Per ritrovarci – Piero Bigongiari

Brett Weston, Untitled (High Tide), 1951

 

Forse come saliranno le maree questa nausea
nasconde un po’ di mondo, un po’ d’amore,
ma forse non v’è sponda da misurarci
e l’onda di morte salirà senza rompersi.

Tu perduta sbracia i tuoi capelli nottiluchi,
perdersi è molto piú difficile che non perdersi,
tu perduta allarga lo spazio che non questo nostro
dove ci misuriamo i passi, il cibo, la nausea, il sonno.

Ora accorgersi di vivere è troppo tardi,
ora tutti ci leggono negli occhi, e noi dentro di noi.
Ma tu fuori di te, tu cerca ora il tuo mare
che salendo spezzi le rive e i puntelli del cuore.

Piero Bigongiari

21 luglio ’45

da “Rogo”, 1942-1952, in “Stato di cose”, “Lo Specchio” Mondadori, 1968

Due poesie inglesi – Jorge Louis Borges

Horacio Coppola, Nocturno, Buenos Aires, 1936

A Beatriz Bibiloni Webster de Bullrich
                                                                         I

L’alba vana mi coglie sull’angolo deserto di una strada; sono sopravvissuto alla notte.
Le notti sono onde altere: onde di tenebra blu, dalle cime incombenti, cariche d’ogni sfumatura del bottino abissale, di cose incredibili e desiderabili.
Le notti offrono sempre misteriosi regali e rifiuti, cose metà cedute, metà trattenute, gioie con un emisfero cupo. È così che si comportano le notti, te lo  giuro.
I flutti, quella volta, mi hanno lasciato i soliti relitti, i consueti detriti: qualche amico aborrito per parlare, musica per i sogni, e il fumo di ceneri amare. Cose del tutto inutili per un cuore affamato.
La grande ondata ha portato te.
Parole, parole qualsiasi, la tua risata; e tu così pigramente, così incessantemente bella. Abbiamo parlato e tu hai dimenticato le parole.
L’alba disastrosa mi coglie in una strada deserta della mia città.
Il tuo profilo che si volta e si allontana, i suoni che compongono il tuo nome, la cadenza della tua risata: ecco gli splendenti giocattoli che mi hai lasciato.
Li osservo nella luce nascente, li perdo, li ritrovo; li descrivo ai pochi cani randagi, alle poche stelle randagie dell’alba.
La tua vita ricca e oscura…
Devo raggiungerti in qualche maniera: metto via gli splendenti giocattoli che mi hai lasciato, voglio il tuo sguardo nascosto, il tuo vero sorriso, quel sorriso beffardo e solitario che il tuo impassibile specchio conosce.

                                                                       

                                                                     II

Con cosa posso trattenerti?
Ti offro povere strade, tramonti disperati, la luna dei laceri sobborghi.
Ti offro l’amarezza di un uomo che ha guardato a lungo, molto a lungo, la luna solitaria.
Ti offro i miei antenati, i miei morti, i fantasmi che i vivi hanno onorato oggi col bronzo: il padre di mio padre ucciso ai confini di Buenos Aires con due pallottole dentro i polmoni, morto barbuto che i suoi soldati avvolsero in una pelle di vacca; il nonno di mia madre, ventiquattrenne appena quando guidò la carica dei suoi trecento uomini in Perù, ormai spettri su cavalli svaniti.
Ti offro ogni intuizione racchiusa nei miei libri e quanta virilità o buon umore ha la mia vita.
Ti offro la lealtà di un uomo che non fu mai leale.
Ti offro la mia essenza, salvata non so come, quel centro del cuore che non tratta parole, non traffica coi sogni e non è mai toccato dal tempo, dalla gioia o dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una rosa gialla vista anni fa al tramonto, prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa, teorie su di te, notizie vere e sorprendenti al tuo riguardo.
Ti posso dare la mia solitudine, le mie tenebre, la fame del mio cuore; cerco di allettarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

Jorge Louis Borges

1934

(Traduzione di Ilide Carmignani)

da “L’altro, lo stesso”, Adelphi, Milano, 2002

***

«Two english poems»

To Beatriz Bibiloni Webster de Bullrich
                                                                             I

The useless dawn finds me in a deserted streetcorner; I have outlived the night.
Nights have a habit of mysterious gifts and refusals, of things half given away, half withheld, of joys with a dark hemisphere. Nights act that way, I tell you.
The surge, that night, left me the customary shreds and odd ends: some hated friends to chat with, music for dreams, and the smoking of bitter ashes. The things my hungry heart has no use for.
The big wave brought you.
Words, any words, your laughter; and you so lazily and incessantly beautiful. We talked and you have forgotten the words.
The shattering dawn finds me in a deserted street of my city.
Your profile turned away, the sounds that go to make your name, the lilt of your laughter: these are illustrious toys you have left me.
I turn them over in the dawn, I lose them, I find them; I tell them to the few stray dogs and to the few stray stars of the dawn.
Your dark rich life…
I must get at you, somehow: I put away those illustrious toys you have left me, I want your hidden look, your real smile –that lonely, mocking smile your cool mirror knows.

                                                                                        II

What can I hold you with?
I offer you lean streets, desperate sunsets, the moon of the jagged suburbs.
I offer you the bitterness of a man who has looked long and long at the lonely moon.
I offer you my ancestors, my dead men, the ghosts that living men have honoured in bronze: my father’s father killed in the frontier of Buenos Aires, two bullets through his lungs, bearded and dead, wrapped by his soldiers in the hide of a cow; my mother’s grandfather –just twenty four– heading a charge of three hundred men in Peru, now ghosts on vanished horses.
I offer you whatever insight my books may hold, whatever manliness or humour my life.
I offer you the loyalty of a man who has never been loyal.
I offer you that kernel of myself that I have saved, somehow –the central heart that deals not in words, traffics not with dreams and is untouched by time, by joy, by adversities.
I offer you the memory of a yellow rose seen at sunset, years before you were born.
I offer you explanations of yourself, theories about yourself, authentic and surprising news of yourself.
I can give you my loneliness, my darkness, the hunger of my heart; I am trying to bribe you with uncertainty, with danger, with defeat.

Jorge Louis Borges

Adrogué, 1936

da “El otro, el mismo”, Buenos Aires: Emecé, 1969

Corpo di donna – Pablo Neruda

Emmanuel Sougez, Nude study, Assia, 1935

 

1.

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo gesto d’abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me entrava la notte con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiato come un’arma,
come freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.

Ma cade l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell’assenza!
Ah la rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Rivoli oscuri dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.

Pablo Neruda

(Traduzione di Giuseppe Bellini)

da “Venti poesie d’amore e una canzone disperata”, Passigli Poesia, 1996

∗∗∗

1. Cuerpo de mujer

Cuerpo de mujer, blancas colinas,
muslos blancos, te pareces al mundo en tu actitud de entrega.
Mi cuerpo de labriego salvaje te socava
y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.

Fui solo como un túnel. De mí huían los pájarosy
en mí la noche entraba su invasión poderosa.
Para sobrevivirme te forjé como una arma,
como una flecha en mi arco, como una piedra en mi honda.

Pero cae la hora de la venganza, y te amo.
Cuerpo de piel, de musgo, de leche ávida y firme.
Ah los vasos del pecho! Ah los ojos de ausencia!
Ah las rosas del pubis! Ah tu voz lenta y triste!

Cuerpo de mujer mía, persistiré en tu gracia.
Mi sed, mi ansía sin límite, mi camino indeciso!
Oscuros cauces donde la sed eterna sigue,
y la fatiga sigue, y el dolor infinito.

Pablo Neruda

da “Veinte poemas de amor y una canción desesperada”, National Editorial, 1924

«Sedici» – Marcello Comitini

Foto di Paul Apal’kin

 

Sedici. E già nell’ombra
pensosa del tuo sguardo
l’esuberanza della vita
la scintilla che ti brucia in petto
l’amore chiuso in sé la tenerezza
le sensazioni luminose della gioia.
Fiore di seta ancora pensi la sua pelle
il seme il frutto
la profumata carne di freschezza
giunta alla tua bocca.
Fiore di seta i seni che hai sentito
baciati per la prima volta.
I tuoi occhi raccolgono l’assenza
sul fondo di quest’ora impaurita.
Nell’incerto rifugio dell’attesa
in te si ricompone l’armonia
l’affinità di ciò che appare eterno.

Marcello Comitini

da “Donne sole”, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

AMAZON – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020
IL MIO LIBRO – Donne sole, Edizioni Caffè Tergeste, 2020

«Forse nelle colline brulle di Darsìa» – Gëzim Hajdari

Gëzim Hajdari

 

Forse nelle colline brulle di Darsìa¹
verranno chiusi i miei fragili versi,
sotto le spine secche del melograno
picchiati dai venti gelidi d’Oriente.

Lontani dagli amori delle fanciulle
che mai sapranno della loro angoscia,
solitari sotto il cielo chiuso
come il pettirosso nel buio dell’inverno.

Il fruscìo dell’erba, il canto del merlo
faranno compagnia al loro lamento.
Mentre le brevi notti d’autunno
li copriranno con la pallida luna.

Gëzim Hajdari

da “Antologia della pioggia”, Edizioni Ensemble, Roma, 2018

¹ Darsìa: la provincia collinosa dov’è nato il poeta, situata nel Nord-est della città di Lushnje, Albania.

∗∗∗

«Ndoshta kodrave të zhveshura të Darsisë»

Ndoshta kodrave të zhveshura të Darsisë
do të mbyllen vargjet e mi të brishtë,
nën gjemba të thatë shegësh
rrahur nga erërat e akullta të Lindjes.

Larg dashurive të vashave
që kurrë s’e njohën ankthin e tyre;
vetmitarë nën qiellin e zi,
si gushëkuqi errësirës së dimrit.

Fëshfërima e barit, kënga e mëllenjës
do t’i lehtësojnë rënkimet e tyre.
Teksa netët e shkurtra vjeshtore
do t’i mbulojnë me zbehtësi hëne.

Gëzim Hajdari

da “Antologjia e shiut”, Naim Frashëri, Tirana, 1990