A Jane: La Ricordanza – Percy Bysshe Shelley

Percy Bysshe Shelley by Alfred Clint

I.

Di tanti giorni, belli tutti
   E chiari come te, l’estremo,
L’estremo e più soave, è morto.
   Memoria, noi lo loderemo!
Su, vieni all’opra usata, traccia
   L’elogio di splendor distrutti:
Poi ch’or la Terra ha un’altra faccia,
   E il Ciel corruga il ciglio assorto.

II.

Dei pini andammo alla foresta
   Ch’orla all’Oceano il lido:
In casa stava la tempesta,
   La brezza nel suo nido.
Le nubi ai giochi lor partite,
   Brusìan tra il sonno l’onde,
E il Ciel col suo sorriso mite
   Tenea l’acque profonde.
Di là dal ciel venia quell’ora,
   Che ci schiarava il viso
Con una luce tal, che aurora
   Parea del Paradiso?

III.

Sostammo in mezzo ai pini, eretti
   Giganti dei deserti,
Dal nembo attorti ai rudi aspetti
   Come serpi conserti;
Al soffio degli azzurri fiati
   Nascean tra stelo e stelo
Colori e accordi delicati
   Come quelli del Cielo:
Sopite stavan or le fronde
   Come le verdi ondine,
Silenti  al par delle profonde
   Foreste oceanine.

IV.

Che calma! – un nodo sì tenace
   V’avea il silenzio astretto,
Che quell’inviolabil pace
   Più muta avresti detto
Pel suon del picchio; e pel sereno
   Nostro lieve respiro
Intorno a noi non venia meno
   La calma effusa in giro.
E un cerchio magico tracciato
   Delle remote sedi
Dei monti ai fiori di quel prato
   Esigui ai nostri piedi —
(Spirito intorno effuso, arcana
   Presenza inebriante) —
Pareva a pace indur l’umana
   Nostra angoscia un istante.
Ed io sentia che il centro, il cuore
   Del cerchio magico era
Un esser che infondea l’amore
   Nell’inerte atmosfera.

V.

Sostammo agli acquitrini: il velo
   Dei rami li rinserra;
Ciascun pareva un breve cielo
   Sprofondato sottoterra;
Un cielo d’un chiarore intenso
   Entro il terreno oscuro;
Più del notturno abisso, immenso
   E più del giorno, puro.
E lì crescean come nell’aria
   Le leggiadre foreste,
Perfette più di quante varia
   Fronda quassù riveste.
Là v’era il prato e la radura,
   E tra la verde cinta
Il sol brillava come aurora
   Da nube variopinta.
Parvenze dolci (mai non nacquero,
   In terra, pari a queste)
Fingea laggiù l’amor dell’acque
   Per le verdi foreste.
E il fondo, tutto d’un zaffiro
   D’Eliso era irrigato:
Un’atmosfera senza spiro,
   Un dì più delicato.
La scena, nell’amor, concessa
   Al sen dell’acque s’era
Con ogni foglia e linea espressa
   In forma più che vera.
Ma un vento sottentrò repente,
   Come un pensiero inviso
Che via dall’occhio della mente
   Discaccia un caro viso.
Se ben sei bella tu, e vivace
   Sempre il bosco ha la fronda,
Men spesso il cuor di Shelley ha pace,
   Ch’abbia riposo l’onda.

Percy Bysshe Shelley

(Traduzione di Mario Praz)

da “Poeti inglesi dell’ottocento”, Casa Editrice Marzocco, Firenze, 1925

***

To Jane: The Recollection

I.

Now the last day of many days,
   All beautiful and bright as thou,
The loveliest and the last, is dead,
   Rise, Memory, and write its praise!
Up,–to thy wonted work! come, trace
   The epitaph of glory fled,–
For now the Earth has changed its face,
   A frown is on the Heaven’s brow.

II.

We wandered to the Pine Forest
   That skirts the Ocean’s foam,
The lightest wind was in its nest,
   The tempest in its home.
The whispering waves were half asleep,
   The clouds were gone to play,
And on the bosom of the deep
   The smile of Heaven lay;
It seemed as if the hour were one
   Sent from beyond the skies,
Which scattered from above the sun
   A light of Paradise.

III.

We paused amid the pines that stood
   The giants of the waste,
Tortured by storms to shapes as rude
   As serpents interlaced;
And, soothed by every azure breath,
   That under Heaven is blown,
To harmonies and hues beneath,
   As tender as its own,
Now all the tree-tops lay asleep,
   Like green waves on the sea,
As still as in the silent deep
   The ocean woods may be.

IV.

How calm it was!–the silence there
   By such a chain was bound
That even the busy woodpecker
   Made stiller by her sound
The inviolable quietness;
   The breath of peace we drew
With its soft motion made not less
   The calm that round us grew.
There seemed from the remotest seat
   Of the white mountain waste,
To the soft flower beneath our feet,
   A magic circle traced,–
A spirit interfused around
   A thrilling, silent life,–
To momentary peace it bound
   Our mortal nature’s strife;
And still I felt the centre of
   The magic circle there
Was one fair form that filled with love
   The lifeless atmosphere.

V.

We paused beside the pools that lie
   Under the forest bough,–
Each seemed as ‘twere a little sky
   Gulfed in a world below;
A firmament of purple light
   Which in the dark earth lay,
More boundless than the depth of night,
   And purer than the day–
In which the lovely forests grew,
   As in the upper air,
More perfect both in shape and hue
   Than any spreading there.
There lay the glade and neighbouring lawn,
   And through the dark green wood
The white sun twinkling like the dawn
   Out of a speckled cloud.
Sweet views which in our world above
   Can never well be seen,
Were imaged by the water’s love
   Of that fair forest green.
And all was interfused beneath
   With an Elysian glow,
An atmosphere without a breath,
   A softer day below.
Like one beloved the scene had lent
   To the dark water’s breast,
Its every leaf and lineament
   With more than truth expressed;
Until an envious wind crept by,
   Like an unwelcome thought,
Which from the mind’s too faithful eye
   Blots one dear image out.
Though thou art ever fair and kind,
   The forests ever green,
Less oft is peace in Shelley’s mind,
   Than calm in waters, seen.

Percy Bysshe Shelley

da “The poetical works of Percy Bysshe Shelley”, A. & W. Galignani, 1841

Arpeggio – Giorgio Caproni

Dipinto di Hamish Blakely

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cristo ogni tanto torna,
se ne va, chi l’ascolta…
Il cuore della città
è morto, la folla passa
e schiaccia – è buia massa
compatta, è cecità…

Giorgio Caproni

196…

da “Il «Terzo libro» e altre cose”, Einaudi, Torino, 1968

Itaca – Costantinos Kavafis

Stephania Dapolla, The house of oracles Elefsis, Athens

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti − finalmente, e con che gioia −
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, piú profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantinos Kavafis

(Traduzione di Margherita Dalmàti e Nelo Risi)

da “Constantinos Kavafis, Cinquantacinque poesie”, Torino, Einaudi, 1968

∗∗∗

Itaca

Se ti metti in viaggio per Itaca
augurati che sia lunga la via,
piena di conoscenze e d’avventure.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi
o Posidone incollerito:
nulla di questo troverai per via
se tieni alto il pensiero, se un’emozione
eletta ti tocca l’anima e il corpo.
Non incontrerai Lestrigoni e Ciclopi,
e neppure il feroce Posidone,
se non li porti dentro, in cuore,
se non è il cuore a alzarteli davanti.
Augurati che sia lunga la via.
Che siano molte le mattine estive
in cui felice e con soddisfazione
entri in porti mai visti prima;
fa’ scalo negli empori dei Fenici
e acquista belle mercanzie,
coralli e madreperle, ebani e ambre,
e ogni sorta d’aromi voluttuosi,
quanti più aromi voluttuosi puoi;
e va’ in molte città d’Egitto,
a imparare, imparare dai sapienti.
Tienila sempre in mente, Itaca.
Tienila sempre in mente, Itaca.
La tua meta è approdare là.
Ma non far fretta al tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni;
e che ormai vecchio attracchi all’isola,
ricco di ciò che guadagnasti per la via,
senza aspettarti da Itaca ricchezze.
Itaca ti ha donato il bel viaggio.
Non saresti partito senza lei.
Nulla di più ha da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Sei diventato così esperto e saggio,
e avrai capito che vuol dire Itaca.

Costantinos Kavafis

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Costantino Kavafis, Le poesie”, Einaudi, Torino, 2015

***

Itaca

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l’emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell’Egitto,
a imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.

Constantinos Kavafis

(Traduzione di Filippo Maria Pontani)

da “Costantino Kavafis, Poesie”, “Lo Specchio Mondadori”, 1961

***

Itaca

Quando ti metti in viaggio per Itaca,
augurati che la strada sia lunga,
ricca di avventure e conoscenza.
Lestrigoni e Ciclopi
e l’irato Poseidone non temere,
mai ti si faranno incontro
se il pensiero resta alto, e un’emozione
profonda guida lo spirito e il corpo.
Lestrigoni e Ciclopi non incontrerai
e non ti imbatterai nell’arcigno Poseidone
se non li porti dentro
e l’anima non te li aizza contro.
Augurati che la strada sia lunga
e tanti i mattini d’estate
passati a entrare – e con quale piacere, quale gioia –
in porti ignoti: fermati
negli empori fenici
e acquista fine mercanzia,
madreperle e coralli, ebano e ambre,
profumi sensuali d’ogni genere,
più sensuali che puoi.
Vai per innumeri città d’Egitto
a imparare, imparare dai sapienti.
Tieni sempre Itaca in mente.
Raggiungerla è la tua meta.
Ma che non sia affrettato il viaggio.
Meglio che duri a lungo, per anni;
e che tu approdi all’isola da vecchio,
ricco di ciò che hai conosciuto lungo la via,
senza aspettarti altre ricchezze.
Itaca ti ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non l’avresti mai cominciato.
Non ha più nulla da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Saggio, con tutta la tua esperienza,
avrai ormai capito quel che significa un’Itaca.

Konstandinos P. Kavafis

(Traduzione di Paola Maria Minucci)

da “Konstandinos P. Kavafis, Tutte le poesie”, Donzelli Editore, 2019

***

 Ἰθάϰη

Σά βγεῖς στόν πηγαιμό γιά τήν Ἰθάϰη,
νά εὔχεσαι νά ναι μαϰρύς ὁ δρόμος,
γεμάτος περιπέτειες, γεμάτος γνώσεις.
Τούς Λαιστρυγόνας ϰαί τούς Κύϰλωπας,
τόν θυμωμένο Ποσειδῶνα μή φοβᾶσαι,
τέτοια στόν δρόμο σου ποτέ σου δέν θά βρεῖς,
ἂν μέν’ ἡ σϰέψις σου ὑψηλή, ἂν ἐϰλεϰτή
συγϰίνησις τό πνεῦμα ϰαί τό σῶμα σου ἀγγίζει.
Τούς Λαιστρυγόνας ϰαί τούς Κύϰλωπας,
τόν ἄγριο Ποσειδῶνα δέν θά συναντήσεις,
ἂν δέν τούς ϰουβανεῖς μές στήν ψυχή σου,
ἂν ἡ ψυχή σου δέν τούς στήνει ἐμπρός σου.
Νά εὔχεσαι νά ναι μαϰρύς ὁ δρόμος.
Πολλά τά ϰαλοϰαιρινά πρωϊά νά εἶναι
πού μέ τί εὐχαρίστησι, μέ τί χαρά
θά μπαίνεις σέ λιμένας πρωτοειδωμένους·
νά σταματήσεις σ’ ἐμπορεῖα Φοινιϰιϰά,
ϰαί τές ϰαλές πραγμάτειες ν’ ἀποϰτήσεις,
σεντέφια ϰαί ϰοράλλια, ϰεχριμπάρια ϰ’ ἔβενους,
ϰαί ἡδονιϰά μυρωδιϰά ϰάθε λογῆς,
ὅσο μπορεῖς πιό ἄφθονα ἡδονιϰά μυρωδιϰά·
σέ πόλεις Αἰγυπτιαϰές πολλές νά πᾶς,
νά μάθεις ϰαί νά μάθεις ἀπ’ τούς σπουδασμένους.
Πάντα στόν νοῦ σου νά χεις τήν Ἰθάϰη.
Τό φθάσιμον ἐϰεῖ εἶν’ ὁ προορισμός σου.
Ἀλλά μή βιάζεις τό ταξεῖδι διόλου.
Καλλίτερα χρόνια πολλά νά διαρϰέσει·
ϰαί γέρος πιά ν’ ἀράξεις στό νησί,
πλούσιος μέ ὅσα ϰέρδισες στόν δρόμο,
μή προσδοϰῶντας πλούτη νά σέ δώσει ἡ Ἰθάϰη.
Ἡ Ἰθάϰη σ’ ἔδωσε τ’ ὡραῖο ταξεῖδι.
Χωρίς αὐτήν δέν θά βγαινες στόν δρόμο.
Ἄλλα δέν ἔχει νά σέ δώσει πιά.
Κι ἂν πτωχιϰή τήν βρεῖς, ἡ Ἰθάϰη δέν σέ γέλασε.
Ἔτσι σοφός πού ἔγινες, μέ τόση πεῖρα,
ἤδη θά τό ϰατάλαβες ἡ Ἰθάϰες τί σημαίνουν.

Κωνσταντίνος Καβάφης

da “Τα ποιήματα” [Le poesie], 2 voll., Ikaros, Atene, 1963, edizione critica a cura di I. P. Savvidis.

(       ) – Eugenio De Signoribus

Eugenio De Signoribus

 

 

 

 

 

 

 

 

luce inerme, irredenta luce
che bruci nel mondo inospitale

tra i solchi scellerati e i cancelli
fissati dalla mente criminale…

nell’angolo cieco o nel vuoto delle stanze
tu sei, o nel pianto del luminìo campale…

il faro ipocrita illumina le bande
ma tu esisti, e cerchi i tuoi fratelli

Eugenio De Signoribus

da “Istmi e chiuse” Marsilio, 1996

Nient’altro – Ghiannis Ritsos

Ghiannis Ritsos

 

Queste finestre e questi alberi ti conoscono ancora.
Dunque, non sei andato via per sempre. Ragazzi dodicenni
entrano nei giardini, tagliano girasoli. Le navi
trasportano persone e merci. Fischiano.
Passano rondini e oche selvatiche. I tempi cambiano.
Ripetizioni estenuanti. Prigioni, partite di calcio, scioperi.
Un ombrello nero in corridoio. E tu
ti perdi lontano nel nostro comune ignoto, – tu
che non hai chiesto altro alla vita che rimanere qui da qualche parte
a odorare discretamente il più piccolo fiore.

Ghiannis Ritsos

Karlòvasi, 9.VII-22.VIII.87

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “L’albero nudo”, 1987, in “Molto tardi nella notte”, Crocetti Editore, 2020

∗∗∗

Τίποτ’ ἄλλο

Aὐτά τά παράθυρα ϰι αὐτά τά δέντρα σέ γνωρίζων ἀϰόμη.
Ὥστε, λοιπόν, δέν ἔφυγες γιά πάντα. Δωδεϰάχρονα ἀγόρια
μπαίνουν στούς ϰήπους, ϰόβουν ἡλιοτρόπια. Τά πλοῖα
μεταφέρουν ἀνθρώπους ϰι ἐμπορεύματα. Σφυρίζουν.
Περνᾶνε χελιδόνια ϰι ἀγριόχηνες. Οἱ ἐποχές ἀλλάζουν.
Κουραστιϰές ἐπαναλήψεις. Φυλαϰές, ποδόσφαιρο, ἀπεργίες.
Μιά μαύρη ὀμπρέλα στό διάδρομο. Κι ἐσύ
νά χάνεσαι πέρα στό ϰοινό μας ἄγνωστο, – ἐσύ
πού ἄλλο δέ ζήτησες στή ζωή παρά νά μείνεις ἑδῶ ϰαπου
μυρίζοντας διαϰριτιϰά τό πιό μιχρό λουλούόδι.

Γιάννης Ρίτσος

Καρλόβασ, 9.VII-22.VIII.87

da “Το γυμνό δέντρο”, 1987, in “Ἀργά, πολύ ἀργά μέσα στή νύχτα”, Κέδρος, 1991