925

∗∗∗

Sonnett XIV 

If thou must love me, let it be for nought
Except for love’s sake only. Do not say
«I love her for her smile—her look—her way
Of speaking gently,—for a trick of thought

That falls in well with mine, and certes brought
A sense of pleasant ease on such a day»—
For these things in themselves, Belovèd, may
Be changed, or change for thee,—and love, so wrought,

May be unwrought so. Neither love me for
Thine own dear pity’s wiping my cheeks dry,—
A creature might forget to weep, who bore

Thy comfort long, and lose thy love thereby!
But love me for love’s sake, that evermore
Thou may’st love on, through love’s eternity.

Elizabeth Barrett Browning

da “Sonnets from the Portuguese: Centennial Variorum Ed.”, Ed. and with an Introd. by Fannie Ratchford and Notes by Deoch Fulton, 1950

Fuga di pensieri – Hans Magnus Enzensberger

Edward Hopper, People in the Sun, 1960

 

Al momento tutto gira ancora,
tutto va bene,
fa il suo corso

Le nostre vittorie
ci sgusciano via
persino le nostre sconfitte
si sono rivelate fugaci

Precursori siamo noi
arrancanti dietro la posterità
o sopravvissuti, o rimasti,
in anticipo sul loro tempo

Anche la fine del mondo
è forse
soltanto un provvisorio

Al momento moriamo
in buona coscienza
nelle nostre sdraio

E poi vedremo

Hans Magnus Enzensberger

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “Musica del futuro”, Einaudi, Torino, 1997

∗∗∗

Gedankenflucht

Vorläufig läuft es noch,
geht gut,
geht seinen Gang

Unsere Siege
huschen an uns vorbei
Sogar unsre Niederlagen
haben sich als flüchtig erwiesen

Vorläufer sind wir,
die hinter der Nachwelt herhinken
oder Hinterbliebene,
die ihrer Zeit vorauseilen

Auch das Ende der Welt
ist vielleicht
nur ein Provisorium

Vorläufig sterben wir
seelenruhig
in unseren Liegestühlen

Dann sehen wir weiter

Hans Magnus Enzensberger

da “Zukunftsmusik”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1991

In principio erano i viaggi – Diego Baldassarre

Foto di Donata Wenders

 

In principio erano i viaggi 
lunghi quanto la villeggiatura 
Mio padre alla guida  
col finestrino aperto  
e tu nei polmoni di noi tutti 
Non mi piacevi e ti odiavo 
con la gelosia di un figlio 
Lui pensava e parlava 
da solo ma mai solo: 
tu eri con i suoi pensieri adulti 
 
Il seguito lo conosci: una figlia 
gelosa dei nostri silenzi 
Una promessa di padre mai  
mantenuta (Prima)

Diego Baldassarre

da “Memorie di un tabagista”, Il Babi Editore, 2021

MEMORIE DI UN TABAGISTA,  Il Babi Editore, 2021
POSTFAZIONE
Parrebbe vinta la personale lotta dell’io poetico con il fumo (Ho smesso di fumare/ e cerco compagnia) tanto che l’esito viene da subito annunciato: Una promessa di padre mai/ mantenuta (Prima). In realtà il titolo della raccolta tiene all’àncora il disincanto (tabagista, non “ex” tabagista), ma non apro la questione su quanta verità ci sia nella finzione letteraria: poco importa, Memorie di un tabagista parla di poesia molto più che di sigarette.
L’andamento diaristico si sfrangia in un presente riflessivo e a-storico, il sonetto pare gettato a terra e ricomposto con le crepe, il disordine e i pezzi mancanti di un vaso rotto, un muro di Gaudí. Stesso effetto in dissolvenza la sostituzione del punto fermo con la spaziatura tra le strofe: il tempo sospeso di una boccata.
La sigaretta è il “tu” lirico, percepita fin dall’infanzia come una compagna che ha saputo farsi di volta in volta consolatrice, confidente, primo amore da minorenne, bacio, mancanza e ritorno, cenere sulle poesie, fumo su cui aleggiano parole.
Tornano le immagini de La sigaretta di Palazzeschi (da Via delle cento stelle) e la leggerezza delle spire della Aleramo (Fumo di sigarette, in Momenti), poesie nate in un’epoca all’oscuro degli effetti della nicotina, che da essa prendeva sollievo, intimità.
Allora perché mettere fine al rapporto? Causa apparente è la salute (Abbandonarti…/…/per amore salutista), e da qui muove il racconto doloroso. Il capitolo sveviano del Fumo è un paradigma capovolto: Zeno non è in grado di smascherarsi, l’autore invece rievoca la propria esperienza con l’amara lucidità di chi si rivede costruire patetici autoinganni (gomme alla nicotina, rolla per prendere tempo), affrontare la mancanza con gesti compensatori che riconosce, cedere (Eppoi sei tornata tenace brace/ del desiderio/ a spezzarmi il fiato) e riprovare.
La causa reale però dell’abbandono è un’altra, anch’essa una compagna: la poesia.
Sottesa sempre, fa capolino qua e là in una penna, un libro, ma si mostra in piena urgente luce nel nesso fra il primo e l’ultimo testo che chiudono ad anello la raccolta e la vita insieme.
La poesia è canto, un canto sottile, ripete Baldassare, melodia modulata dal mantice dei bronchi. Più che dell’inchiostro quindi il poeta ha bisogno del respiro: sgombrati i fumi del primo amore, inspira parole a pieni polmoni ed espira, spinge la fisarmonica con forza e solo ora origina il canto (I polmoni sono vitali/ è lì che nasce la parola).
Ecco il motivo vero, l’impossibile ricaduta.
Camilla Ziglia

Per gli ebrei erranti – Philip Schultz

Foto di Izis Bidermanas

 

Questa stanza è riservata agli ebrei erranti.
Intorno a me, in altre stanze, le valigie guaiscono
come animali rinchiusi per la notte.

Il mio angelo custode, Stein, ha paura di dormire due volte
nello stesso letto. La costanza, pensa, attira i cosacchi nel buio.
Non si spiega la paura alla paura. La disperazione non ha orecchie, ma denti.

Nella stanza accanto sento la risata di una donna
& spingo la mano contro il muro. Le luci delle macchine mi bruciano
la carne fino a farla trasparente come vetro.

Mio padre è nato a Novo-Nikolayevka, Governatorato di Ekaterinoslav.
Ho come lui la fronte alta, gli occhi svegli, la risata fragorosa.
Miglia si srotolano sul palmo della mia mano.

Al di là di mille cortili la sua lapide
lo radica nella terra come un palo. Da solo, a letto,
sento il suo sangue che mi scorre nelle vene.

Da ragazzo passavo intere notti al luna park
a correre sul cilindro rotante della giostra verso la vetta magica,
dove credevo che mi sarei trovato al sicuro dal male, finalmente.

Come mi rompevo le ossa per liberarmene,
notte dopo notte, per tutta l’estate, io, ragazzo, mi arrampicavo
dall’altra parte del cielo, contro ogni scommessa,

come per essere tutt’uno con il tempo,
andavo sempre dove nessuno era mai stato prima,
le braccia mi sbattevano ai fianchi come ali.

Philip Schultz

(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)

da “Come ali”, in “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2018

∗∗∗

For the Wandering Jews

This room is reserved for wandering Jews.
Around me, in other rooms, suitcases whine
like animals shut up for the night.

My guardian angel, Stein, fears sleeping twice
in the same bed. Constancy brings Cossacks in the dark, he thinks.
You don’t explain fear to fear. Despair has no ears, but teeth.

In the next room I hear a woman’s laughter
& press my hand to the wall. Car lights burn
my flesh to a glass transparency.

My father was born in Novo-Nikolayevka, Ekaterinoslav Guberniya.
Like him, I wear my forehead high, have quick eyes, a belly laugh.
Miles unfold in the palm of my hand.

Across some thousand backyards his stone
roots him to the earth like a stake. Alone in bed,
I feel his blood wander through my veins.

As a boy I would spend whole nights at the fair
running up the fun house’s spinning barrel toward its magical top,
where I believed I would be beyond harm, at last.

How I would break my body to be free of it,
night after night, all summer long, this boy climbing
the sky’s turning side, against all odds,

as though to be one with time,
going always somewhere where no one had been before,
my arms banging at my sides like wings.

Philip Schultz

da “Like Wings”, Viking, 1978