Il resto manca – Bartolo Cattafi

Foto di Peter Stackpole

 

Mancavano pagine
il marmo dell’epigrafe
era scheggiato
due sole parole
cetera desunt
il resto mancante
mancanti la testa e i piedi
e tutto il resto mancante
che testa e piedi divide
cetera desunt…. cetera desunt…
parole sul frontone d’un tempio vuoto
vorticanti col vento come per dirci
solo noi ci siamo
tutto il resto manca
era questo che non sapevate.

Bartolo Cattafi

da “Tenebra e azzurro”, in “L’aria secca del fuoco”, Mondadori, 1971

Memoria II – Efeso – Giorgio Seferis

Josef Koudelka, Attica, Cape Sounion, Temple of Poseidon, 2003

 

Parlava seduto su un marmo
simile a rovina d’antico portale:
sterminato e vuoto a destra il campo
a sinistra scendevano le ombre dal monte:
«La poesia è ovunque. La tua voce
a volte incede al suo fianco
come il delfino che per poco ti accompagna
vascello d’oro nel sole
e poi scompare. La poesia è ovunque
come le ali del vento nel vento
che per un attimo hanno sfiorato le ali del gabbiano.
Uguale e diversa dalla nostra vita, come cambia
il volto di una donna che si è spogliata,
e tuttavia rimane uguale. Lo sa
chi ha amato: alla luce degli altri
il mondo implode; ma tu ricorda
Ade e Dioniso sono la stessa cosa».
Disse, e imboccò la grande strada
che mena al porto di un tempo, ora inghiottito
laggiú  fra i giunchi. Il crepuscolo pareva
per la morte di un animale,
cosí nudo.
                   Ricordo ancora:
viaggiava sulle coste della Ionia, in vuote conchiglie di teatri
dove solo la lucertola striscia sull’arida pietra,
e io gli chiesi: «Un giorno torneranno a riempirsi?»
E mi rispose: «Forse, nell’ora della morte».
E corse nell’orchestra urlando:
«Lasciatemi ascoltare mio fratello!»
Ed era duro il silenzio attorno a noi
e non rigato nel vetro dell’azzurro.

Giorgio Seferis

(Traduzione di Filippomaria Pontani)

(da Giornale di bordo III, 1955)

da “Antologia della poesia greca contemporanea”, Crocetti Editore, 2004

∗∗∗

Μνήμη, Β’

Ἔφεσος

Μιλοῦσε ϰαθισμένος σ’ ἕνα μάρμαρο
πού ἕμοιαζε ἀπομειυάρι ἀρχαίου πυλώνα·
ἀπέραντος δεξιά ϰι ἄδειος ὁ ϰάμπας
ζερβά ϰατέβαιναν ἀπ’ τό βουνό τ’ ἀπόσϰια:
«Εἶναι παντοῦ τό ποίημα. Ἡ φωνή σου
ϰαμιά φορά προβαίνει στό πλευρό του
σάν τό δελφίνι πού γιά λίγο συντροφεύει
μαλαματένιο τρεχαντήρι μές στόν ἥλιο
ϰαί πάλι χάνεται. Εἶναι παντοῦ τό ποίημα
σάν τά φτερά τοῦ ἀγέρω. μές στόν ἀγέρα
πού ἄγγιξαν τά φτερά τοῦ γλάρου μιά στιγμή.
Ἴδιο ϰαί διάφορα ἀπό τή ζωή μας πώς ἀλλάξει
τό πρόσωπα ϰι’ ὡστόσο μένει τό ἴδιο
γυναίϰας πού γυμνώθηϰει Τό ξέρει
ὅποιος ἀγάπησῖ οτό φῶς τῶν ἄλλων
ὁ ϰόσμος φθείρεται· μοί ἑσύ θυμήσου
Ἅδης ϰαί Διόνυσος εἶναι τό ἴδιο».
Εἷπε ϰαί πῆρε τό μεγάλο δρόμο
πού πάει στ’ ἀλλοτινό λιμάνι, χωνεμένο τώρα
πέρα στά βοῦρλα, Τό λυϰόφως
θά ’λεγες γιά τό θάνατο ἑνός ζώου,
τόσα γυμνό.
                    Θυμᾶμαι ἀϰόμη·
ταξίδευε σ’ ἄϰρες ἰωνιϰές, σ’ ἄδεια ϰοχύλια θεάτρων
ὅπου μονάχα ἡ σαύρα σέρνεται στή στεγνή πέτρα,
ϰι’ ἐγώ τόν ρώτησα: «Κάποτε θά ξαναγεμίσουν;» 
Καί μ’ ἀποϰρίθηϰε: «Μπορεĩ, τήν ὥρα τοῦ θανάτου».
Κι ἔτρεξε στήν ὀρχήστρα οὐρλιάζοντας:
«Ἀφῆστε με ν’ ἀϰούσω τόν ἀδερφό μου!»
Κι εἴταν σϰληρή ἡ σιγή τριγύρω μας
ια’ ἀχάραχτη στό γυαλί τοῦ γαλάζιου.

Γιώργος Σεφέρης

da “Ημερολόγιο Καταστρώματος Γ΄”, Ίκαρος, Αθήνα, 1955

Inno terzo – Piero Bigongiari

Foto di Noell S. Oszvald

 

Basta un uccellino posato sopra un’altana
e silenzioso che ti guardi come un aerolito
picchiettando col capino
a dirti che il mondo è piú grande della tua immaginazione,
piú lontano, piú attento: piú vicino.

Esplora il vento, cede, vede terra
verde e acqua torbida la rondine
che s’avvita al suo volo.
                                            Tu vicino
alla sua libertà ma qui con me
che pensi, che pensiero han queste pietre
nel tuo destino, gli ireos che nel vaso
sul tavolino sembrano volare
nella penombra?
                               La rondine è ferma,
erma della sua vita tra due venti,
e la rapina è in corso, nulla esplora
piú della sua fermezza questa ancóra
per un istante in equilibrio scelta
perduta, questo andarsene dei rami
a terra nella giravolta in volo…

Cosí si attacca il cuore a quel che ha visto
in sogno, in cielo, nel suo stesso sangue,
cosí, veduto, tutto è il suo contrario:
è vero, in terra, è l’arrossire primo
del figlio che correndo, da lontano
t’apre le braccia, sangue rattenuto
in pelle dalle lacrime.
                                        Anche il sangue
raggiorna in una stilla dolorosa
offerta a tutto quello che l’attornia
e lo tramanda equanime, il dolore
è solo moto, e resistenza al moto,
di questa luce spinta tra colori
diversi, che tra le diverse cose
fruga attenta, incisiva, anche festante
d’essere già diversa da quel ch’era
come la cagna che non ha padrone
annusa l’uno o l’altro, entra ed esce
di bottega in bottega ed attraversa
scodinzolando in tralice la strada:
luce certa, immutabile, hanno detto
i poeti, io direi meglio raminga…

Quello ch’è stato, questo impallidire
lo rinnova, non lo ripete, rondine
mentre cadi avvitata sulla gabbia
che una povera via cittadina
rallegra del suo pettirosso arguto
a un tratto ora col muto passeggero.

Piero Bigongiari

maggio – 2 giugno ’61

da “Torre di Arnolfo”, “Lo Specchio” Mondadori, 1964

Senza flash – Adam Zagajewski

Foto di Mario Dondero

Senza flash!
(un divieto spesso incontrato nei musei italiani)

Senza fiamma, senza notti insonni, senza ardore,
senza lacrime, senza una forte passione, senza convinzione,
così continueremo a vivere; senza flash.

Tranquilli e calmi, docili, assonnati,
le mani macchiate dall’inchiostro dei quotidiani,
i volti unti di crema; senza flash.

I turisti sorridono nelle loro camicie linde,
Herr Lange e Miss Fee, Monsieur, Madame Rien
entrano nel museo; senza flash.

E stanno davanti a un Piero della Francesca dove
Cristo, quasi folle, esce dalla tomba,
risorto, libero; senza flash.

E forse allora accadrà qualcosa di imprevisto:
si scuote il cuore, nascosto sotto il cotone liscio,
cala il silenzio, scatta il flash.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Paola Malavasi)

dalla rivista “Poesia”, Anno XVII, Maggio 2004, N. 183, Crocetti Editore

∗∗∗

Senza flash

(„senza flash” – „bez fleszu” – instrukcja dla turystów we włoskich muzeach i galeriach)

Bez płomienia, bez nocy bezsennych, bez żaru,
Bez łez, bez wielkiej namiętności, bez przekonania,
tak będziemy żyli: senza flash.

Spokojnie i miarowo, posłusznie i sennie,
dłonie poplamione czarną farbą gazet codziennych,
twarze tłuste od kremu: senza flash.

Uśmiechnięci turyści w bardzo czystych koszulach,
Herr Lange i Miss Fee oraz Monsieur et Madame Rien
wejdą do museum: senza flash.

Staną przed obrazem Piero della Francesca, na którym
Chrystus, prawie obłąkany, wynurza się z grobu,
zmartwychwstały, wolny: senza flash.

I może wtedy stanie się coś nieprzewidzianego,
poruszy się serce ukryte pod gładką bawełną,
zapadnie cisza, błyśnie flesz.

Adam Zagajewski

da “Pragnienie”, Wydawnictwo a5, Kraków, 1999

La guerra – Giovanni Raboni

Foto di André Kertész

 

Ho gli anni di mio padre – ho le sue mani,
quasi: le dita specialmente, le unghie,
curve e un po’ spesse, lunate (ma le mie
senza il marrone della nicotina)
quando, gualcito e impeccabile, viaggiava
su mitragliati treni e corriere
portando a noi tranquilli villeggianti
fuori tiro e stagione
nella sua bella borsa leggera
le strane provviste di quegli anni, formaggio fuso, marmellata
senza zucchero, pane senza lievito,
immagini della città oscura, della città sbranata
cosí dolci, ricordo, al nostro cuore.
Guardavamo ai suoi anni con spavento.
Dal sotto in su, dal basso della mia
secondogenitura, per le sue coronarie
mormoravo ogni tanto una preghiera.
Adesso, dopo tanto
che lui è entrato nel niente e gli divento
giorno dopo giorno fratello, fra non molto
fratello piú grande, piú sapiente, vorrei tanto sapere
se anche i miei figli, qualche volta, pregano per me.
Ma subito, contraddicendomi, mi dico
che no, che ci mancherebbe altro, che nessuno
meno di me ha viaggiato fra me e loro,
che quello che gli ho dato, che mangiare
era? non c’era cibo nel mio andarmene
come un ladro e tornare a mani vuote…
Una povera guerra, piana e vile,
mi dico, la mia, cosí povera
d’ostinazione, d’obbedienza. E prego
che lascino perdere, che non per me
gli venga voglia di pregare.

Giovanni Raboni

da “A tanto caro sangue”, (1956-1987), in “Tutte le poesie”, Einaudi, Torino, 2014