Milano – Diego Valeri

Foto di Paul Apal’kin

 

Corso Venezia rombava e cantava
come un giovane fiume a primavera.
Noi due, sperduti, s’andava s’andava,
tra la folla ubriaca della sera.

Ti guardavo nel viso a quando a quando:
eri un aperto luminoso fiore.
Poi ti prendevo la mano tremando:
e mi pareva di prenderti il cuore.

Diego Valeri

da “Poesie vecchie e nuove”, “Lo Specchio” Mondadori, 1952

 

Nel ripubblicare alcuni testi di “Crisalide” nel volume antologico “Poesie vecchie e nuove” (1930), Valeri compie numerosi tagli e mutamenti. Uno degli esempi più noti riguarda la poesia “Corso Venezia”.
Corso Venezia rombava e cantava
come un giovane fiume a primavera.
Noi due, sperduti, s’andava s’andava,
tra la folla ubriaca della sera.
Ti guardavo nel viso a quando a quando:
eri un pallido e molle e ardente fiore.
Poi ti sfioravo la mano tremando:
ed eri mia, mia tutta, e carne e cuore.
[Crisalide, 1921, p.68]
Mutato il nome in “Milano”, la seconda quartina diventa:
(…)
Ti guardavo nel viso a quando a quando:
eri un aperto luminoso fiore.
Poi ti prendevo la mano tremando:
e mi pareva di prenderti il cuore.
[Poesie vecchie e nuove, 1930, p.54]

Neve – Michael Krüger

Edward Hopper, Room in New York, 1932

 

C’è odore di neve,
un odore che non occorre descrivere,
niente grandi parole di meraviglia.
Onde, le ultime, tremolano sul mare,
sottili come matite, finché il ghiaccio
non le fissa e stampa in metri regolari.

Le nostre condizioni sono buone,
leggiamo il giornale, guardiamo la televisione,
osserviamo Amleto e i suoi dubbi,
amiamo Mörike e gli Impromptus di Schubert,
anche la povertà non ci lascia insensibili,
né la vicina né la lontana.

Il nostro vicino sapeva tutto del sanscrito,
adesso si è tolto la vita
perché sua moglie l’ha lasciato. Poco fa
lo vedevamo ancora in giardino occupato coi merli,
curvo come un interrogativo, gli uccelli
a saltellargli intorno come tanti puntini.

Si vive più a lungo di quel che si credeva.
Distinguiamo i concetti giusti
dagli sbagliati. Amiamo la neve
quando i sentieri sembrano i bordi
degli annunci mortuari. Tronfia
la morte scansa la vita

e già è dileguata nel bianco.

Michael Krüger

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “Spostare l’ora”, “Lo Specchio” Mondadori, 2015

∗∗∗

Schnee

Es riecht nach Schnee,
ein Geruch, der ohne Beschreibung auskommt,
ohne große Worte der Bewunderung.
Über den See zucken letzte Wellen,
bleistiftdünn, bis sie das Eis
ausdruckt in regelmäßigen Versen.

Wir leben in guten Verhältnissen,
lesen die Zeitung, schauen fern,
sehen zu, wie Hamlet zweifelt,
lieben Mörike und Schuberts Impromptus,
auch die Armut läßt uns nicht kalt,
in der Nähe nicht und nicht in der Ferne.

Unser Nachbar wußte alles über Sanskrit,
jetzt hat er sich das Leben genommen,
weil seine Frau ihn verließ. Eben noch
sahen wir ihn im Garten bei den Amseln,
krumm wie ein Fragezeichen, die Vögel
wie hüpfende Punkte um ihn herum.

Wir leben länger als gedacht.
Wir unterscheiden die richtigen Begriffe
von den falschen. Wir lieben den Schnee,
wenn die Wege aussehen wie die Ränder
von Traueranzeigen. Großspurig
läuft der Tod dem Leben davon,

schon ist er im Weiß verschwunden.

Michael Krüger

da “Umstellung der Zeit: Gedichte”, Suhrkamp Verlag, Berlin, 2013

«che fanno quei due» – Enrico Testa

André Kertész, Chaises du Luxembourg, Paris, 1925

 

che fanno quei due
seduti su una panchina,
che ridono e parlano
parlano e ridono,
presi tutti nel raccontarsi
l’un l’altra la vita?
Ora si fermano e tacciono:
passa per i viali
di questa villetta cittadina
l’antica ombra
che tanti anni prima
(o forse nel tempo anteriore
della loro comparsa)
li protesse a Lisbona
– all’Alto de Santa Catarina –
dal colloquio col sangue.
Restano immobili,
gli sguardi fissi sul porto
e le mani, sottili e gelide,
strette sul dopo.
Ma senza paura,
solo un poco affannati
per l’ora incombente della chiusura

Enrico Testa

da “Pasqua di neve”, Einaudi, Torino, 2008

Canzone sulla guerra – Jaroslav Seifert

Foto di Henri Cartier-Bresson

 

Strozzate la guerra,
che le donne possano sorridere
e non invecchiare cosí rapidamente
come invecchiano le armi.

La guerra però dice: Io sono!
Sono dal principio,
non v’è mai stato momento
in cui non fossi.

Sono vecchia come la fame
e come l’amore.
Io non mi sono creata,
ma il mondo è mio!

E lo distruggerò.
Sarò presente
quando il brandello insanguinato a fuoco
cadrà nel buio

come la saliva dei bambini
sul fondo di un pozzo
quando vogliono misurarne
la buia profondità.

Ma noi – e questa è speranza –
possiamo ancora un attimo,
ancora un breve attimo possiamo
riflettere.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Sergio Corduas)

da “Concerto sull’isola”, 1965, in “Jaroslav Seifert, Vestita di luce”, Einaudi, Torino, 1986

***

Píseň o válce

Uškrťte válku,
ať ženy mohou se usmívat
a nestárnou tak rychle,
jako stárnou zbraně.

Válka však říká: Jsem!
Jsem od počátků,
nebylo nikdy chvíle,
abych nebyla.

Jsem stará jako hlad
a jako milování.
Já jsem se nestvořila,
ale svět je můj!

A já ho zničím.
Budu při tom,
až ohnivě krvavý cár
bude padat do tmy

jako slina dětí
na dno studny,
když si chtějí změřit
její tmavou hloubku.

Ale my – a to je naděje –
můžeme ještě chvilku,
ještě malou chvilku můžeme
o tom přemýšlet.

Jaroslav Seifert

da “Koncert na ostrově”, Československý spisovatel, 1965 

«È nel dispiegarsi minuto» – Chandra Livia Candiani

Foto di Elda Papa

 

È nel dispiegarsi minuto
delle ore che incede
una troppo maestosa
solitudine. È un sipario
stracciato un animale
che apre un varco feroce
nella commedia di parole vane:
non montagne sacre
ma piccole spazzature
damine di filo spinato
acrobati di stracci
belve di mattonella,
così si fanno largo
i miracoli non visti
così premendo alle pupille,
un fragoroso segno
della croce: sì,
ce l’hai fatta
a diventare celeste
madre equilibrista.

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015