Amori – Valerio Magrelli

Ingrid Bergman e Humphrey Bogart in “Casablanca”, di Michael Curtiz, 1942

 

Ogni volto fotografato
è un’immagine bellica,
il punto di tangenza
tra l’aereo nemico e la nave
nell’attimo che precede l’esplosione.
Fermo nell’istantanea,
nel contatto flagrante tra due sguardi
immolato, ripreso
mentre le fiamme covano già
nella fusoliera crescendo
dentro i suoi tratti, vive
soltanto il tempo necessario
a compiere la missione del ricordo.

Che cosa sono i gessi di Pompei,
calchi, prototipi o statue?
Forse piante,
le piante ruderali,
che sorgono dalla rovina di una forma
e scelgono una curva,
un invaso di pietra
come luogo della loro fioritura.

Fibonacci

Osservo il panorama della fronte
nella sua piena nudità,
nel numero, lo stesso, che produce
la crescita dei rami,
la facciata leggera di una chiesa,
le spire della chiocciola,
le foglie.

Appena modellato,
la tornitura delle cinque dita,
la foglia dell’orecchio,
l’incocca delle braccia,
l’edificio del piede.
Come fosse la forma delle forme,
l’abisso morfologico nel quale
anche l’aberrazione trova posto,
il misurato orrore del capello
la cui punta si duplica.

Ha braccia di corrente trasparente
e tersa, lunga e pallida sul greto
delle gambe. È un ruscello
dove nuotano i pesci delle orecchie
dolci, lenti, gemelli,
sotto la superficie fibrata del suo sguardo.

Uno vicino all’altro dopo il pasto
stanno i bicchieri degli sposi, congiunti
in una adiacenza nuziale.
Ovunque, contagiando
vestiti e suppellettili
la coppia tradisce il suo passaggio
e lascia dietro sé
cose abbinate, pari, toccantisi
tra loro, testimoni,
paia del mondo.

Ho spesso immaginato che gli sguardi
sopravvivano all’atto del vedere
come fossero aste,
tragitti misurati, lance
in una battaglia.
Allora penso che dentro una stanza
appena abbandonata
simili tratti debbano restare
qualche tempo sospesi ed incrociati
nell’equilibrio del loro disegno
intatti e sovrapposti come i legni
dello shangai.

La terra fuori è bella, bianca, verde e rossa ma dentro è di colore nero, piú scura della morte.
Walther von der Vogelweide

Dalla notte anatomica sale
la nudità.
Férmati sulla soglia, guardala
luccicare, la moneta,
liscia, polita,
sopra cui distingui
il volto lavorato a sbalzo,
la lega morbida dell’incarnato.
Il profilo sta fermo, non supera
la linea che gli viene assegnata,
miracolosamente trattenuto
trattiene a sé l’immagine,
la chiude nel cerchio del suo prezzo,
nella suprema decapitazione.

Valerio Magrelli

da “Nature e venature”, “Lo Specchio” Mondadori, 1987

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