
Édouard Boubat, Les Amoureux du banc public, jardin du luxembourg, Paris, 1980
Noi non saremo più quei due
che si abbracciano soli nelle ultime
file di sedie al cinema, che ridono,
che si cercano nel buio arcuato dei giardini
sotto le euforbie e gli alberi del pepe
che stanno ore a parlare sulle panchine
azzurre, si carezzano aspettando l’autobus
sotto le colonne delle pensiline.
Non più vasti aquiloni o pescherecci
isolani ci guarderanno al largo i baci.
Questo passato, come è facile
per noi dire ieri, Mary!
Niente ritornerà, né le passeggiate
per il corso Roosevelt, né il vestitino
celeste che le tue gambe magrissime
tagliavano quasi, né il mio sguardo
geloso, ossessionato. Niente. C’era
un tempio promesso, e non l’abbiamo
cercato. Dove andremo ora?
Non si devono sognare eterni gli amanti.
Eterno è quando il tempo finisce,
quando saremo sconosciuti, lontano.
Ma abbiamo camminato tanto mano per mano!
Non potremo continuare un po’ ancora
per vedere, restando insieme, l’essenza
del tramonto, l’essenza dell’aurora
su una strada che una sabbia di luce spazza
come quella deserta a Sud di Aswan?
Te la ricordi?
Giuseppe Conte
dall’antologia “Per amore”, Newton Compton, Roma, 2002
Un fuorviante incipit, quasi scontato,che sembra contenere già una fine, la fine.
Un finale imprevisto, che segna l inizio, il “continuare nuovamente”.
La risposta , a domanda retorica ,è in essa insita ed affermativa, scelta consapevole, accettazione audace del proseguire.L interlocutore vero e fondamentale ha quindi risposto. Il resto è già da “riscrivere”.
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