«Per l’alto valore dei secoli a venire» – Osip Ėmil’evič Mandel’štam

 

Per l’alto valore dei secoli a venire,
per la nobile stirpe umana ho rinunciato
anche ad alzare il calice al banchetto dei padri
e alla letizia e al mio stesso onore.

Mi incalza alle spalle il secolo-canelupo,
ma non ho sangue di lupo nelle vene;
ficcami piuttosto come un cappello nella manica
della calda pelliccia delle steppe siberiane,

che io non veda il vigliacco, né il gracile lerciume,
né le ossa insanguinate sulla ruota,
e per me tutta notte brillino volpi azzurre
nella loro bellezza primigenia.

Portami via nella notte, dove scorre l’Enisej
e il pino si slancia a toccare la stella,
perché nelle mie vene non c’è sangue di lupo
e soltanto un mio pari potrà uccidermi.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

17-28 marzo 1931

(Traduzione di Serena Vitale)

da “Testi sparsi e inediti”, in “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Poesie”, Garzanti, 1972

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Per amore della risonante audacia dei secoli a venire,
per amore dell’eccelsa schiatta umana
mi son negato la coppa del brindisi al festino dei padri
e l’allegria e il mio stesso onore.

Dietro di me avverto il balzo dell’èra sgozzalupi, ma sangue
di lupo io non ho, e se non vuoi che m’azzanni,
ficcami come un berretto nella manica della calda pelliccia
che ricopre le steppe siberiane…

Perché io non veda il pauroso né la molle sozzura
né le ossa lorde di sangue nel giro della ruota,
e tutta notte, nella loro primigenia bellezza,
rifulgano per me le volpi azzurre,

portami via nella notte dove scorre il fiume Eniséj
e a sfiorare una stella si leva il tronco del pino,
giacché non ho sangue di lupo e solo chi m’è
uguale può farsi anche mio assassino.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

17-28 marzo 1931, fine del 1935

(Traduzione di Remo Faccani)

da “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Ottanta poesie”, Einaudi, Torino, 2009

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«За гремучую доблесть грядущих веков»

За гремучую доблесть грядущих веков,
За высокое племя людей, —
Я лишился и чаши на пире отцов,
И веселья, и чести своей.

Мне на плечи кидается век-волкодав,
Но не волк я по крови своей:
Запихай меня лучше, как шапку, в рукав
Жаркой шубы сибирских степей…

Чтоб не видеть ни труса, ни хлипкой грязцы,
Ни кровавых кocтей в колесе;
Чтоб сияли всю ночь голубые песцы
Мне в своей первобытной красе, —

Уведи меня в ночь, где течет Енисей
И сосна до звезды достает,
Потому что не волк я по крови своей
И меня только равный убьет.

Осип Эмильевич Мандельштам

17-28 марта 1931, конец 1935

da “Sobranie socinenij”, a cura di P. Nerler, A. Nikitaev, Ju. Frejdin, S. Vasilenko, Moskva, 1993-1994

Elegia – Yehuda Amichai

Yehuda Amichai, Photo by Dan Porge

 

Non verrà il vento a disegnar sorrisi
sulla sabbia dei sogni. Sarà impetuoso il vento.
E vanno gli uomini senza fiori,
non come in sagre del raccolto i loro figli.
E pochi vincono e molti gli sconfitti,
che sfilano sotto l’arco dell’altrui trionfo
dove ogni cosa è in rilievo come i fregi sull’Arco di Tito,
il caldo letto amato, la fedele pentola corrosa,
e il candelabro, non quello a sette braccia, quello
semplice e buono, che non tradí neppure nelle notti d’inverno,
e il tavolo, domestico quadrupede che tace…
E li portano nei circhi a battersi con le belve,
e vedono teste nell’arena che li guardano
e come le lacrime dei loro figli il loro
coraggio è senza fine, superfluo e senza fine.
E nella tasca posteriore hanno fruscianti missive
e i vincitori gli mettono in bocca le parole
e se cantano, non è quello il loro canto,
e i vincitori li riempiono di rimpianti
come grossi pani da infornare,
ed essi col loro amore li cuociono
e i vincitori mangeranno il pane caldo, non loro.

Ma un po’ di amore gli resta addosso
come su antichi cocci i disegni primitivi:
la linea a tondo della prima, umile emozione,
e un ghirigoro di sogni,
e poi due linee parallele,
il reciproco amore,
o un minuscolo motivo floreale, memoria
di un’infanzia dagli alti steli e dalle gambe magre.

Yehuda Amichai

(Traduzione di Ariel Rathaus)

da “Adesso nel rumore (1963-1968)”, in “Yehuda Amichai, Poesie”, Crocetti Editore, 1993

«In modo inimitabile la vita sa mentire» – Marina Ivanovna Cvetaeva

 

In modo inimitabile la vita sa mentire:
al di là di attese e smentite…
Ma dal tremito di tutte le vene
lo puoi capire: è viva!

Come stesi sull’erba: azzurro, afa…
(Irretiti? che importa?) – cielo, suono…
Ronzio di cento pungiglioni…
Rallégrati! Sei stato tu a chiamare!

Non biasimarmi, amore, se in noi corpi
l’anima è stregabile a tal punto
che la fronte, ecco, inclina al sogno.
Sei stato tu a cantare!

Nel bianco libro dei tuoi silenzi,
nell’argilla selvaggia dei tuoi «sì»,
quieta reclino l’aggetto della fronte:
giacché il palmo della mano è vita.

Marina Ivanovna Cvetaeva

8 luglio 1922

(Traduzione di Serena Vitale)

da “Dopo la Russia e altri versi”, “Lo Specchio” Mondadori, 1988

***

«Неподражаемо лжет жизнь»

Неподражаемо лжет жизнь:
Сверх ожидания, сверх лжи…
Но по дрожанию всех жил
Можешь узнать: жизнь!

Словно во ржи лежишь: звон, синь…
(Что ж, что во лжи лежишь!) — жар, вал
Бормот — сквозь жимолость — ста жил…
Радуйся же!— Звал!

И не кори меня, друг, столь
Заворожимы у нас, тел,
Души — что вот уже: лбом в сон.
Ибо — зачем пел?

В белую книгу твоих тишизн,
В дикую глину твоих «да» —
Тихо склоняю облом лба:
Ибо ладонь — жизнь.

Марина Ивановна Цветаева

8 июля 1922

da “После России: 1922-1925”, YMCA-Press, 1928

Un giorno la vedremo intera, questa – Gabriele Galloni

Gabriele Galloni

Campo

Un giorno la vedremo intera, questa
stagione. Basterà
un fuoco in spiaggia a memoria di festa
e il bagnasciuga a dire l’aldilà
delle conchiglie mai raccolte:

Controcampo

così tante – ricordi? – Che per tutta
la notte ci hanno tormentato. In sogno
maree su maree di conchiglie.
Il letto ne fu invaso; le lenzuola
ci ferirono per tutto il tragitto fino alla spiaggia.

Gabriele Galloni

da “L’estate del mondo”, Marco Saya, 2019

Non scrivere… – Jiří Orten

 

Non scrivere, non leggere nemmeno,
c’è troppa luce qui.
Attingo lacrime d’odio,
mia triste mercede.

Sono sordo alle note del piano!
Non aspetto che sorga il mattino
dalla fragilità di Chopin.
O tu piccola anima, da che

pioggia spruzzata! È Dio
che ti spruzza di umane ferite.
Ma in un diluvio volevo correre io,
essere attinto dal cielo…

Non scrivere, non leggere nemmeno,
c’è troppa luce qui.
Sono un lamento da desiderio di foglie.
Senza la fede. Senza vesti.

Jiří Orten

6. 10. 1940.

(Traduzione di Giovanni Giudici e Vladimír Mikeš)

da “La cosa chiamata poesia”, Einaudi, Torino, 1969

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Už ani sár…

Už ani psát, už ani čísti,
je příliš světla tu.
Nabírám slzy nenávisti,
svou tesknou odplatu.

Jsem hluchý, hluchý pro piano!
Z křehkosti Chopina
nečekám již, že přijde ráno.
Dušičko kropená,

jaký to déšť! To Bůh tě kropí
lidskostí malých ran.
Toužil jsem běžet do potopy,
být nebem nabírán…

Už ani psát, už ani čisti,
je příliš světla tu.
Jsem jako nářek z touhy listí.
Bez víry. Bez šatů.

Jiří Orten

6. 10. 1940.

da “Deníky Jiřího Ortena”, Československý spisovatel, Praha, 1958