L’universo ha un cuore? – Piero Bigongiari

Dirk Wüstenhagen

 

Il mare non è perfetto, nulla è
perfetto, nemmeno amare, nemmeno
la luce sul mio tetto. Tutto appare e
scompare. Forse ha bisogno di riposo
il tempo, il dubitoso abitatore
dello spazio, l’iroso corruttore
della felicità fino allo strazio.
Inquieto è il colombo viaggiatore
che, posato sul tetto, deve aprire
di nuovo le ali per tornare là
dove un giorno ha imparato a volare,
dove il cibo è posato sullo strame
e l’odore della sua discendenza
ha fame, non può far senza di lui.

Ma è un ritorno questo andare e stare,
il piovorno luccicare del sole
nel suo ambiguo occhieggiare tra le nubi,
(vidi così accovacciato Anubi
fissarmi dalle sabbie del deserto:
ero incerto, il simún si avvicinava…),
o è un definitivo allontanarsi
per dare un senso alla lontananza
– non è uno specchio algido l’assenza –,
alla distanza di ciò che inseparabile
da sé è più se stesso? È lontano
chi ha accolto in sé l’alterità. È la stanza
in cui sto che mi tiene, e viceversa
nulla trattiene ciò che si riversa
in delirio e che ora la sferza
del sole fustiga fino al suo
dolcissimo martirio? Quali mura
possono circoscrivere in ciò
che non dura la divina avventura?
È talvolta nel proprio controsenso
che matura più definito il senso.
La natura fa spesso questi scherzi
ai suoi figli dispersi, ai loro padri.

Qualche cosa si è perso della pena
dell’universo che lasciò il Big Bang
per sciamare coi suoi astri infuocati
– per trovare che cosa? L’infinito
è una rosa che si abbrustolisce,
un mito in cerca delle proprie origini.
Può tornare sull’indice di Dio
per cui additare fu già indicare
che può tornare chi se ne allontana?
La creta è ancora creta, in forma umana?
È nell’allontanarsi la misura
del passo del ritorno? Il giorno nasce
per traboccare dal proprio soggiorno
calcolato, la notte tra un lucore
e l’altro spare. Lo splendore è incandescente.
Anche il male ha un senso qualche volta…
E qualche volta è effimero l’eterno
come una fioritura in pieno inverno.

È così grama la felicità:
forse ti dà quello che non possiede,
la divina povertà di una fede…
La Creazione indaga la sua strana
condizione, se essa non può essere
che dove non può stare? Anche il mare,
anche il mare ha imparato la lezione
nel suo eterno ondeggiare e nel sentirsi
in alto sollevare e ricadere
nel suo alveo sotto la luce fredda,
di alabastro, dello sguardo lunare
che ha perduto il fuoco del suo astro?
Se la felicità talvolta è ebbra,
s’infebbra di dolcezza e crudeltà.

Scompare anche l’amore dove appare,
forse per irraggiare più felice
da lungi la sua azione? Cosa dice?
Bisbiglia, a un tratto grida, a un tratto tace.
Ma sa l’amore ritrovare il nido
o si è smarrito in una sua visione
troppo fugace? È suo, nell’universo,
questo grido, di chi ha perso se stesso?
O per converso chiama chi non sa
più ascoltarlo? È la trama che si smaglia
o s’infittisce, in mano a una brama
che più non sa se troppo o troppo poco
ama. Sulla ramaglia trema un fiore
su cui Aracne tesse la sua tela
assassina. Ha un cuore l’universo?
Insieme al suo è uno il mio tremore.
Che cosa ho trovato, cosa ho perso?

Piero Bigongiari 

3-5 febbraio 1996

da “Il silenzio del poema. Poesie 1996-1997”, Genova, Marietti, 2003

Dormi dunque… – Paul Celan

Paul Celan

 

DORMI dunque, ed il mio occhio rimarrà aperto.
La pioggia colmò la brocca, noi la vuotammo.
La notte germinerà un cuore, il cuore un breve stelo –
Ma per mietere è troppo tardi, falciatrice.

Vento notturno, così candidi sono i tuoi capelli!
Candido ciò che mi resta, candido ciò che perdo!
Ella conta le ore, e io conto gli anni.
Noi bevemmo pioggia. Pioggia, bevemmo.

Paul Celan

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “Papavero e memoria”, in “Paul Celan, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

∗∗∗

SO schlafe…

SO schlafe, und mein Aug wird offen bleiben.
Der Regen füllt’ den Krug, wir leerten ihn.
Es wird die Nacht ein Herz, das Herz ein Hälmlein treiben –
Doch ists zu spät zum Mähen, Schnitterin.

So schneeig weiß sind, Nachtwind, deine Haare!
Weiß, was mir bleibt, und weiß, was ich verlier!
Sie zählt die Stunden, und ich zähl die Jahre.
Wir tranken Regen. Regen tranken wir.

Paul Celan

da “Mohn und Gedächtnis”Erscheinungsjahr, 1952

Situazione – Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La forza del luogo comune,
dolorosa.
Lo zampillo della pompa nell’erba
sospiro inavvertito.
Il giardino all’imbrunire.
Seggiole in tondo, sdrai.
Sguardi noti s’incrociano: uno solo evasivo.
Generalmente calmi.

Sul rovescio del luogo comune
le campane del vespero. Inascoltate.
Da secoli e secoli a quest’ora
una spoglia ancora calda
di sangue e senso.
E attorno le rondini a migliaia.

Sono io tutto questo, il luogo
comune e il suo rovescio
sotto la volta che più e più s’imbruna.
Ma non può nulla contro un solo sguardo
di altri, sicuro di sé che si accende
dello sguardo mio stesso
contro gli occhi colpevoli
contro i passi furtivi che ti portano via.

Vittorio Sereni

da “Gli strumenti umani”, Einaudi, Torino, 1965

Ottobre – Patrick Kavanagh

Paul Gauguin, By the Stream, Autumn, 1885

 

O aura dorata di foglie, tu crei per me
Un mondo che era e tuttora è situato al di sopra del tempo,
Non ho bisogno di decifrare l’Eternità
Mentre cammino lungo questa strada arborea ai bordi di un villaggio.
Anche la brezza, perfino la temperatura
E il tipo di movimenti è precisamente lo stesso
Di quando spezzò il mio cuore per la gioventù che passa. Ora sono sicuro
Di qualcosa. Un qualcosa sarà sempre mio dovunque io sia.
Voglio lanciarmi sulla pubblica via senza dar peso
A nulla fuorché al mormorio di preghiera che la terra offre.
È ottobre su tutta la mia vita e la luce si impone allo sguardo
Come quando mi afferrò in un boschetto vicino alla tana della volpe.
Un uomo sta arando il terreno per la farina dell’inverno.
E i miei diciannove anni pesano come macigni sui miei piedi.

Patrick Kavanagh

(Traduzione di Saverio Simonelli)

da “Andremo a rubare in cielo”, Ancora, 2009

∗∗∗

October 

O leafy yellowness you create for me
A world that was and now is poised above time,
I do not need to puzzle out Eternity
As I walk this arboreal street on the edge of a town.
The breeze, too, even the temperature
And pattern of movement is precisely the same
As broke my heart for youth passing. Now I am sure
Of something. Something will be mine wherever I am.
I want to throw myself on the public street without caring
For anything but the prayering that the earth offers.
It is October over all my life and the light is staring
As it caught me once in a plantation by the fox coverts.
A man is ploughing the ground for winter wheat
And my nineteen years weigh heavily on my feet.

Patrick Kavanagh

da “Collected Poems”, W. W. Norton & Company, 1964

C’è come un dolore nella stanza… – Amelia Rosselli

Edward Hopper, Room in Brooklyn, 1932

 

C’è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

C’è come un rosso nell’albero, ma è
l’arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch’essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d’un destino
di uomini separati per obliquo rumore.

Amelia Rosselli

da “Documento”, 1966-1973, in “Amelia Rosselli, Le poesie”, Garzanti, 1977