
Francois Kollar, Couple, c. 1930
Chi parla nella sera? Chi preme
ancora questo citofono? Cenere dei camion,
su quali labbra vuoi posarti? Misteriosa
ogni crescita. Benvenute, ombre. Eri
la trincea di ogni frase, un tuffo
nel petto immobile. Tu senza colore
scendevi nello specchio
delle sillabe solitarie. Cadevi
da un’antica giostra. Stella pesante,
acqua senza sonno, livido rimasto. Bacio
tradotto da una spina.
*
Strada dei tormenti, l’amore insiste.
Restammo vicino al passaggio a livello.
Tu perdevi i tuoi cieli. Come rispondere
all’immenso? Eravamo una frazione della voce,
sillabe disperse. Blocchi di partenza. Scacco
del respiro. L’estate affondò nell’asfalto.
Solo ora, come un grido, mi raggiunge.
Distruzione, tu mi hai generato.
*
Fermalo. Il portone sta fuggendo. Devi
guardare. È la solitudine dell’uomo,
il suo unico quartiere. Devi guardare.
Il citofono è acceso. Il gesto si aggrava.
Lassù brucia ancora quella giovane donna,
ti nomina nel sonno. Il pianto
vi ha chiamati. Tutti e due.
Così soli, adesso, nell’imminenza.
*
Non andare. Ora che la notte
ruota sui cardini
tra un tip tap impazzito di anime.
Questo citofono brilla
come una stella fissa. La sua voce
ti ha spogliato. Il sangue tuona
tra i pensieri. Non
andare. Non farti portare via
dalla partita, da un’idea dell’amore
che muta con un numero.
*
La luce parlava. Sulla tua fronte
il prodigio. La nudità
di tutto il sangue. Un vestito,
i gialli, gli azzurri,
un colletto. Il citofono chiede ancora
la tua voce. Se non parli,
tutto si oscura. Solitudine saliente.
Solitudine innata. Congiungersi
dei petti nel nulla. Stretta alla terra,
ruota la parola.
*
Ora ti conosci,
prigione del dolore, cenere
delle tue mani. Non riesci
a perdere il filo. Vedi
la notte arrivare. Vedi questa
notte dei citofoni muti.
……………………………………….
……………………………………….
……………………………………….
Vedi questa notte
posseduta
dalle donne. La luce
si allontana dai corpi
senza limite. Annuncio
deportato. Specchio attonito,
esule nella tua stanza.
Afferri un foulard
come una grazia inutile,
entri nelle stringhe
del pensiero. Crei una data,
sei perduto.
*
Cosa hai chiesto? Qualcosa
si affacciava sulla riva del mondo.
Qualcosa al tempo stesso rovinava. Volevi
l’ultima parola. La volevi
così stretta alla vicenda
da essere il tuo sangue. Cosa hai chiesto?
Volevi l’altissimo dono,
la perfezione di essere solo.
*
Sotto i nostri cappotti
le grida smarriscono il ritmo. E tu,
bianca esperienza della pioggia,
sei entrata nel tuo demone. Discordia
nel respiro. L’officina del gas, di fronte a noi,
scompare. Un impasto
di frasi sull’asfalto. Siamo soli,
in un silenzio precedente.
Così ti sfioro le labbra,
mio distico trafitto.
*
Tu dov’eri? Ti aspettavo
in uno stupore giovanile.
Il canto inseguiva la tua gola,
il tuo assoluto andirivieni.
Un sasso precipita
su tutti gli dei del sorriso, su tutti i versi
che uno chiama nulla
se scompari.
Dov’eri? Io ero lì, ero
nel cortile che fu tutto. Ero lì, inchiodato
a un esistere sparito.
Vanno
le fughe dei ragazzi verso un luogo
bianco e feroce.
Milo De Angelis
da “Quell’andarsene nel buio dei cortili”, “Lo Specchio” Mondadori, 2010
L’ha ribloggato su SESTOSENSOPOESIA feliceserino's blog.
"Mi piace""Mi piace"