In fondo alla radice dei tuoi occhi – Moka

Marta Bevacqua

Foto di Marta Bevacqua

 

Ti vengo a prendere con quel camper
coperto di foglie e nuvole:
dammi la mano e le paranoie.
In fondo alla radice dei tuoi sogni,
dove si nasconde la tigre,
là, nei tuoi occhi io ti vedo.

Moka

da “Nella mia selva sgomenta la tigre”, Le Mezzelane Casa Editrice, 2018

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Nella mia selva sgomenta la tigre – Le Mezzelane Casa Editrice

Amore dopo amore – Derek Walcott

Pier Paolo Calzolari, Galleria de’ Foscherari, Bologna, 2011

 

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.

Derek Walcott

(Traduzione di Barbara Bianchi)

da “Mappa del nuovo mondo”, Adelphi Edizioni, 1992

∗∗∗

Love after love

The time will come
when, with elation,
you will greet yourself arriving
at your own door, in your own mirror,
and each will smile at the other’s welcome,

and say sit here. Eat.
You will love again the stranger who was your self,
Give wine. Give bread. Give back your heart
to itself, to the stranger who has loved you

all your life, whom you ignored
for another, who knows you by heart.
Take down the love-letters from the bookshelf

the photographs, the desperate notes,
peel your own image from the mirror.
Sit. Feast on your life.

Derek Walcott

da “Sea Grapes”, London: Jonathan Cape Ltd; New York: Farrar, Straus & Giroux, 1976

«Mi spingo oltre il dolore» – Antonella Anedda

Foto di Katia Chausheva

 

Mi spingo oltre il dolore
dove nessuno sospetta che si soffra
in una zona di pelle mai colpita
cupa come l’avambraccio
o molata dall’osso come il gomito.
Striscio piano con l’anima coperta da scaglie rosso-grigie
per sostenere i rovi e lasciare a terra
il sangue minimo. Un passo − sono paziente −
e il corpo ha imparato a frusciare dentro l’erba.

Da molto lontano − da un’alba di ottobre
da un oggetto mosso nella sabbia del lago
viene ciò che la pena contempla: un paesaggio
dove non si può dormire.
Era una lunga immagine
il mormorio di un brivido.
Troppo tardi si compone l’astuzia di ogni sera
fingere che il mio braccio sia il tuo
che stringa la mia mano
di nuovo, senza pace.

Antonella Anedda

da “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999

La morte l’amore la vita – Paul Éluard

Foto di Dominique Issermann

 

Ho creduto di poter spezzare il profondo e l’immenso
Con il mio dolore nudo senza contatto senza eco
Mi sono steso nella mia prigione dalle vergini porte
Come un morto ragionevole che ha saputo morire
Un morto coronato soltanto dal suo nulla
Mi sono steso sulle onde assurde
Del veleno assorbito per amore della cenere
La solitudine mi è sembrata piú viva del sangue.

Volevo spezzare la vita
Volevo spartire la morte con la morte
Rendere il mio cuore al vuoto e il vuoto alla vita
Cancellare tutto che non restasse nulla né fiato né vetro
Nulla davanti nulla alle spalle nulla di intero
Avevo eliminato il gelo dalle mani giunte
Avevo eliminato l’ossatura invernale
Della promessa di vivere che si annulla.

Sei venuta tu e allora il fuoco si è riacceso
L’ombra ha ceduto il freddo dal basso si è riempito di stelle
E la terra si è ricoperta
Della tua carne chiara e io mi sono sentito leggero
Sei venuta tu la solitudine era vinta
Avevo una guida sulla terra io sapevo
Dove andare mi sapevo smisurato
Avanzavo e guadagnavo spazio e tempo

Andavo verso di te andavo senza fine verso la luce
La vita aveva un corpo alzava la sua vela la speranza
Il sonno grondava di sogni e la notte
Prometteva sguardi fiduciosi all’aurora
I raggi delle tue braccia spartivano la nebbia
La tua bocca era inumidita dalle prime rugiade
Il riposo abbagliato rimpiazzava la fatica
Io adoravo l’amore come nei primi miei giorni.

I campi sono arati le officine lampeggiano
E il grano fa il suo nido in una ondata enorme
La mietitura la vendemmia hanno testimoni innumerevoli
Nulla è semplice o singolare
Il mare è negli occhi del cielo e della notte
La foresta dà agli alberi la sicurezza
E i muri delle case hanno una pelle comune
E le strade si incrociano sempre.

Gli uomini son fatti per intendersi
Per capirsi per amarsi
Hanno dei figli che diventeranno padri di uomini
Hanno dei figli privi di case e di tetto
Che reinventeranno gli uomini
E la natura e la loro patria
Quella di tutti gli uomini
Quella di ogni tempo.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

∗∗∗

La Mort l’Amour la Vie

J’ai cru pouvoir briser la profondeur l’immensité
Par mon chagrin tout nu sans contact sans écho
Je me suis étendu dans ma prison aux portes vierges
Comme un mort raisonnable qui a su mourir
Un mort non couronné sinon de son néant
Je me suis étendu sur les vagues absurdes
Du poison absorbé par amour de la cendre
La solitude m’a semblé plus vive que le sang

Je voulais désunir la vie
Je voulais partager la mort avec la mort
Rendre mon cœur au vide et le vide à la vie
Tout effacer qu’il n’y ait rien ni vitre ni buée
Ni rien devant ni rien derrière rien entier
J’avais éliminé le glaçon des mains jointes
J’avais éliminé l’hivernale ossature
Du vœu de vivre qui s’annule.

Tu es venue le feu s’est alors ranimé
L’ombre a cédé le froid d’en bas s’est étoilé
Et la terre s’est recouverte
De ta chair claire et je me suis senti léger
Tu es venue la solitude était vaincue
J’avais un guide sur la terre je savais
Me diriger je me savais démesuré
J’avançais je gagnais de l’espace et du temps

J’allais vers toi j’allais sans fin vers la lumière
La vie avait un corps l’espoir tendait sa voile
Le sommeil ruisselait de rêves et la nuit
Promettait à l’aurore des regards confiants
Les rayons de tes bras entrouvraient le brouillard
Ta bouche était mouillée des premières rosées
Le repos ébloui remplaçait la fatigue
Et j’adorais l’amour comme à mes premiers jours.

Les champs sont labourés les usines rayonnent
Et le blé fait son nid dans une houle énorme
La moisson la vendange ont des témoins sans nombre
Rien n’est simple ni singulier
La mer est dans les yeux du ciel ou de la nuit
La forêt donne aux arbres la sécurité
Et les murs des maisons ont une peau commune
Et les routes toujours se croisent.

Les hommes sont faits pour s’entendre
Pour se comprendre pour s’aimer
Ont des enfants qui deviendront pères des hommes
Ont des enfants sans feu ni lieu
Qui réinventeront les hommes
Et la nature et leur patrie
Celle de tous les hommes
Celle de tous les temps.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963

Isola – Pierluigi Cappello

Foto di Danilo De Marco

 

Padre, io a te
io inchiodato a te su questo scoglio
divino che conosci la tua alba
e allacci la tua potenza al fulmine
da questo culmine di spasimo
io vinto mando a te
vincitore di padri
la prora disorientata delle mie parole.
Concedi a coloro che erano ciechi
e a dismisura adesso vedono,
rotto il sigillo della fiamma,
l’ustione della carezza, il fragore
del pugno, ora che sanno
il tossico del palmo e delle nocche
ed è notte, profonda notte
a occidente di ogni immaginare
ora che le iridi conoscono
le costellazioni del dolore e del piacere;
concedi loro di sopportare
per ogni ciglio sospeso alle tenebre
al tramonto di ogni palpebra sfinita
la pronuncia dell’alba e del crepuscolo
e il rombo immenso, che sale dall’uomo.

Pierluigi Cappello

da “Assetto di volo. Poesie 1992-2005”, Crocetti Editore, 2006