Proteggo i tuoi occhi – Endre Ady

Brassaï, The Hands of Léon-Paul Fargue and Louise de Vilmorin, 1935

 

Stringo con la mia mano
che invecchia, la tua mano,
e proteggo i tuoi occhi
con questi occhi che invecchiano.

Belva di spente età, mi bracca l’orrore,
sono arrivato da te
attraverso rovine di mondi,
e attendo, insieme a te, atterrito.

Stringo con la mia mano
che invecchia, la tua mano,
e proteggo i tuoi occhi
con questi occhi che invecchiano.

Non so perché né sino a quando
rimarrò qui con te:
ma stringo la tua mano
e proteggo i tuoi occhi.

Endre Ady

(Traduzione di Umberto Albini)

da “Endre Ady, Poesie”, Guanda, Milano, 1978

***

Őrizem a szemedet

Már vénülő kezemmel
Fogom meg a kezedet,
Már vénülő szememmel
Őrizem a szemedet,

Világok pusztulásán
Ősi vad, kit rettenet
Űz, érkeztem meg hozzád
S várok riadtan veled.

Már vénülő kezemmel
Fogom meg a kezedet,
Már vénülő szememmel
Őrizem a szemedet.

Nem tudom, miért, meddig
Maradok meg még neked,
De a kezedet fogom
S őrizem a szemedet.

Endre Ady

da “Életem nyitott könyve”, Gondolat, 1977

Poscritto, dopo molti anni – Gesualdo Bufalino

Foto di Francesca Woodman

 

Se qualcuno stasera è infelice come me,
qualcuno come me, sprangato in una stanza,
dopo aver visto due volte lo stesso film,
solo con un baule di parole sbagliate,
di ricordi bugiardi, in un paese di neve,
fra due lenzuola bianchissime, solo;
se qualcuno stasera è come me nel mondo
uno straniero che domani se n’andrà…

Amico che di là dei monti
per ascoltarmi stringi gli occhi come una volta,
ricordi i balli prima della guerra,
e Jole e Minia e la signora forestiera,
ricordi il sole del trentanove
sui nostri visi brutti, le nostre risa di poveri,
l’intercalare  «Quien sabe?»  di moda tutta un’estate,
finché significò qualcosa…

Poi la luna si chiuse nei pozzi,
l’unghia d’inverno recise
i mazzi di robinie spruzzolati di sangue,
migrarono gli uccelli dai nidi delle caserme…
Chi guarirà dentro di noi tutti quei morti
che palpano con mani cieche
la notte smisurata che li mura?
Chi nel nero tizzone risveglierà una guancia
per ripetere «t’amo» al ponte della Bettola?

Giorni piú neri altrove m’aspettavano:
mi punse il petto la febbre
con lunghe aguzze scapole di vergine,
scaltro venne un sensale
a contare i miei passi, il mio respiro…
Insolente proposta di esistere,
inutilmente al balcone
il grido del gallo un’alba mi chiamò.

Da allora chiuso nel mio cunicolo, e pieno
d’un minuto rancore, d’un bambino rancore,
come un guardiano di faro infedele
vivo in attesa d’un naufragio, m’affeziono
ai minimi relitti che la tempesta mi porge,
dirigo sugli scogli ogni barca che mi cerca,
rido da solo strofinandomi le mani…

Dio, tu dici, o chiedi in silenzio:

a guisa dei poliziotti dei romanzi,
ho fiutato nel mondo le Sue peste;
in piedi e in ginocchio, beffato e beffardo,
l’ho ferito e chiamato, l’ho perduto e cercato,
ma il delitto dentro la stanza chiusa
s’è ripetuto ogni volta, all’improvviso…

E poi… ma addio, addio, le parole non servono.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1996

Potrebbero dirti morta – Alfonso Gatto

Foto di Paul Apal’kin

 

I tuoi occhi son come la giovinezza
grandi, perduti, lasciano il mondo.
Potrebbero dirti morta senza rumore
e incamminare su te il cielo,
passo a passo, seguendo l’alba.
Tu sei l’amore da portare in braccio
di corsa sino al vento, sino al mare,
e dirti fredda da scaldare al fuoco
e dirti triste coi capelli neri
da pettinare eternamente, è come
deporti nel silenzio, starti accanto
udendo l’acqua battere alle rive.

Alfonso Gatto

da “Poesie d’amore”, Prima parte, 1941-1949, Mondadori, Milano, 1973

La poesia è ricerca del fulgore – Adam Zagajewski

Foto di Renate von Mangoldt

 

La poesia è ricerca del fulgore.
La poesia è una strada regale,
che ci conduce nel punto più remoto, più in avanti, più ulteriore.
Cerchiamo il fulgore all’imbrunire, al culmine
imperante del giorno o nei cercanti comignoli dell’alba,
persino sull’autobus, a novembre,
quando poco più in là sonnecchia un vecchio prete.

Un cameriere in un ristorante cinese
scoppia a piangere e nessuno capisce il perché.
Chissà, forse anche questa è ricerca,
così come l’istante in riva al mare,
quell’istante in cui, all’orizzonte,
si manifestò un vascello desideroso di catturare,
e si sospese, fermò il proprio tempo per molto tempo.
Ma anche i momenti di profonda gioia

e gli innumerevoli momenti inquieti. Permettimi
di vedere, per poter poi aver visto, chiedo. Permettimi
di vivere fino al compimento il significato
o l’intenzione della mia durata, dico.
A sera cade una pioggia fredda.
Nelle strade e nei viali della mia città
col crepitio di un silenzio attivo e vivissimo
sotto le ceneri sta concentrata su un’opera l’oscurità.
La poesia è ricerca del fulgore.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “Il ritorno, 2003”, in “Guarire dal silenzio: Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

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Poezja jest poszukiwaniem blasku

Poezja jest poszukiwaniem blasku.
Poezja jest królewską drogą,
która prowadzi nas najdalej.
Szukamy blasku o szarej godzinie,
w południe lub w kominach świtu,
nawet w autobusie, w listopadzie,
kiedy tuż obok drzemie stary ksiądz.

Kelner w chińskiej restauracji wybucha płaczem
i nikt się nie domyśla, dlaczego.
Kto wie, może i to jest poszukiwaniem,
podobnie jak chwila na brzegu morza,
gdy na horyzoncie pojawił się drapieżny okręt
i zatrzymał się, znieruchomiał na długo.
A także momenty głębokiej radości

i niezliczone momenty niepokoju.
Pozwól mi zobaczyć, proszę.
Pozwól mi wytrwać, mówię.
Wieczorem pada zimny deszcz.
W ulicach i alejach mojego miasta
bezgłośnie i żarliwie pracuje ciemność.
Poezja jest poszukiwaniem blasku.

Adam Zagajewski

da “Powrót”, Znak, Krakow, 2003

La somiglianza – Milo De Angelis

Milo De Angelis, foto di Viviana Nicodemo

 

Era
nelle borgate, camminando in fretta
quell’assolutamente
oltre
che dai libri usciva nella storia
radendo le bancarelle, d’estate.
Domanderemo perdono
per avere tentato, nello stadio,
chiedendogli di lanciare un giavellotto
perché ritornasse l’infanzia.
Non si poteva
ma la somiglianza era noi
nell’immagine di un altro, ravvicinato, nel sole
volevamo trattenere il nostro senso
verso lui
in un gesto da rivivere: chi poteva sancire
che tutto fosse al di qua?

Prese la rincorsa, tese il braccio…

Milo De Angelis

da “Somiglianze, 1976”, in “Tutte le poesie 1969 – 2015”, “Lo Specchio” Mondadori, 2017