«Mi piacerebbe di me dimenticarmi» – Franco Loi

Brassaï, Paulette et André, 1949

 

Mi piacerebbe di me dimenticarmi,
e camminare, e respirare per te,
essere come i ragazzi che quando li prende il sole
si lasciano seminare dove lui vuole,
e mai ritrovarsi, e non piú capire di me stesso,
ma essere gioioso dell’aria che mi attira
là dove la vita si pensa vivere.

Franco Loi

da “Lünn”, Firenze, Il Ponte, 1982

∗∗∗

Me piasaríss de mí desmentegâss,
e camenà, e respirà per tí,
vèss cume i fjö che quand je branca el sû
se làssen sumenà due el vör lü,
e mai truâss, e pü capí de mí,
ma vèss giuius de l’aria che me tira
due che la vita la se pensa vîv.

Silenzio – Rainer Maria Rilke

Alessio Albi, Mirror, 2015

   

      Lo senti, amore?… Le mani sollevo,
ed è nell’aria — lo senti? — un fruscío.

     Entro la solitudine, perviene
come un suono ogni gesto
alle cose che origliano mute.

     Lo senti, amore?… Le palpebre inclino
e ti raggiunge un novello fruscío.

     Lo senti, amore?… Ridesto, le schiudo….
Oh perché mai non ti vedo, amor mio?

     D’ogni piú lieve mio gesto, rimane
come un’impronta tenace, che appare
nel serico silenzio.
Ogni piú labile moto s’incide
entro il velario disteso dell’ètere,
imperituro.

     Col mio respiro, in un ritmo, le stelle
via per il cielo discendono, salgono.
Alle mie labbra l’olezzo dei fiori
giunge qual filtro, che immemore bevo.
E riconosco tralucer nell’ombra
d’angeli ignoti un lontano accennare.

     Questo, e non altro, sognando ripenso….
Piú non mi avveggo, Diletta, di te….

Rainer Maria Rilke

(Traduzione di Vincenzo Errante)

da “Il libro delle immagini, 1902”, in “Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante”, Sansoni, 1941

∗∗∗

Die Stille

     Hörst du Geliebte, ich hebe die Hände —
hörst du: es rauscht… 

     Welche Gebärde der Einsamen fände 
sich nicht von vielen Dingen belauscht?  

     Hörst du, Geliebte, ich schließe die Lider 
und auch das ist Geräusch bis zu dir. 
Hörst du, Geliebte, ich hebe sie wieder…… 
… aber warum bist du nicht hier. 

     Der Abdruck meiner kleinsten Bewegung 
bleibt in der seidenen Stille sichtbar; 
unvernichtbar drückt die geringste Erregung 
in den gespannten Vorhang der Ferne sich ein. 

     Auf meinen Atemzügen heben und senken 
die Sterne sich. 
Zu meinen Lippen kommen die Düfte zur Tränke, 
und ich erkenne die Handgelenke 
entfernter Engel. 

     Nur die ich denke: Dich 
seh ich nicht. 

Rainer Maria Rilke

da “Das Buch der Bilder”, 1902

Infanzia – Rainer Maria Rilke

Felice Casorati, Le due bambine, 1912, Museo d’Arte Medievale e Moderna, Padova

 

Si dovrebbe riflettere a lungo per parlare
di certe cose che cosí si persero,
quei lunghi pomeriggi dell’infanzia
che mai tornarono uguali – e perché?

Dura il ricordo –: forse in una pioggia,
ma non sappiamo ritrovarne il senso;
mai fu la nostra vita cosí piena
di incontri, di arrivederci, di transiti

come quando ci accadeva soltanto
ciò che accade a una cosa o a un animale:
vivevamo la loro come una sorte umana
ed eravamo fino all’orlo colmi di figure.

Eravamo come pastori immersi
in tanta solitudine e immense distanze,
e da lontano ci chiamavano e sfioravano,
e lentamente fummo – un lungo, nuovo filo –
immessi in quella catena di immagini
in cui duriamo e ora durare ci confonde.

Rainer Maria Rilke

Parigi, intorno al I° luglio 1906

(Traduzione di Giacomo Cacciapaglia)

dalle “Nuove Poesie”, in “R. M. Rilke, Poesie II [1908-1926]”, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, Torino, 1994

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Kindheit

Es wäre gut viel nachzudenken, um
von so Verlornem etwas auszusagen,
von jenen langen Kindheit-Nachmittagen,
die so nie wiederkamen – und warum?

Noch mahnt es uns –: vielleicht in einem Regnen,
aber wir wissen nicht mehr, was das soll;
nie wieder war das Leben von Begegnen,
von Wiedersehn und Weitergehn so voll

wie damals, da uns nichts geschah als nur,
was einem Ding geschieht und einem Tiere:
da lebten wir, wie Menschliches, das Ihre
und wurden bis zum Rande voll Figur.

Und wurden so vereinsamt wie ein Hirt
und so mit großen Fernen überladen
und wie von weit berufen und berührt
und langsam wie ein langer neuer Faden
in jene Bilderfolgen eingeführt,
in welchen nun zu dauern uns verwirrt.

Rainer Maria Rilke

da “Neue Gedichte”, Insel-Verlag, Leipzig, 1907

Anelli del tempo – Margherita Guidacci

Frances Mortimer, Reflection, Paris, 1950s

 

Degli anelli del tempo, che si aggiungono
sempre nuovi, furono alcuni così stretti
che ne ricordo solo l’orrore di soffocare.
In altri, larghi e informi, vagai smarrita
senza un sostegno a cui aggrapparmi. I più,
pallidamente indifferenti, si ammucchiavano
gli uni sugli altri, subito saldandosi
senza nemmeno un segno di sutura.
Solo a pochi e per poco è tollerabile
riandare. Ma almeno questo, l’ultimo,
di cui oggi si chiude il cerchio, resta perfetto
nel mio cuore: cornice d’oro intorno
a uno specchio di gioia. Chiedo solo
di serbar quest’immagine. E che a te
uno stesso fulgore la riveli
e la circondi, allo scader dell’ora,
nel tuo specchio gemello.

Margherita Guidacci

da “Anelli del tempo”, Firenze, Città di Vita, 1992

Sei la mia consolazione più pura – Karin Boye

 

Sei la mia consolazione più pura,
sei il mio più fermo rifugio,
tu sei il meglio che ho
perché niente fa male come te.

No, niente fa male come te.
Bruci come ghiaccio e fuoco,
tagli come acciaio la mia anima –
tu sei il meglio che ho.

Karin Boye

(Traduzione di Daniela Marcheschi)

da “Karin Boye, Poesie”, Le Lettere, Firenze, 1994

∗∗∗

Du är min renaste tröst

Du är min renaste tröst,
du är mitt fastaste skydd,
du är det bästa jag har,
ty intet gör ont som du.

Nej, intet gör ont som du.
Du svider som is och eld,
du skär som ett stål min själ –
du är det bästa jag har.

Karin Boye

da “Dikter”, Albert Bonniers Förlag, 1952