A D. – Mario Benedetti

Foto di Anka Zhuravleva

 

Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dita, i tuoi capelli lunghi marrone.
Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.

Mario Benedetti

da “Umana gloria”, “Lo Specchio” Mondadori, 2004

Vecchiaia – Ghiannis Ritsos

Ghiannis Ritsos

 

Ah, sì, invecchiano anche le statue e le poesie.
Molti avevano preso parte a quella storia –
uomini, animali, bambini, fiumi, alberi,
ragazzi e ragazze con motociclette, due papere bianche,
il matto silenzioso con una cicca e una galletta;
ed era un mezzogiorno estivo d’oro e sventolavano
le piume della gallina sgozzata luccicando in aria,
e la zia Evanghelìa in cucina puliva le bamie,
e una grossa farfalla si posò sulla saliera.
Nessuno, proprio nessuno allora sapeva
che il transitorio passa nel mito. Alla stazione del treno
venne a sedersi su una panchina una vecchia vestita di nero
che teneva sul grembiule un cesto d’uova come se fosse
l’unica cosa che aveva al mondo. Si addormentò lì.
Qualcuno di passaggio le rubò il cesto. E cadde la notte.
Ah, sì, invecchiano anche le statue e le poesie e i ricordi degli eroi.

Ghiannis Ritsos

Karlòvasi, 23.VII.87

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “I negativi del silenzio”, 1987, in “Molto tardi nella notte”, Crocetti Editore, 2020

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Γηρατειά

Ἄναί, γερνᾶνε ϰαί τ’ ἀγάλματα ϰαί τά ποιήματα.
Πολλοί εἶχαν πάρει μέρος στήν ἱστορία ἐϰείνη –
ἄνθρωποι, ζῶα, παιδιά, ποτάμια, δέντρα,
ἀγόρια ϰαί ϰορίτσια μέ μοτοσιϰλὲτες, δυό ἄσπρες πάπιες,
ὁ σιωπηλός τρελός μ’ ἕνα άποτσίγαρο ϰι ἕνα παξιμάόι·
ϰι ἦταν τότε ἕνα χρυσό θερινό μεσημέρι ϰι ἀνεμίζαν
τά πούπουλα σφαγμένης ϰότας λάμποντας στόν ἀέρα,
ϰι ἡ θεία Εὐαγγελία στήν ϰουζίνα ϰαθάριζε μπάμιες,
ϰαί μιά μεγάλη πεταλούδα ϰάθησε στήν ἁλατιέρα.
Κανένας, μά ϰανένας δέν ἤξερε τότε
πώς τό παροδιϰό περνάει στό μύθο. Στό σταθμό τοῦ τραίνου
ἦρθε ϰαί ϰάθησε σ’ ἕνα παγϰάϰι μιά γερόντισσα μαυροφορούσα
ϰρατώντας στήν ποόιά της ἕνα ϰαλάθι αὐγά σά νά ’ταν
τό μόνο πράγμα πού ’χε στόν ϰόσμο. Ἐϰεῖ ἁποϰοιμήθη.
Κάποιος περαστιϰός τῆς πῆρε τό ϰαλάθι. Κι ἔπεσε ἡ νύχτα.
Ἄ, ναί, γερνᾶνε ϰαί τ’ ἀγάλματα ϰαί τά ποιήματα ϰι οἱ μνῆμες τῶν ἡρώων.

Γιάννης Ρίτσος

Καρλόβασι, 22.VII.87

da “Τά άρνητιϰα τñς σιωπñς”, 1987, in “Ἀργά, πολύ ἀργά μέσα στή νύχτα”, Κέδρος, 1991

Partirò – Nancy Cunard

Edward Drimsdale, Road, East of England, Autumn 1997

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’è fine alle cose; guarda il tramonto
Che solca i cieli eterno e inalienabile,
Ma non posso aspirare a quella caccia.
Un cieco
Vento freddo
Soffia e se ne va
Sospirando in lontananza; il passo errante
Tornerà più tardi. I corpi uccisi
In battaglia vanno in cielo su gambe spirituali,
Finché la terra non fa loro cenno
Di tornare sulla strada del ricordo.
E mai canzone
O cosa di avventura appassionata cade nella polvere
Guasta e avvizzita, quando da un cuore pulsante
È nata la sua voce
In un giorno vivido.
Di questo è fatto tutto ciò che chiedo
Una spada ardita da stringere in pugno
Per non temere le battaglie del tempo
                                          Magari un po’ di ruggine
Si posa su quello che non curiamo più.
Ma io ho chiuso la porta
A quelli che cianciano di morte, e partirò
A caccia di firmamenti senza fine.

Nancy Cunard

(Traduzione di Annalisa Crea)

dalla rivista “Poesia Nuova Serie”, Anno III, N. 14, Luglio/Agosto 2022, Crocetti Editore

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I Shall Depart

There is no end to things; behold the sunset
That sails aloft unseizable and deathless,
Though I may not aspire to that swift chase.
A blind
Cold wind
Blows and is gone again
Far in the distance sighing; his errant pace
Returns in later hour. The bodies slain
In battle climb to heaven on spiritual feet,
Till the earth beckon them again
To come and go on its remembered street.
And never a song
Or thing of passionate adventure falls to dust
Spoiling and faded, when from throbbing heart
Its voice has sprung
In some once-vivid hour.
Of such is fashioned all that I demand
As eager sword to carry in my hand,
So that I fear not on time’s battlefields.
                                      At most a little rust
Rankles on things that we no longer tend.
But I have closed my door
To those that prate of death, and shall depart
Coursing the firmaments that have no end.

Nancy Cunard

da “Sublunary”, London; New York: Hodder and Stoughton, 1923

Vola alta, parola… – Mario Luzi

Foto di Josef Sudek

 

Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…

La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?

Mario Luzi

da “Tutto perso, tutto parificato?”, in “Per il battesimo dei nostri frammenti”, 1978-1984, Garzanti, 1985

La notte – Dinos Christianòpulos

Andrew Wyeth

 

La notte aggrava la solitudine,
coltiva le nostre rovine segrete.

La notte elabora la bellezza,
fa a brandelli la nostra supplica.

La notte sbottona le nostre vene,
trova nascosti i nostri sogni e li divora.

La notte frantuma la delicatezza,
rinnova le nostre ferite –

e appena ci assicuriamo un corpo
subito lascia libere le sue lune.

Dinos Christianòpulos

(Traduzione di Filippo Maria Pontani)

da “Antologia della poesia greca contemporanea”, Crocetti Editore, 2004

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Ἡ νύχτα

Ἡ νύχτα ἐπιδεινώνει τή μοναξιά,
ϰαλλιεργεῖ τά ϰρυερά μοις ἐρείπια.

Ἡ νύχτα ἐπεξεργάζεται τήν ὧμορφιά,
ϰαταρραϰώνει τήν ἱϰεσία μοις.

Ἡ νύχτα ξεϰουμπώνει τίς φλέβες μας,
βρίσϰει ϰρυμμένα τά ὅνειρά μοις ϰαί τά τρώει.

Ἡ νύχτα πετσοϰόβει τήν τρυφερότητα,
ἁνανεώνει τίς πληγές μοις –

ϰαί σάν ἐξασφαλίσουμε ϰάνοι ϰορμί,
ἀμέσως ἀμολάει τά φεγγάρια της.

Ντῖνος Χριστιανόπουλος

da “Ποι ήματα 1949-1964”, 1967