La spiaggia – Vittorio Sereni

Gérard Laurenceau, Le Tréport, 2007

 

Sono andati via tutti –
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: – Non torneranno piú –.

Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari… Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe d’inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
                                                             Non
dubitare, – m’investe della sua forza il mare –
parleranno.

Vittorio Sereni

da “Gli strumenti umani”, Einaudi, Torino, 1965

Il gibbone – Giorgio Caproni

Francesco Menghini

A Rina

      No, non è questo il mio
paese. Qua
– fra tanta gente che viene,
tanta gente che va –
io sono lontano e solo
(straniero) come
l’angelo in chiesa dove
non c’è Dio. Come,
allo zoo, il gibbone.

     Nell’ossa ho un’altra città
che mi strugge. È là.
L’ho perduta. Città
grigia di giorno e, a notte,
tutta una scintillazione
di lumi – un lume
per ogni vivo, come,
qui al cimitero, un lume
per ogni morto. Città
cui nulla, nemmeno la morte
– mai, – mi ricondurrà.

1964

Giorgio Caproni

da “Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee”, Garzanti, 1965

«Queste poche parole» – Alessandro Parronchi

Foto di Roberto Nespola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Queste poche parole
che mi restano, ultimi detriti
di un tempio, o di una casa, ormai distrutti,
e come i vetri di un caleidoscopio
ricompongo, disordino, tramuto
in immagini nuove,
potessi farne un piccolo diadema
umile ma gradito!

Lo innalzerei, Maria, alla tua fronte
se al tuo viso potessi avvicinarmi,
se non fosse il tuo viso alto nel cielo…

E il cielo, in uno dei giorni più bui
dell’anno, come questo in cui tra nembi
piovosi tutti i sogni si distruggono,
si slargasse in un altro cielo azzurro!

Il cielo della nostra fede, e il cielo
della gioventù nostra, alto sugli alberi,
di cui pure fu detto che sarà
rovesciato come un vecchio vestito.

Alessandro Parronchi

da “Coraggio di vivere”, Milano, 1961

«Per quanto cerchi di dividere» – Franco Fortini

Franco Fortini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per quanto cerchi di dividere
con voi dal vero le parole,

la fede opaca di che vivo
è solo mia. La tento ancora

e l’occhio guizza, la saliva
brilla sull’orlo dei canini,

o incerti amici, o incerte prove.

*

Per quanto cerchi di conoscere
che cosa guarda dal sereno

dove il celeste posa in sé,
di questo sono certo e fermo:

i globi chiari, i lenti globi
templari cumuli dei venti

non sono me.

Franco Fortini

da “Composita solvantur”, Einaudi, Torino, 1994

La danza cieca – Roberto Mussapi

Mario Giacomelli

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Non attraversare la sua pelle, i fiumi che si diramano dalla sua fronte, c’è solo la notte nella stanza alla foce: su quella spiaggia camminerai come su mille lame e i tuoi piedi sanguineranno sempre».

Ma lei si staccò dall’acqua lasciando agli abissi il suo canto, vide il palazzo e le sue fiabe sparire nel vuoto, l’isola era lontana, forse una nave, o forse un gabbiano.

Su quella spiaggia camminò per cercarlo e le lame erano infinite come le luci della città lontana.

Non è ingratitudine, signora della notte, ma l’occhio del grande specchio precipitato dal cielo e la luce del mio coltello sollevato troppo fulminea perché io possa non guardarlo. Ho dormito riflessa nelle nubi sopra di me, volando sulle ali dei miei miracoli, non c’è una stella che non lasci una scia sulla sua nave, l’amore che non è ancora stato precede la sua origine.
Non c’è ingratitudine, sonno, ogni aurora segna la sabbia
bianca delle stesse orme e un principe dimentica il tuo canto, la lingua che hai mozzato, ma la strada è una stella e le lame luce infinita,

«fa’ che sia primavera eterna quando tornerò spuma del mare, fa’ che gli uccelli mi guardino!»

Nell’ennesima stanza crede di aver riconosciuto: ma ha scelto, e ora la sua nave è muta come un cane impazzito, ora i clarini d’oro perforano l’aria e la terrazza si allontana».

«Forse è un gabbiano».

Roberto Mussapi

da “Spume d’inverno”, (1977-79), in “La gravità del cielo”, Società di poesia – Jaca Book, Milano, 1984