«Est in arundineis modulatio musica ripis» – Fëdor Ivanovič Tjutčev

Michael Kenna, Lake Bridge, Hongkun, Anhui, China, 2008

C’è una melodia nelle onde del mare,
Un’armonia nelle dispute degli elementi,
E un armonioso fruscio musicale
Scorre per gli ondeggianti canneti.

Un’armonia imperturbabile in ogni cosa,
Una piena consonanza nella natura,
Solo nella nostra fantomatica libertà
Noi ci riconosciamo discordi da essa.

Donde è sorta questa discordanza?
E perché nel coro universale
L’anima non canta ciò che canta il mare,
E, canna pensante, si ribella?

Fëdor Ivanovič Tjutčev

(Traduzione di Eridano Bazzarelli)

da “Fëdor I. Tjutčev, Poesie”, Rizzoli, 1993

Scritta l’11 maggio 1865. L’epigrafe (qui riportata come titolo) è un verso del poeta latino Decimo Magno Ausonio (IV sec.). L’immagine della canna pensante è di B. Pascal. È apparsa nel 1865 in «Russkij Vestnik».

∗∗∗

Est in arundineis modulatio musica ripis

Певучесть есть в морских волнах,
Гармония в стихийных спорах,
И стройный мусикийский шорох
Струится в зыбких камышах.

Невозмутимый строй во всем,
Созвучье полное в природе,—
Лишь в нашей призрачной свободе
Разлад мы с нею сознаем.

Откуда, как разлад возник?
И отчего же в общем хоре
Душа не то поет, что море,
И ропщет мыслящий тростник?

Фёдор Ива́нович Тю́тчев

Caramelle di menta – Milo De Angelis

Foto di Johnnie Shand Kydd

 

Da quanto tempo non entravo al Centro Schuster,
da quanto tempo non sentivo le frasi sconnesse e favolose
di Drino Danilovicˇ, il primo allenatore,
con il berretto a visiera, quello che accarezzava la porta
con il suo fazzoletto di cotone e con una vampata
di parole folgorava gli ippocastani.
«Mister, lei è ancora qui, nel campo a nove giocatori,
è ancora qui con lo stesso taccuino e la stessa matita».
«Sono sempre stato qui e ti aspettavo, ragazzo.
Ma tu? Sei rimasto l’inquieto pulcino
che correva sulla fascia e poi tremava? Oppure sei riuscito
a far pace con la vita?». «Mister, non lo so, ma sono qui,
sono tornato per saperlo».
«Sono soltanto tre, posso dirtelo, le regole del bene,
soltanto tre: portare il pallone nel soffio
della prima altalena, portare ogni dribbling in un balletto
astrologico, trovare in una stella
l’attimo giusto per il calcio di rigore».

Milo De Angelis

da “Linea intera, linea spezzata”, “Lo Specchio” Mondadori, 2021

La fine – Mark Strand

Mark Strand, photo di Chris Felver

 

Non ogni uomo sa cosa canterà alla fine,
guardando il molo mentre la nave salpa, o cosa sentirà
quando sarà preso dal rombo del mare, immobile, là alla fine,
o cosa spererà una volta capito che non tornerà più.

Quando è passato il tempo di potare la rosa, coccolare il gatto,
quando il tramonto che infiamma il prato e la luna piena che lo gela
non compariranno più, non ogni uomo sa cosa scoprirà al loro posto.
Quando il peso del passato non si appoggia a nulla, e il cielo

non è più che luce ricordata, e le storie di cirro
e cumulo giungono alla fine, e tutti gli uccelli stanno sospesi in volo,
non ogni uomo sa cosa lo attende, o cosa canterà
quando la nave su cui si trova scivola nel buio, là alla fine.

Mark Strand

(Traduzione di Damiano Abeni)

da “La vita ininterrotta”, 1990,  in “Mark Strand, Tutte le poesie”, Mondadori, 2019

***

The end

Not every man knows what he shall sing at the end,
Watching the pier as the ship sails away, or what it will seem like
When he’s held by the sea’s roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he’ll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he’ll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

Mark Strand

da “The continuous life”, Alfred A. Knopf, New York, 1990

«Su un tram ho visto in faccia la bellezza» – Franco Loi

Robert Doisneau, Marc and Christiane Chevalier on the Paris Metro, 1953

 

Su un tram ho visto in faccia la bellezza,
un tram sudato, di cappelli e giacche,
di impiegati con le facce della tristezza,
e donne grasse, e ombelichi sui tacchi;
ho visto la faccia che le bruciava il cuore
in una Milano che scivolava tra mucchi
di case addormentate, di uomini che sembrano morire,
di auto, bus, sirene e gas nell’aria,
e questo fuggire del tempo oltre la volontà…
Era una traccia franca, luce nell’aria,
nel ridere blu di occhi color del vento,
un vestito floscio d’un rosa che pare cangiante
al tremare del corpo al tocco del sentimento…
Io l’ho bevuta nel bello del suo guardare
e lei si è fatta festa tra la gente.

Franco Loi

da “Amur del temp”, Crocetti Editore, 1999

***

Sü ‘n tram û ‘ist in faccia la belessa,
un tram südâ, de cappell e giacch,
de impiagâ cuj face de la tristessa,
e de dònn grass, de bamburín cuj tacch;
û ‘ist la faccia che ghe brusava el cör
in ‘na Milan che la slisava aj fracch
de câ indurment, de òmm che par che mör,
de auto, buss, sirèn e gas ne l’aria,
e ‘stu scappà del temp föra del vör…
L’era ‘na faccia franca, lüs ne l’aria,
nel rídd al blö di öcc culur del vent,
un vestî flosc d’un rösa che par svaria
al trèm del corp al tucch del sentiment…
Mî l’u beüda nel bèll del sò vardà
e lé s’è fada festa tra la gent.

Prima che bruci Parigi – Nazim Hikmet

Henri Cartier-Bresson, Paris, 1958

 

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio 
    una di queste notti    
         sul lungosenna Voltaire     
             baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame  
    contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me 
   di gioia paura stupore 
   piangeresti silenziosamente 
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.
 
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna  
   sotto i salici, mia rosa, con te  
   sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi  
   le più ripetute, le più sincere  
   scoppierei di felicità  
   fischietterei una canzone  
   e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra 
    senza incavi né gobbe 
    appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
   illuminato dai proiettori 
   illuminato da noi due  
      il nostro splendido palazzo   
         di cristallo.
 
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi 
    ci siederemmo sui barili rossi  
    di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
– verso il Belgio o verso l’Olanda? –
davanti alla cabina una donna 
   con un grembiule bianco   
       sorride dolcemente.
 
Finché ancora tempo, mio amore  
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.
 
Nazim Hikmet

Parigi, 1958

Nazim Hikmet

(Traduzione di Joyce Lussu)

da “In esilio”

daNazim Hikmet, Poesie d’amore”, “Lo Specchio” Mondadori, 1963