«Porto in salvo dal freddo le parole» – Francesco Scarabicchi

Josef Sudek

L’alba vinceva l’ora mattutina…
(Purgatorio, I, 115)

Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.

Francesco Scarabicchi

da “Il prato bianco”, Einaudi, Torino, 2017

Cammina pure, condannato a morte – Miklós Radnóti

 

Cammina pure, condannato a morte!
nei cespugli si nascondono vento e gatto,
la fila degli alberi scuri ti crolla
addosso: dallo spavento
la strada diventa gobba e bianca.

Su, rattrappisci, foglia autunnale!
Rattrappisci, orrido mondo!
dal cielo fiata il freddo
e le ombre delle oche selvatiche
cadono su fili d’erba tesi e arrugginiti.

Oh, poeta, adesso vivi immacolato
come gli abitanti dei nevai percorsi dal vento
senza peccato,
come i devoti, minuscoli
bambin Gesù nei vecchi quadri.

Duramente, come i grandi lupi,
da tante ferite sanguinanti.

Miklós Radnóti

(1934)

(Traduzione di Edith Bruck)

da “Mi capirebbero le scimmie”, Donzelli Poesia, 2009

∗∗∗

Járkálj csak, halálraítélt

Járkálj csak, halálraítélt!
bokrokba szél és macska bútt,
a sötét fák sora eldől
előtted: a rémülettől
fehér és púpos lett az út.

Zsugorodj őszi levél hát!
zsugorodj, rettentő világ!
az égről hideg sziszeg le
és rozsdás, merev füvekre
ejtik árnyuk a vadlibák.

Ó, költő, tisztán élj te most,
mint a széljárta havasok
lakói és oly bűntelen,
mint jámbor, régi képeken
pöttömnyi gyermek Jézusok.

S oly keményen is, mint a sok
sebtől vérző nagy farkasok.

Miklós Radnóti

da “Járkálj csak, halálraítélt”, Nyugat kiadása, Budapest, 1936

The fifth book of poems published by Radnóti during his lifetime. In 1937 he was awarded the prestigious Baumgarten Prize for the collection.

«Ci esercitiamo già alla morte di domani» – Nelly Sachs

Nelly Sachs

 

Ci esercitiamo già alla morte di domani 
quando ancora appassisce in noi l’antica morte – 
Oh, angoscia insostenibile dell’uomo – 

Oh, abitudine alla morte fin nei sogni 
dove la morte si frantuma in nere schegge 
e l’ossea luna rischia le rovine – 

Oh, angoscia insostenibile dell’uomo – 

Dove sono i dolci rabdomanti, 
angeli di quiete, che toccano per noi 
la segreta fonte che dalla stanchezza 
stilla nella morte?

Nelly Sachs

(Traduzione di Ida Porena)

da “Le stelle si oscurano”, in “Al di là della polvere”, Einaudi, Torino, 1966

∗∗∗

«Wir üben heute schon den Tod von morgen»

Wir üben heute schon den Tod von morgen
wo noch das alte Sterben in uns welkt –
O Angst der Menschheit nicht zu überstehn –

O Todgewöhnung bis hinein in Träume
wo Nachtgerüst in schwarze Scherben fällt
und beinern Mond in den Ruinen leuchtet –

O Angst der Menschheit nicht zu überstehn –

Wo sind die sanften Rutengänger
Ruhe-Engel, die den verborgnen Quell
uns angeführt, der von der Müdigkeit
zum Sterben rinnt?

Nelly Sachs

da “Sternverdunkelung: Gedichte”, Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1949

Turbamento – Anna Andreevna Achmatova

Paul Luknitsky, Anna Achmatova, c. 1925

1.

La luce incandescente soffocava,
e i suoi sguardi parevano raggi.
Ebbi solo un sussulto:
quest’uomo può domarmi.
Si inchinò… dirà qualcosa…
Il sangue defluí dal viso.
Come pietra tombale,
si pose l’amore sulla mia vita.

2.

Non ami, non vuoi guardare?
Ah, come sei bello, maledetto!
Fin dall’infanzia ho avuto ali,
ma ora non posso spiccare il volo.
Una nebbia mi vela la vista,
vi si confondono cose e volti,
ed è soltanto un tulipano rosso,
il tulipano che porti all’occhiello.

3.

Come vuole semplice cortesia,
mi si fece vicino, mi sorrise,
tra carezzevole e indolente,
mi sfiorò con un bacio la mano,
e mi guardarono le pupille
di misteriose, antiche effigi…
Dieci anni di palpiti e grida,
tutte le mie notti insonni
le riposi in una parola sommessa,
pronunciata invano.
Te ne andasti, e di nuovo
l’anima è vuota e chiara.

Anna Andreevna Achmatova

1913

(Traduzione di Michele Colucci)

da “La corsa del tempo”, Einaudi, Torino, 1992

∗∗∗

СМЯТЕНИЕ

1

Было душно от жгучего света,
А взгляды его—как лучи.
Я только вздрогнула: этот
Может меня приручить.
Наклонился—он что-то скажет…
От лица отхлынула кровь.
Пусть камнем надгробным ляжет
На жизни моей любовь.

2

Не любишь, не хочешь смотреть?
О, как ты красив, проклятый!
И я не могу взлететь,
А с детства была крылатой.
Мне очи застит туман,
Сливаются вещи и лица,
И только красный тюльпан,
Тюльпан у тебя в петлице.

3

Как велит простая учтивость,
Подошел ко мне, улыбнулся,
Полуласково, полулениво
Поцелуем руки коснулся—
И загадочных, древних ликов
На меня поглядели очи…
Десять лет замираний и криков,
Все мои бессонные ночи
Я вложила в тихое слово
И сказала его напрасно.
Отошел ты, и стало снова
На душе и пусто и ясно.

Анна Андреевна Ахматова

1913

da “Бег времени: стихотворения 1909-1965”, Сов. писатель, Ленинградское отд-ние, 1965

A labbra serrate – Piero Bigongiari

Susan Burnstine, Impasse

 

Un’ombra ancora, un’ombra che non scompare
come un discorso pieno di propositi,
e questo cielo senza vittoria per nessuno,
le mani calde, la bocca amara d’amare.

Inutile parlarvi, miei morti sconosciuti,
inutile cercarvi, voi uomini della terra,
per la troppa terra che nasconde il vostro cielo,
solo vostro è il cielo per cui soffriamo tutta la terra.

Tutta la terra e gli errori penosi perché piccoli,
le stragi come muri d’argilla a ridosso dei quali ci ripariamo,
con un fazzoletto scarlatto asciughiamo il sangue per non vederlo
con uno bianco le lacrime per non piangere.

Con un passo piú lungo commettiamo la stanchezza, a che cosa?,
la rosa in un vortice repentino scopre la primavera in un deserto
e le stagioni si salvano dai cannoni ma non dagli sguardi degli uomini
che forse esistono sulla terra per uno scompenso di menzogne

come il vento in un dislivello barometrico.
Asciughiamo le lacrime anche con le parole,
con la fucileria piú fitta, con gli amici che salgono le scale.
E inventiamo d’andare a letto, per inventare qualcosa,

mentre sentiamo che la vita divaria dalla morte
veramente, non c’è dubbio, ma siamo stanchi lo stesso,
come quando stanchi della musica ascoltiamo solo gli strumenti.

Piero Bigongiari

15 aprile ’44

da “Rogo”, 1942-1952, in “Stato di cose”, “Lo Specchio” Mondadori, 1968