Vita Felix – Maria Grazia Calandrone

Nikolay Aleksandrov, Together to the end

 

Immaginavamo navi
come le stimmate del mare – immaginavamo navi
come steli di fiori marini e vette
di mare in terra – immaginavamo il rumore dell’isola, il mare che batteva come una fontana
alta e la terra era impregnata e dolce
e senza dolore – e certamente questo immaginare
era tornare
al paradiso per la strada aperta
dalle parole e i corpi
si muovevano tenui e disumani come se il mondo dovesse ancora venire. Se tu parlavi io vedevo l’isola
dove i morti chiariscono
corpi fatti di rami e fili d’erba,
stanno seduti con il sole in faccia sulla piccola costruzione del molo. Falde di luce che perfezioniamo.
Se tu parlavi io vedevo l’isola
con il giallo sferzante delle ginestre, l’attracco
silenzioso delle barche, la piazzetta in cemento, i cubi bianchi
dove siedono parallele le nostre figure
con occhi carichi di sguardo umano
e gli affetti lasciati nelle case
come una foce dimenticata.
Siamo una compagine di vento
un canneto di carne lapidata
un fluttuare canoro di risorti
che perdono
lacrime
dall’occhio interno
perché il vento deve restare vento
e la cenere cenere fino alla fine del mondo
perché questo lasciare che accada
è piú dell’amore, questo dire
chi deve andare vada.

Maria Grazia Calandrone

Roma, 26 febbraio 2009

da “Indizi sulle fondamenta della luna nuova”, in “Maria Grazia Calandrone, Sulla bocca di tutti”, Crocetti Editore, 2010

Annunciazione – Rainer Maria Rilke

André Kertész, “My Mother’s hands”, 1919

(Le parole dell’Angelo)

Tu non sei piú vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
Io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.

Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta.

Ho steso ora le ali, sono
nella casa modesta
immenso; quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.

Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento:
certo non fu mai cosí intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s’annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.

Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina…

Ma tu, tu sei la pianta.

Rainer Maria Rilke

(Traduzione di Giaime Pintor)

da “Il Libro delle immagini”, in “Rainer Maria Rilke, Poesie”, Einaudi, Torino, 1955

∗∗∗

Verkündigung

(Die Worte des Engels)

Du bist nicht näher an Gott als wir;
wir sind ihm alle weit.
Aber wunderbar sind dir
die Hände benedeit.
So reifen sie bei keiner Frau,
so schimmernd aus dem Saum:
ich bin der Tag, ich bin der Tau,
du aber bist der Baum.

Ich bin jetzt matt, mein Weg war weit,
vergieb mir, ich vergaß,
was Er, der groß in Goldgeschmeid
wie in der Sonne saß,
dir künden ließ, du Sinnende,
(verwirrt hat mich der Raum).
Sieh: ich bin das Beginnende,
du aber bist der Baum.

Ich spannte meine Schwingen aus
und wurde seltsam weit;
jetzt überfließt dein kleines Haus
von meinem großen Kleid.
Und dennoch bist du so allein
wie nie und schaust mich kaum;
das macht: ich bin ein Hauch im Hain,
du aber bist der Baum.

Die Engel alle bangen so,
lassen einander los:
noch nie war das Verlangen so, so
ungewiss und groß.
Vielleicht, dass Etwas bald geschieht,
das du im Traum begreifst.
Gegrüßt sei, meine Seele sieht:
du bist bereit und reifst.
Du bist ein großes, hohes Tor,
und aufgehn wirst du bald.
Du, meines Liedes liebstes Ohr,
jetzt fühle ich: Mein Wort verlor
sich in dir wie im Wald.

So kam ich und vollendete
dir tausendeinen Traum.
Gott sah mich an; er blendete…

Du aber bist der Baum.

Rainer Maria Rilke

da “Das Buch der Bilder”, Erscheinungsjahr, 1902

«Ciò che tu sei» – Pedro Salinas

Portrait of Louise Brooks by Eugene Robert Richee, 1920’s

[XXXIV]

Ciò che tu sei
mi distrae da ciò che dici.

Lanci parole veloci
inghirlandate di risa,
e mi inviti ad andare
dove mi vorranno condurre.
Non ti do retta, non le seguo:
sto guardando
le labbra dove sono nate.

Guardi, improvvisa, lontano.
Fissi lo sguardo lí, su qualcosa,
non so che, e scatta subito
a carpirla la tua anima
affilata, di saetta.
Io non guardo dove guardi:
sto vedendo te che guardi.

E quando tu desideri qualcosa
non penso a ciò che vuoi,
e non lo invidio: non importa.
Oggi lo vuoi, lo desideri;
domani lo scorderai
per un desiderio nuovo.
No. Ti attendo piú oltre
dei limiti, dei termini.
In ciò che non deve mutare
rimango fermo ad amarti, nel puro
atto del tuo desiderio.
E non desidero piú altro
che vedere te che ami.

Pedro Salinas

(Traduzione di Emma Scoles)

da “La voce a te dovuta”, Einaudi, Torino, 1979

∗∗∗

[XXXIV]

Lo que eres
me distrae de lo que dices.

Lanzas palabras veloces,
empavesadas de risas,
invitándome
a ir adonde ellas me lleven.
No te atiendo, no las sigo:
estoy mirando
los labios donde nacieron.

Miras de pronto a los lejos.
Clavas la mirada allí,
no sé en qué, y se te dispara
a buscarlo ya tu alma
afilada, de saeta.
Yo no miro adonde miras:
yo te estoy viendo mirar.

Y cuando deseas algo
no pienso en lo que tú quieres,
ni lo envidio: es lo de menos.
Lo quieres hoy, lo deseas;
mañana lo olvidarás
por una querencia nueva.
No. Te espero más allá
de los fines y los términos.

En lo que no ha de pasar
me quedo, en el puro acto
de tu deseo, queriéndote.
Y no quiero ya otra cosa
más que verte a ti querer.

Pedro Salinas

da “La voz a ti debida”, Madrid, Signo, 1933

Sei tornata ridendo dal mercato… – Ghiannis Ritsos

Nickolas Muray, Portrait of Louise Brooks

Parola carnale
                             2

Sei tornata ridendo dal mercato, carica
di pane, frutta e un’infinità di fiori. Sui tuoi capelli, vedo,
ha passato le dita il vento. Non lo amo il vento;
te lo ripeto. E poi, che te ne fai di tanti fiori? Quali fra tutti,
tra l’altro, ti regalò il fiorista? E magari nello specchio
del suo negozio è rimasta la tua immagine illuminata di lato
con una macchia blu sul mento. Non li amo i fiori. Sul tuo seno
un fiore grande quanto un giorno intero. Siedi dunque di fronte a me;
voglio guardare tutto solo come pieghi il ginocchio, e star lì a fumare
finché cada la notte misteriosa e s’alzi magnetica sul nostro letto
una luna popolare da sabato sera, col violino, il salterio e un clarinetto.

Ghiannis Ritsos

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Erotica”, Crocetti Editore, 1981

Prova a cantare il mondo mutilato – Adam Zagajewski

 

Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce
e ritorna.

Adam Zagajewski 

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

da “Dalla vita degli oggetti”, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012

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Spróbuj opiewać okaleczony świat

Spróbuj opiewać okaleczony świat.
Pamiętaj o długich dniach czerwca
i o poziomkach, kroplach wina rosé.
O pokrzywach, które metodycznie zarastały
opuszczone domostwa wygnanych.
Musisz opiewać okaleczony świat.
Patrzyłeś na eleganckie jachty i okręty;
jeden z nich miał przed sobą długą podróż,
na inny czekała tylko słona nicość.
Widziałeś uchodźców, którzy szli donikąd,
słyszałeś oprawców, którzy radośnie śpiewali.
Powinieneś opiewać okaleczony świat.
Pamiętaj o chwilach, kiedy byliście razem
w białym pokoju i firanka poruszyła się.
Wróć myślą do koncertu, kiedy wybuchła muzyka.
Jesienią zbierałeś żołędzie w parku
a liście wirowały nad bliznami ziemi.
Opiewaj okaleczony świat
i szare piórko, zgubione przez drozda,
i delikatne światło, które błądzi i znika
i powraca.

 Adam Zagajewski 

da “Wiersze wybrane”, Kraków, 2010