È qui, o dove? – Piero Bigongiari

Foto di René Groebli

 

L’amore, questo esotico miraggio
del segreto… Sei inquieto
per così poco?

                            Sii discreto, cuore,
sii discreto se vedi quel suo raggio
stillare nello sguardo misterioso
della creatura a cui hai dato un nome
o l’hai appena sospirato e già
è il sospiro lucente del creato.

È il mistero che estrai da te stesso
l’enigma che propone,
indelebile stigma sulle palme
aperte: con dolcezza ti accarezzano.

È sull’inerte che qualcosa piove
di quel raggio di sole. Quali prove,
quali altre prove ancora chiedi?

                                                                 Guarda
con altrettanta dolcezza quello che non vedi.

Piero Bigongiari

da “È qui, o dove?”, in “Dove finiscono le tracce”, (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996

Ritratto di donna – Wisława Szymborska

 

Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l’unica al mondo.
Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma è un’ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l’avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serve questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.
Tiene nelle mani un passero con l’ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.
Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama, o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l’amor di Dio.

Wisława Szymborska

(Traduzone di Pietro Marchesani)

da “Grande numero”, Libri Scheiwiller, 2006

***

Portret kobiecy

Musi być do wyboru.
Zmieniać się, żeby tylko nic się nie zmieniło.
To łatwe, niemożliwe, trudne, warte próby.
Oczy ma, jeśli trzeba, raz modre, raz szare,
czarne, wesołe, bez powodu pełne łez.
Śpi z nim jak pierwsza z brzegu, jedyna na świecie.
Urodzi mu czworo dzieci, żadnych dzieci, jedno.
Naiwna, ale najlepiej doradzi.
Słaba, ale udźwignie.
Nie ma głowy na karku, to będzie ją miała.
Czyta Jaspersa i pisma kobiece.
Nie wie po co ta śrubka i zbuduje most.
Młoda, jak zwykle młoda, ciągle jeszcze młoda.
Trzyma w rękach wróbelka ze złamanym skrzydłem,
własne pieniądze na podróż daleką i długą,
tasak do mięsa, kompres i kieliszek czystej.
Dokąd tak biegnie, czy nie jest zmęczona.
Ależ nie, tylko trochę, bardzo, nic nie szkodzi.
Albo go kocha, albo się uparła.
Na dobre, na niedobre i na litość boską.

Wisława Szymborska

da “Wielka liczba”, Czytelnik, 1976

Improvviso d’amore – Gesualdo Bufalino

Johan Van Der Keuken, Yvonne, 1956

 

Losanghe di cieli, cieli di gesso,
vecchio terrore che indosso ogni giorno;
muraglie da cui sempre mi ritorna
questa mia strenua voce d’ossesso;

e libri, voi, paradisi dipinti,
reticolati d’assurdo quaderno,
trionfo e sbarre di carcere eterno,
fughe immobili e nero labirinto:

oh mescetevi, carte, firmamenti,
memorie; fate rissa entro di me,
e inventatemi un nome, un altro viso.

Ora che lei m’ha parlato alla mente,
lei nel suo scialle di sposa di re,
con gli stupori e i corrucci e le risa…

Gesualdo Bufalino

da “La festa breve”, in “Gesualdo Bufalino, Opere: 1 [1981, 1988]”, Bompiani, 2006

Il sud – Jorge Luis Borges

Foto di Anka Zhuravleva

 

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Tommaso Scarano)

da “Fervore di Buenos Aires”, Adelphi, 2010

∗∗∗

El sur

Desde uno de tus patios haber mirado
las antiguas estrellas,
desde el banco de sombra haber mirado
esas luces dispersas,
que mi ignorancia no ha aprendido a nombrar
ni a ordenar en constelaciones,
haber sentido el círculo del agua
en el secreto aljibe,
el olor del jazmín y la madreselva,
el silencio del pájaro dormido,
el arco del zaguán, la humedad
– esas cosas, acaso, son el poema.

Jorge Luis Borges

da “Fervor de Buenos Aires”, Serrantes, Buenos Aires, 1923

«Sonare su un violino in fiamme» – Angelo Maria Ripellino

Foto di Anja Bührer

86.
Astres! Je ne veux pas mourir! J’ai du génie!
Jules Laforgue, Éclair de gouffre

Sonare su un violino in fiamme
una mia seguidilla,
prima che cada il sipario come una ghigliottina.
Mi piace il fragore, il bailamme,
ma la mia vita arlecchina,
veliero viluppo di stracci,
con la sua gracile chiglia
si impiglia in un groppo di ghiacci.

Avanzare con grandi falcate di goffa pavana,
gonfiarsi come una rana.
Riempire di propri scartafacci la stiva,
sognare che il nome
fra tanto oblio sopravviva.

Quanta enfasi, quanta arroganza cetrulla.
O vita, o Hanna Schygulla,
sciantosa di varietà, sulla riva
del Nulla.

Angelo Maria Ripellino

da “Lo splendido violino verde”, Einaudi, Torino, 1976