Il lume, il dormiente – Yves Bonnefoy

                                           

                                               I

Non sapevo dormire senza di te, non osavo
Senza di te affrontare i gradini declivi.
Più tardi ho scoperto che questo è un altro sogno,
La terra dai precipiti sentieri nella morte.

Ti ho voluta allora al capezzale della mia febbre
Di non esistere, d’essere nero più di tanta notte,
E quando nel mondo inutile parlavo ad alta voce,
Avevo te, sulle vie del troppo vasto sonno.

Il dio in me urgente erano rive che rischiaravo
Con l’olio errante, ed eri tu a salvare i miei passi
Di notte in notte dalla voragine d’angoscia,
Di notte in notte, tu, alba, senza fine amore.

                                          II

– Su di te mi chinavo, valle di tante pietre,
Ascoltavo il mormorio del grave tuo riposo,
Scorgevo nel profondo dell’ombra che ti copre
Il luogo triste ove la schiuma s’imbianca, del sonno.

Ti ascoltavo sognare. Oh monotona e sorda,
Talvolta da una roccia invisibile spezzata,
Come si allontana la tua voce, aprendo fra le ombre
Il borro di un’esigua attesa mormorata!

Lassù, nei giardini di smalto, è vero
Che un empio pavone si accresce di luci mortali.
Ma basta per te la mia fiamma che oscilla,
Tu abiti la notte di una frase ricurva.

Chi sei? Di te conosco soltanto gli allarmi,
Nella tua voce gli affanni d’un rito incompiuto.
Tu dividi l’oscuro a sommo del desco,
E quanto nude le tue mani, oh sole in luce!

Yves Bonnefoy

(Traduzione di Diana Grange Fiori)

da “Pietra scritta” (1965), in “Yves Bonnefoy, L’opera poetica”, “I Meridiani” Mondadori, 2010

Due parti rispettivamente di tre e quattro quartine di versi alessandrini, tranne, in I, il v. 2, decasillabico.
I: questo testo, dopo la «contritio cordis» di HRD, fa pensare alla «confessto oris» di cui scrive Bigongiari per PE (La poesia imperfetta di Bonnefoy tra Hier régnant desert e Pierre écrite, in La poesia come funzione simbolica del linguaggio, Rizzoli, Milano 1972, p. 304). Il «tu» dell’interlocuzione, cui l’io poetico si rivolge, è l’amata che egli chiama a sé nell’insonnia (v. 1) e nel sonno, salvifica («tu sauvais», v. 10) guida dei suoi passi notturni verso l’alba, che l’apostrofe finale prolunga del carattere infinito dell’amore, è in tal senso anche il lume rassicurante del titolo che nell’infanzia rimaneva acceso durante il sonno.
II: quella che è stata definita «la sua prima poesia-dialogo» (Thélot 1983, p. 232) è in realtà un monologo che ricorre alle modalità enunciative dei discorso diretto libero. Il gesto di chinarsi da parte del lume che qui, si noti il trattino iniziale, si rivolge ora in risposta al dormiente, «Je me penchais sur toi» (v. 1), evoca i celebri versi baudelairiani «En me penchant vers toi, reine des adorées/Je croyais respirer le parfum de ton sang» (I Fiori del male, XXXVI,vv. 13-14). Per inversione speculare, qui è il lume che, divenendo a sua volta poeta, come lo è del resto l’amata, veglia colui che in I gli si rivolgeva (v. 2), lui che è, come già in I, v. 9, un «dieu»-«rives», qui ora «vallée de tant de pierres» (v. 1), ovvero la terra del qui in basso contrapposta alle altezze dei «jardins d’émail» abitate dal pavone, una nudità di mani sul tavolo, che, per la ripetizione mancata del sostantivo «seules (mains)» nell’apostrofe conclusiva, rivelano l’influenza stilistica di Jouve (Thélot 1983, p. 176).
Il «paon» (v. 10) è quello dei mosaici, significa l’arte in antitesi alla poesia, come si vede anche in Sailing to “Byzantium” di Yeats: «O sages standing in God’s hoiy fire / As in the gold mosaic of a wall». (Fabio Scotto)

∗∗∗

La lampe, le dormeur

I

Je ne savais dormir sans toi, je n’osais pas
Risquer sans toi les marches descendantes.
Plus tard, j’ai découvert que c’est un autre songe,
Cette terre aux chemins qui tombent dans la mort.

Alors je t’ai voulue au chevet de ma fièvre
D’inexister, d’être plus noir que tant de nuit,
Et quand je parlais haut dans le monde inutile,
Je t’avais sur les voies du trop vaste sommeil.

Le dieu pressant en moi, c’étaient ces rives
Que j’éclairais de l’huile errante, et tu sauvais
Nuit après nuit mes pas du gouffre qui m’obsède,
Nuit après nuit mon aube, inachevable amour.

II

— Je me penchais sur toi, vallée de tant de pierres,
J’écoutais les rumeurs de ton grave repos,
J’apercevais très bas dans l’ombre qui te couvre
Le lieu triste où blanchit l’écume du sommeil.

Je t’écoutais rêver. Ô monotone et sourde,
Et parfois par un roc invisible brisée,
Comme ta voix s’en va, ouvrant parmi ses ombres
Le gave d’une étroite attente murmurée!

Là-haut, dans les jardins de l’émail, il est vrai
Qu’un paon impie s’accroît des lumières mortelles.
Mais toi il te suffit de ma flamme qui bouge,
Tu habites la nuit d’une phrase courbée.

Qui es-tu? Je ne sais de toi que les alarmes,
Les hâtes dans ta voix d’un rite inachevé.
Tu partages l’obscur au sommet de la table,
Et que tes mains sont nues, ô seules éclairées!

Yves Bonnefoy

da “Pierre Écrite” (1965), in “Poèmes (1945-1974)”, Mercure de France, 1977

«Era la mia città, la città vuota» – Sandro Penna

Foto di Kees Scherer

 

Era la mia città, la città vuota
all’alba, piena di un mio desiderio.
Ma il mio canto d’amore, il mio più vero
era per gli altri una canzone ignota.

Sandro Penna

da “Poesie inedite” (1927-1955), in “Sandro Penna, Poesie”, Garzanti, 1987

L’ora di restare – Juan Vicente Piqueras

Foto di Mario De Biasi

 

Tutto è pronto: la valigia,
le camicie, le mappe, la mutua speranza.

Mi spolvero le palpebre.
Ho messo all’occhiello
la rosa dei venti.

Tutto è pronto: il mare, l’atlante, l’aria.

Ho il come, il quando, il dove,
un diario di bordo, le carte
di navigazione, venti a favore,
il coraggio e qualcuno che mi ama
come non so amarmi io.

La nave di noi, gli sguardi,
i pericoli, le mani incantate,
il filo ombelicale dell’orizzonte
che sottolinea questi versi sospesi…

Tutto è pronto. Sul serio. Andiamo.

Juan Vicente Piqueras 

(Traduzione di Juan Vicente Piqueras o Martha L. Canfield o Norbert Von Prellwitz o Lorenzo Blini)

da “Addio del fuggitivo”, in “Palme”, Edizioni Empirìa, 2005, con CD (Poesie scritte e lette da Juan Vicente Piqueras, musiche di Jamal Ouassini)

Le copie sono tutte firmate dall’autore e numerate dalla mano dell’amata.

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La hora de quedarse

Todo está preparado: la maleta,
las camisas, los mapas, la mutua esperanza.

Me estoy quitando el polvo de los párpados.
Me he puesto en la solapa
la rosa de los vientos.

Todo está a punto: el mar, el aire, el atlas.

Ya tengo el cómo, el cuándo,
el adónde, un cuaderno de bitácora,
cartas de marear, vientos propicios,
valor y alguien que sabe
quererme como no me quiero yo.

El nave de nosotros, las miradas,
los peligros, las manos del asombro,
el hilo umbilical del horizonte
que subraya estos versos suspensivos…

Todo está preparado. En serio. Vamos.

Juan Vicente Piqueras

da “Adiós del fugitivo”, in “Palmeras”, Diputación Provincial de Málaga, 2007

L’assenza – Diego Valeri

Amedeo Modigliani, Christina, c.1916

 

C’è, scavata nell’aria, la tua dolce
forma di donna; un vuoto
che palpita di te, come l’immoto
silenzio dopo una perduta voce.

Diego Valeri

daPoesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1967

Charles Webster – Edgar Lee Masters 

Nicola Bertellotti, Embrace

 

I boschi di pini sulla collina,
e la fattoria lontana miglia e miglia,
apparivano nitidi come dietro una lente
sotto il cielo di un azzurro pavone!
Ma una coperta di nuvole nel pomeriggio
avvolse la terra. E tu camminavi la strada
e il campo di trifogli, dove l’unica voce
era il tremolo vivo del grillo.
Poi il sole tramontò fra grandi cumuli
di lontane burrasche. Si levò un vento
e spazzò il cielo che attizzava le fiamme
delle stelle scoperte;
e faceva oscillare la luna rossiccia,
che pendeva fra l’orlo del colle
e i rami scintillanti del frutteto.
Tu camminavi soprappensiero sulla riva
dove le gole delle onde erano come civette
che cantassero sotto l’acqua e piangessero
allo sciacquío del vento in mezzo ai cedri.
Finché tu ti fermasti, troppo commossa per piangere,
e vicino alla casa, in alto, vedesti Giove,
che sfiorava la vetta del pino gigante,
e in basso vedesti la mia sedia vuota,
cullata dal vento nel portico solitario –
sii coraggiosa, Amore!

Edgar Lee Master

(Traduzione di Fernanda Pivano)

da “Spoon River Anthology”, Einaudi Editore, 1943

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Charles Webster

The pine woods on the hill,
And the farmhouse miles away,
Showed clear as though behind a lens
Under a sky of peacock blue!
But a blanket of cloud by afternoon
Muffled the earth. And you walked the road
And the clover field, where the only sound
Was the cricket’s liquid tremolo.
Then the sun went down between great drifts
Of distant storms. For a rising wind
Swept clean the sky and blew the flames
Of the unprotected stars;
And swayed the russet moon,
Hanging between the rim of the hill
And the twinkling boughs of the apple orchard.
You walked the shore in thought
Where the throats of the waves were like whip-poor-wills
Singing beneath the water and crying
To the wash of the wind in the cedar trees,
Till you stood, too full for tears, by the cot,
And looking up saw Jupiter,
Tipping the spire of the giant pine,
And looking down saw my vacant chair,
Rocked by the wind on the lonely porch −
Be brave, Beloved!

Edgar Lee Masters

da “Spoon River Anthology”, Mc Millan Company, New York, 1916