I capelli – Charles Baudelaire

Dipinto di Sergio Cerchi

 

XXIII.

Capelli riccioluti sino alla scollatura!
Boccoli profumati carichi d’indolenza!
Estasi! Per popolare quest’oscura alcova
dei ricordi che dormono nella tua capigliatura
la scuoterò nell’aria come un fazzoletto.

La rovente Africa e la languida Asia,
tutto un mondo lontano, assente, quasi estinto,
vive nel tuo profondo, foresta di aromi!
Alcune anime navigano immerse nella musica,
la mia anima, amore, nuota nel tuo profumo.

Andrò laggiù dove colmi di linfa,
albero e uomo godono al calore dei climi.
Siate, forti trecce, l’onda che mi trascina!
Possiedi, mare d’ebano, il sogno meraviglioso
di vele, di vogatori, di bandiere e di alberi.

Un porto risonante, dove la mia anima beve
a vaste ondate profumi e suoni e colori,
dove vascelli scivolano sull’oro e sulla seta
e aprono ampie braccia per accogliere la gloria
d’un cielo puro e fremente d’eterno calore.

Affonderò la testa avida d’ebbrezza
nel tuo nero oceano dove l’altro è racchiuso;
e il mio sottile spirito cullato dal rollio
saprà ritrovarvi, o feconda pigrizia,
dondolii infiniti di piaceri odorosi!

O capelli blu, drappo teso di tenebre,
siete l’azzurro di un cielo immenso e rotondo;
sui bordi vellutati delle ciocche ondulate
con furore m’inebrio ai profumi confusi
di catrame, di muschio e di olio di cocco.

A lungo la mia mano nei tuoi spessi capelli
seminerà per sempre rubini zaffiri e perle
affinché tu non sia sorda al mio desiderio!
Non sei forse l’oasi in cui sogno e l’anfora
da cui bevo a gran sorsi il vino del ricordo?

Charles Baudelaire

(Traduzione di Marcello Comitini)

da “Spleen e Ideale”, in “I fiori del male 1857-1861”, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

I fiori del male 1857-1861, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

***

XXIII. La chevelure

Ô toison, moutonnant jusque sur l’encolure!
Ô boucles! Ô parfum chargé de nonchaloir!
Extase! Pour peupler ce soir l’alcôve obscure
Des souvenirs dormant dans cette chevelure,
Je la veux agiter dans l’air comme un mouchoir!

La langoureuse Asie et la brûlante Afrique,
Tout un monde lointain, absent, presque défunt,
Vit dans tes profondeurs, forêt aromatique!
Comme d’autres esprits voguent sur la musique,
Le mien, ô mon amour! nage sur ton parfum.

J’irai là-bas où l’arbre et l’homme, pleins de sève,
Se pâment longuement sous l’ardeur des climats;
Fortes tresses, soyez la houle qui m’enlève!
Tu contiens, mer d’ébène, un éblouissant rêve
De voiles, de rameurs, de flammes et de mâts:

Un port retentissant où mon âme peut boire
A grands flots le parfum, le son et la couleur;
Où les vaisseaux, glissant dans l’or et dans la moire,
Ouvrent leurs vastes bras pour embrasser la gloire
D’un ciel pur où frémit l’éternelle chaleur.

Je plongerai ma tête amoureuse d’ivresse
Dans ce noir océan où l’autre est enfermé;
Et mon esprit subtil que le roulis caresse
Saura vous retrouver, ô féconde paresse,
Infinis bercements du loisir embaumé!

Cheveux bleus, pavillon de ténèbres tendues,
Vous me rendez l’azur du ciel immense et rond;
Sur les bords duvetés de vos mèches tordues
Je m’enivre ardemment des senteurs confondues
De l’huile de coco, du musc et du goudron.

Longtemps! toujours! ma main dans ta crinière lourde
Sèmera le rubis, la perle et le saphir,
Afin qu’à mon désir tu ne sois jamais sourde!
N’es-tu pas l’oasis où je rêve, et la gourde
Où je hume à longs traits le vin du souvenir?

Charles Baudelaire

da “Spleen et Idéal”, in “Les Fleurs du mal”, Paris, Auguste Poulet-Malassis et de Broise, 1861

Notturno invernale – Antonia Pozzi

 

Cosí lieve è il tuo passo, fanciullo,
che quasi non t’odo,
dietro me, sul sentiero.
E cosí pura è l’ora, cosí puro
il lume delle grandi stelle
nel cielo viola
che l’anima schiarisce
dentro la notte
come i tetri pini che albeggiano
nel biancore della neve.
Un alto sonno tiene la foresta
ed i monti
e tutta la terra.
Come una grazia cade
dal cielo il silenzio.
Ed io ti sento l’anima battere,
dietro il silenzio,
come un filo vivo di acque
dietro un velo di ghiaccio –
e il cuore mi trema,
come trema il viandante
quando il vento gli porta
attraverso la notte
l’eco d’un altro passo
che segue il suo cammino.
Fanciullo, fanciullo,
sopra il mio cammino,
che va per una landa senza ombre,
sono i tuoi puri occhi
due miracolose corolle
sbocciate a lavarmi lo sguardo.
Fanciullo, noi siamo
in quest’ora divina
due rondini che s’incrociano
nell’infinito cielo,
prima di mettersi in rotta
per plaghe remote.
E domani saremo
soli
col nostro cuore
verso il nostro destino.
Ma ancora, nel profondo, tremerà
il palpito lontano delle ali sorelle
e si convertirà
in nuova ansia di volo.

Antonia Pozzi

gennaio 1931

da “Antonia Pozzi, Parole”, Garzanti, 1989

Sappiamo cos’è l’arte – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sappiamo cos’è l’arte, conosciamo bene il sentimento
di felicità che ci offre, a volte arduo, amaro, dolceamaro,
e a volte solo dolce, come una leccornia turca. Apprezziamo l’arte
perché vorremmo sapere cos’è la nostra vita. Viviamo,
ma non sempre sappiamo che cosa ciò significhi.
Quindi viaggiamo, o semplicemente in casa apriamo un libro.

Ricordiamo quel momento di luce davanti a un quadro,
e forse ricordiamo che nuvole scorrevano allora nel cielo.
Tremiamo sentendo il violoncellista suonare
le suite di Bach, o ascoltando il pianoforte cantare.
Sappiamo cosa può essere la grande poesia, un testo
scritto tremila anni fa o ieri.

Eppure non capiamo perché a volte
al concerto ci avvolge l’indifferenza. Non capiamo
perché alcuni libri sembrano offrirci perdono, remissione
mentre altri non nascondono la rabbia. Lo sappiamo, e poi
dimentichiamo. A stento immaginiamo perché a volte le opere d’arte
si accartoccino, chiudano come un museo italiano in sciopero.
E così anche le nostre anime. Non sappiamo
perché l’arte taccia, quando accade l’orrore,
a stento capiamo perché dell’arte in quei momenti
non abbiamo bisogno – come se l’orrore
ricolmasse il mondo totalmente, completamente, fino al tetto.
Non sappiamo cos’è l’arte.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “Asimmetria, 2014”, in “Guarire dal silenzio: Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

∗∗∗

Wiemy, czym jest sztuka

Wiemy, czym jest sztuka, dobrze znamy uczucie szczęścia
jakie nam daje, niekiedy trudne, gorzkie, gorzko-słodkie,
a czasem tylko słodkie, jak turecki smakołyk. Cenimy sztukę
bo chcielibyśmy wiedzieć, czym jest nasze życie.
Żyjemy, ale nie zawsze wiemy, co to znaczy.
Podróżujemy więc, albo po prostu otwieramy w domu książkę.

Pamiętamy moment olśnienia gdy staliśmy przed obrazem,
i pamiętamy też może, jakie obłoki płynęły wtedy po niebie.
Drżymy słysząc jak wiolonczelista gra
suity Bacha, gdy słuchamy, jak śpiewa fortepian.
Wiemy, czym może być wielka poezja, wiersz
napisany trzy tysiące lat temu albo wczoraj.

A jednak nie rozumiemy, dlaczego niekiedy na koncercie
ogarnia nas obojętność. Nie rozumiemy, dlaczego
niektóre książki zdają się ofiarowywać nam przebaczenie
a inne nie kryją swego gniewu. Wiemy, a potem zapominamy.
Z trudem tylko domyślamy się, dlaczego zdarza się, że dzieła sztuki
zwijają się, zamykają jak włoskie muzeum w dniu strajku (sciopero).
Dlaczego także nasze dusze zwijają się niekiedy i zamykają
jak włoskie muzeum w dniu strajku (sciopero).
Dlaczego sztuka milczy, gdy dzieją się rzeczy straszliwe,
dlaczego jej wtedy nie potrzebujemy – tak jakby rzeczy straszliwe
wypełniały świat całkowicie, kompletnie, po sam dach.
Nie wiemy, czym jest sztuka.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014

L’eruzione solare della notte – Piero Bigongiari

Josef Sudek, Untitled, n.d.

 

L’eruzione solare della notte
ti veste di dolcezza.

                                              Là il mare,
quella linea lontana che appare
tra le chiarie vieppiù decisiva,
nemmeno limita la tenerezza
del tuo sguardo tornato a speculare
se esiste per lei un orizzonte
verso cui andare, o se questo è qui.

Spengi le candele nelle stanze
che non ne hanno più bisogno,
dove filtra ancora lúbrica la luce del sogno,
scacci anche il sogno come un importuno:
sei in attesa di quanto altro scalpiccia
nel solito apparire del medesimo.
Mi offri un acino dell’uva dell’Avvento,
e anche lo stento della porta che ruota
lentamente sui cardini è una musica
meno ignota per me.

                                        Per te la ruota
del fato non ha finito il suo giro:
ammiro quello che lì non è stato
né mai sarà compiuto…

                                                 come il suono
del liuto che, ricordi, abbiamo udito
un dì straziare i segni del viaggio
e incoraggiarci, indegni di ogni altrove.
Eravamo, anche lì, davanti a un mare
quasi lustrale nella lontananza,

davanti all’irrintracciabile colmarsi
di chiarezza dello stesso mistero.
Là finivano le orme di ogni passo
come il cane che davanti all’acqua
di un fiume perde il fiuto e non può
pedinare il cammino del fuggiasco.

Ma davanti al mistero non è questo
un rifiuto: il divieto è dentro te,
dentro, vedi, il tuo sguardo discreto
che sul vetro dell’essere riposa
nella cui trasparenza altro non osa
che guardare al di là ma anche ritrarsene
come da una visione dolorosa.

La vita non è una cosa così strana:
tocchi entro di te qualcosa che
non ti appartiene come il Guadarrama
deserto e innevato che un giorno,
sorvolato dagli avvoltoi, vedemmo
rasentandone mentre andavamo
verso il regno dei morti dell’Escorial
i picchi e le rocce diluviali
che abbandonammo alle ali dei rapaci.

Perché taci davanti al tuo silenzio?

Piero Bigongiari

da “L’eruzione solare della notte”, in “Dove finiscono le tracce” (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996

«È avvelenato il pane, bevuto l’ultimo sorso d’aria» – Osip Ėmil’evič Mandel’štam

Osip Mandel’štam, photograph by Moses Nappelbaum

 

È avvelenato il pane, bevuto l’ultimo sorso d’aria.
Com’è difficile curare le ferite!
Giuseppe venduto in Egitto
non dovette soffrire nostalgia più forte!

Sotto il cielo stellato i beduini
a occhi chiusi, sul dorso del cavallo,
improvvisano libere ballate
sul loro giorno confuso.

Per trovare lo spunto basta poco.
Chi ha perso nella sabbia una faretra,
chi ha scambiato il cavallo. Degli eventi
lentamente si dissipa la nebbia.

A cantare davvero
e in pienezza di cuore, finalmente
tutto il resto scompare: non rimane
che spazio, stelle e voce.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

1913

(Traduzione di Serena Vitale)

da “Pietra”, in “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Poesie”, Garzanti, 1972

∗∗∗

«Отравлен хлеб, и воздух выпит»

Отравлен хлеб, и воздух выпит.
Как трудно раны врачевать!
Иосиф, проданный в Египет,
Не мог сильнее тосковать.

Под звездным небом бедуины,
Закрыв глаза и на коне,
Слагают вольные былины
О смутно пережитом дне.

Немного нужно для наитий:
Кто потерял в песке колчан,
Кто выменял коня — событий
Рассеивается туман;

И, если подлинно поется
И полной грудью, наконец,
Все исчезает — остается
Пространство, звезды и певец!

Осип Эмильевич Мандельштам

1913

da “Осип Мандельштам, Камень: стихи”, Акме, 1913