Secondi, 24 – Ghiannis Ritsos

Ghiannis Ritsos

24

Sistema una pietra sopra l’altra.
Non costruisce una casa.
Parole. Soltanto parole.
Non poesia.

Ghiannis Ritsos

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Secondi”, 1988-1989, in “Molto tardi nella notte”, Crocetti Editore, 2020

Titolo dell’opera originale: Άργά, πολύ άργά μέσα στή νύϰτα

Quarantena – Derek Mahon

Derek Mahon

 

Fugge la pestilenza urbana la felice
brigata del Decamerone e inganna le giornate
raccontando mondane e lubriche novelle —
un diletto a noi non concesso
da che contro il temuto virus è in vigore
questa virtuale quarantena. Così, qui si resta,
ognuno in clausura, a scriver versi,
rassegnati a un’indefinita aspettazione.

Da che cosa è partito, un qualche aberrante batterio
indignato per il nostro istinto genetico-vegetativo?
Un qualche abborracciato esperimento o intento
di una speciale prodigiosa squadra di bio-intervento?
E qui l’infezione polmonare, cui si deve tener testa,
ma non c’è bisogno di lasciare ogni speranza,
ché magari è presagio di un’altra era,
a conflitti e furie finanziarie avversa.

La cosa buona è che la minaccia
vaga della peste dei turisti ora recede
e il luogo nuovamente che sonnecchia
nella sua narcotica caligine piovigginosa,
con commerci e congiuntura bassi
e una volta tanto un po’ di pace.
Dall’estero, però, brutte notizie: così tanti
i colpiti, sepolture e cerimonie magre

come in tempi premoderni, come ne La peste.
Morbo sepolto che prorompe dal passato:
“Per anni addormentato nei mobili e nella biancheria”
manda i suoi ratti a morte all’aria aperta.
Un qualche agente umano? La natura che fa i conti
con l’azione umana? Corrono la strada
alti lamenti di ambulanza, mentre stoico
un avventore emerge in quel silenzio strano.

Confinati negli alloggi poiché da starnuti e tossi
e anche in spazi condivisi si propaga l’infezione,
ci volgiamo all’Esodo e II settimo sigillo,
a Nashe e il libro sesto di Lucrezio:
“Germi maligni invadono l’aria
e inalando inaliamo il male”.
Sopra le case fischia e stride il vento,
mugghia e soffia lezzo di salmastro il flutto.

Derek Mahon

(Traduzione di Alessandro Gentili)

dalla rivista “Poesia”, Nuova serie, Anno II, N.6, Marzo / Aprile 2021, Crocetti Editore

∗∗∗

Quarantine

The privileged crowd in the Decameron,
avoiding plague in town, beguiled the days
recounting stories scurrilous and profane;
but we can’t amuse ourselves like these
since virtual quarantine is in force
against the dreaded virus. Here we sit,
each of us in seclusion, writing verse
and reconciled to an indefinite wait.

What started it, some rogue bacterium
indignant at our plant-genetic drive?
Some botched experiment, some initiative
dreamt up by a special bio-ops dream team?
Pneumonic flu is here and we have to cope
but there’s no need to abandon hope
for this presages, maybe, a new age
averse to conflict and financial rage.

It’s silver-lining time now that the vague
threat represented by the tourist plague
recedes and the place is dozing once again
in its narcotic haze of drizzling rain
with much-reduced commerce and circumstance
and even a bit of peace for once.
Bad news, though, from abroad: so many
stricken, and buried with scant ceremony

as in pre-modem times, as in La Peste.
Buried disease irrupts out of the past:
‘Dormant for years in linen and furniture’,
it sends its rats to die in the open air.
Some human agent? Nature getting back
at human agency? An ambulance
goes wailing up the road as a stoic
shopper emerges into the eerie silence.

Confined to quarters because coughs, sneezes
and even shared spaces spread diseases,
we turn to Exodus and The Seventh Seal,
to Nashe and book six of Lucretius:
‘Bad germs invade the atmosphere
so we pick up infection as we inhale.’
A shrill wind whisdes above the houses;
a briny stench blows from the roaring shore.

Derek Mahon

da “Washing Up”, The Gallery Press, 2020

Finale d’assedio – Milo De Angelis

Mario Sironi, Periferia (1948), Pinacoteca Comunale di Faenza

                     
L’inizio è stato questo, tra le rovine
e la ruota della fortuna.

 

L’amore era silenzioso come una congiura
nessuno sapeva se la vita era immensa
oppure niente, se il tempo dilagava
oltre le colline oppure un dio venerando
impediva al gesto la sua crescita o impediva
alle more di restare sulle labbra.

*

La notte esce dalle mani,
lo spazio irresistibile divampa, lo spazio
che sembrava circondare
questo foglio. La piazza muta luogo.
Non esiste un cerchio in cui fermarsi, un nome
pieno da ribadire sulle labbra. La mela
si mescola al tempo. Ogni frase
diventa linea perduta, annuncio di una volta.

*

È tardi
nettamente. La vita, con il suo
perno smarrito, galleggia incerta
per le strade e pensa
a tutto l’amore promesso.
Cosa attende da me? Dove batte
il cuore dei perduti? È questa
la meta misteriosa
di ciò che vive?
La casa si allontana
dai soggiorni, tutto
è consegnato all’evidenza
della fine, tutto è sfuggito…
… ma la sillaba
che stringeva la gola
è questa.

*

Rintocca il motivo del grande risveglio
nella voce di un taxista che percorre i viali
di Milano, il cerchio del giudizio,
tutta l’opera dei portoni che sembravano persi, tutto
il precipitare del sangue: tu eri solo
nella confusione dei corpi abbandonati
io ero dove tu non guardavi,
nel clamore segreto in cui ritornano.

*

Il fermaglio è ancora qui,
vicino alle tempie. Tutto è stato
quello che è stato,
il silenzio sul cuscino
è un’eco di questo. Domandiamo
un anno di luce completa, un volo
che ripete in alto
la stessa scena terrestre. Ma il niente
è niente e le spine si conficcano
sempre più dentro di noi.

*

Così ritornano e sentono
un lungo bacio senza luce, un mutismo
che insegue il battito del sangue,
escono da quella stanza
nello spavento delle strade
con un volto invisibile e uno straziato,
nessuna impronta li segnala e allora tornano
in questo bar di Affori, dove li aspetto
con un piede nel vuoto.

*

Non ho saputo capire
non so ancora
se l’incrocio dei pali
è legno o leggenda
se i baci sono freddi
nella mia poesia o nel primo sguardo
delle labbra sigillate,
se l’amore passa senza suono
tra i corpi nudi
che nessuna ombra custodisce.

*

Ma poi quell’ansia ostruita
trovò le sue labbra. Tutto
era nelle parole
portate una alla volta.
Portate a coloro che attendono.
Solo a loro, nelle strettoie
dell’urlo. Era il pane che si mescola
al sangue. Era la stessa
sillaba che ci chiama
dai sotterranei, perduta
impronta digitale, sguardo
dei grandi occhi senza ciglia.

*

L’infinito appare nel poco,
come l’ultima nota di un grido
mentre si dilegua. L’attimo ci insegue.
Cosa ho amato? Forse quell’aria,
due centimetri, tra il corpo e l’asticella,
che dà luce a ogni applauso. O quel soffio
invisibile sull’albero
dove sorride fanciulla e non ha fine.
E quei feriti di un’antica gara
che trovarono in questo bar
un interno musicale. Poi basta. Poi
la parola che presenta se stessa,
l’interminabile parola data.

*

È così. La memoria
di un uomo era solamente questa
manciata di sillabe. Solo loro
ritornano dalle cantine
abitate per niente
e sono puntuali, sono
scagliate oltre le rocce, bisbigliano
parole esterrefatte, sono un battere
di ali protese e fedeli
a un ordine oscuro. Adesso tu
devi tradurre.

Milo De Angelis

da “Quell’andarsene nel buio dei cortili”, “Lo Specchio” Mondadori, 2010

Cosa abbiamo perduto cosa abbiamo guadagnato – Nanos Valaoritis

Mimmo Jodice, Marelux opera XVII, 2009



Abbiamo perduto tutto – le fabbriche le case
le automobili – gli stipendi – la nostra indipendenza
gli impieghi nella amministrazione pubblica –
la dignità – la pensione –
le vacanze – le indennità – il lavoro –
le gratifiche di Pasqua e di Natale
la speranza nel futuro nostro
e dei nostri figli – la reputazione
la credibilità – le azioni societarie –
il nostro Paese – le obbligazioni e gli euro
ci sono rimasti i debiti – le tasse – l’ansia –
l’umiliazione – gli annunci di ricerca
dei posti di lavoro – la disperazione –
e gli anniversari – i compleanni
le feste di Pasqua e di Natale
gli onomastici – i matrimoni
i battesimi – i funerali – il cinema – le soap-opera
le commemorazioni dei defunti – i divorzi –
il totocalcio – la lotteria. I prestiti – l’amarezza –
l’affitto – le bollette della luce con in più –
le imposte sugli immobili – le bollette
del telefono e dell’acqua, le spese condominiali
le tasse scolastiche per i figli
e i libri che per loro non ci sono –
e la nostra Malinconia per le
cose mondane – la tristezza – il calcio!
le barzellette – le frecciatine – i litigi
le zuffe – le commedie
le tragedie – le isole – i monti
il cielo – il mare
non seminato
sul lido del mare infecondo
di Omero

Nanos Valaoritis

11 novembre 2011

(Traduzione di Nicola Crocetti)

dalla rivista “Poesia”, Anno XXVI, Novembre 2013, N. 287, Crocetti Editore

tratta dalla raccolta “Nanos Valaoritis, Carnevale amaro”, Edizioni Psichoghiòs, Atene, 2014

Canzone sui rifiuti – Jaroslav Seifert

Josef Sudek, Son jardin fenetre, 1948

 

Che è restato di quei bei momenti?
           Il brillío degli occhi,
           una goccia di profumo,
           qualche sospiro sul bàvero,
           il respiro sul vetro,
           una briciola di lacrime
           e un’unghia di tristezza.

E poi, dovete credermi, quasi piú nulla.
           Un pugno di fumo,
           qualche sorriso al volo 
           e un po’ di parole
           che rotolano in un angolo
           come rifiuti
           sospinti dal vento.

E non vorrei dimenticare:
           tre fiocchi di neve.

           Questo è tutto.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Sergio Corduas)

da “Concerto sull’isola”, in “Jaroslav Seifert, Vestita di luce”, Einaudi, Torino, 1986

∗∗∗

Píseň o smetí

Co zůstalo z těch krásných chvil?
            Třpyt očí,
            kapička vůně,
            pár vzdechů na klopě,
            dech na skle,
            spetka slz
           a za nehet smutku.

A pak už, to mi věřte, téměř nic.
           Dlaň kouře z cigaret,
           pár letmých úsměvů
           a trochu slov,
           která v koutě se točí
           jako smetí,
           když je zahnal vítr.

A ještě abych nezapomněl,
            tři vločky sněhu.

           To je vše.

Jaroslav Seifert

da “Koncert na ostrově”, Československý spisovatel, 1965