Transvaal – Angelo Maria Ripellino

Josef Sudek, Untitled, 1922

 

«Transvaal, Transvaal, terra mia,
tutta tu bruci di altissime fiamme…»

Cosí cantava, e sugli sci del vento
si perdette la voce. Fra i pini
angolosa come un poliedro era la luna,
con occhi di pesce malato.

«Transvaal, Transvaal» cantava per nessuno,
per se stesso, per tutti, per nulla.
E non sapeva se chi sa né come
e perciò non sapendo cantava.

Tutto avviene cosí. Le lunghe nuvole
distendono la coda di pavone
con occhietti di stelle. E la vita
goccia malinconia, mentre l’amore
vuol ritornare al primo giorno, al primo
sguardo che riempie di brividi.

«Transvaal, Transvaal» cantava. Nome vano
come «felicità», come «amore», come ogni
parola dolce che affligge e tortura,
perduta nel fondo della memoria,
dietro montagne di verde cristallo,
dietro bottiglie di mare spumoso,
dietro alberi di lacrime.

Angelo Maria Ripellino

da “Non un giorno ma adesso”, Roma, Grafica, 1960

La morte del poeta – Vladimír Holan

Joseph Sudek, Ràve de Pierre, 1953

 

L’ultimo suo desiderio non fu complicato:
fu un bimbo, che supplicava di ricevere una lettera dallo spazzacamino.
L’ultimo suo gesto fu del tutto semplice:
gettò via il lenzuolo dell’ospedale
in cui era tessuta un’immagine di donna divaricata.
L’ultima sua nudità fu del tutto semplice:
nessuno la baciava,
per quella non si rilasciavan neanche tessere di mendicanza.
Gli ultimi suoi occhi furono del tutto semplici:
tacquero così confessatamente che nessuno osò dire
che quest’anno è tutto pieno di vermi.
E l’ultimo suo ricordo fu un ricordo,
in un tempo remoto e in un remoto luogo visto,
d’un’alba nebbiosa di settembre,
un ricordo sbucato dalla nebbia,
per nulla perituro, costante, anzi fedele
d’un vermiglio ramoscello di amarene…

Vladimír Holan

(Traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová. Versi italiani di Marco Ceriani)

Dalla raccolta In progresso (Versi degli anni 1943 -1948)

da “Vladimír Holan, Addio?”, Arcipelago Edizioni, 2014

∗∗∗

Smrt básníka

Poslední jeho touha nebyla složitá:
bylo to dítě, jež žadonilo dostat dopis od kominíka.
Poslední jeho pohyb byl docela prostý:
odhodil špitální prostěradlo,
do něhož byl vetkán obraz rozkročené ženy.
Poslední jeho nahota byla docela prostá:
nikdo ji nelíbal,
na tu se nevydávaly už ani žebračenlcy.
Poslední jeho oči byly docela prosté:
mlčely tak doznaně, že se nikdo neodvážil říci,
že letos je všechno červivé.
A poslední jeho vzpomínka byla vzpomínka
na kdysi dávno a kdesi dávno zřené
mlhavé zářijové ráno,
vzpomínka na z mlhy vyhouplou,
nic nekončící, stálou, ba věrnou
zarudlou višňovou větývku…

Vladimír Holan

da “Na postupu: verše z let 1943-1948”, Československý spisovatel, 1964

O mio cuore… – Gesualdo Bufalino

Foto di Dennis Stock

 

O mio cuore, episodio
inutile, che spavento ti coglie
ora che un vento logora
le sembianze lebbrose delle foglie…

Come un ospite che nessuno sopporta
vado fra gli uomini, stanco
di chiedere in elemosina la morte.

Fossi almeno la bestia che buca
solenne e paziente la terra,
isola di carne nel buio,
superbia murata e sapiente!

Ma sono un pescatore senza tana,
un peccatore di pigri peccati,
sono un uomo sbagliato,
una costola d’Eva.

Gesualdo Bufalino

da “Rimanenze”, in “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1996

«Su nei monti le stelle sorprendono la pioggia scalpitante» – Thomas Bernhard

Thomas Bernhard

5

Su nei monti le stelle sorprendono la pioggia scalpitante
quando tocchi le labbra della mia miseria
e sotto il campanile
sul talamo invernale
decidi quando rintoccherà l’orologio che si sfalda.

Le bocche si beano del fiume del grano,
silenti brillano i ruscelli
nelle voci della notte di luna
che salgono da pozze abbandonate
verso mari prosciugati dalla sete.

Spargi ai gabbiani il sale dei tuoi occhi,
ma
apri ciò che hai soffocato nelle estati
mai odorate
e dissolviti nella bocca della mia ferita.

Thomas Bernhard

(Traduzione di Samir Thabet)

da “Thomas Bernhard, Sotto il ferro della luna”, Crocetti Editore, 2020

∗∗∗

5

In den Bergen überfallen die Sterne den stampfenden Regen
wenn du die Lippen meiner Armut anrührst
und unter dem Kirchturm
im winterlichen Brautbett
den Schlag der berstenden Uhr vorausbestimmst.

Die Münder schwelgen im Strom des Weizens,
lautlos schimmern die Bäche
in den Stimmen der Mondnacht
die aus verlassenen Tümpeln steigen
ausgetrunkenen Meeren zu.

Streu den Möwen das Salz deiner Augen,
aber
öffne was du in den niegerochenen Sommern
erstickt hast
und zerfalle im Mund meiner Wunde.

Thomas Bernhard

da “Unter dem Eisen des Mondes. Gedichte”, Kiepenheuer & Witsch, 1958 

Le vittime – Alfonso Gatto

Foto di Arianna Marchesani

 

La storia fosse scritta dalle vittime
altro sarebbe, un tempo di minuti,
di formiche incessanti che ripullulano
al nostro soffio e pure ad una ad una
vivide di tenacia, intente d’essere.

Gli inermi che si scostano al passaggio
delle divise chiedono allo sguardo
dei propri occhi la letizia ansiosa
d’essere vinti, il numero che oblia
la sua sabbia infinita nel crepuscolo.

Dei vincitori, ai ruinosi alberghi
del loro oblio, più nulla.
Rimane chi disparve nella sera
dell’opera compiuta, sua la mano
di tutti e il fare che è del fare il tenero.
È il nostro soffio che gli crede, il dubbio
di perderlo nel numero, tra noi.

Alfonso Gatto

da “La storia delle vittime. Poesie della resistenza”, Mondadori, Milano, 1966