Si dice che Dio – Piero Bigongiari

Foto di Hengki Koentijoro

 

Si dice che Dio, che non parla, però respira nel palpito mimetizzato della razza in fondo al mare
e che per dissetarsi saltella col passo gentile anche se cauto del gerbillo nel deserto
da una pianta a un’altra pianta arida.

Così da una radice a una radice
secca balzella, e non è Dio, la parola
e non ha i denti acuti del gerbillo
e meno mimetica della razza sul fondo
se profonda respira si scopre allo strale
che ne fa sanguinare l’agonia.

Così ho visto sanguinare l’amore,
l’amore parlante, l’ho visto bere inequivocabile alla propria sete.
Se Dio non parla, e lo sappiamo che non parla,
forse in agguato ascoltava, già colpita, accostarglisi la preda
mentre il filo di sangue colava, gambo succolento, già sul fondo.

Piero Bigongiari

13 settembre ’72

da “L’infinito si allontana finito dall’uomo”, in  “Moses, Frammenti del poema”, “Lo Specchio” Mondadori, 1979

«Invano, divina, confuso tra la folla» – Afanasij Afanas’evic Fet

Richard Avedon, Audrey Hepburn, 1940

 

Invano, divina, confuso tra la folla,
Per via rumorosa depresso me ne andrò;
Ormai con te il destino più non mi fa incontrare,
E gli occhi tuoi brillanti da nessuna parte troverò.

Mi sei apparsa una volta tu, quale magnifica visione,
In mezzo a innumerevoli, inerti persone, –
Fuggevoli sono giovinezza, amore e piacere,
E fama, e sogni, ma tu più fuggevole ancora sei.

Qualcosa di nuovo dissero a me questi occhi,
E senza volerlo di verità nuova il petto è ricolmo, –
Come se all’alba, alzata la tenda della notte,
Vedessi io immagini d’ammaliante sogno.

E dolce fu il mio sogno pur se per un attimo solo! –
Però, gravato da involontaria angoscia,
Adesso vado in giro solo e ti aspetto, visione,
E chiaro davanti a me aleggia un sogno luminoso.

Afanasij Afanas’evic Fet

1850

(Traduzione di Pia Dusi)

da “Il richiamo della poesia”, ed. Marco Serra Tarantola, 2012

Аltrа poesia legata probabilmente alla stessa Маria Lazič (Сfr. А. A. Fet, Полное собрание стихотворений, ор. cit., р. 800).

∗∗∗

«Напрасно, дивная, смешавшися с толпою,»

Напрасно, дивная, смешавшися с толпою,
Вдоль шумной улицы уныло я пойду;
Судьба меня опять уж не сведет с тобою,
И ярких глаз твоих нигде я не найду.

Ты раз явилась мне, как дивное виденье,
Среди бесчисленных, бесчувственных людей, –
Но быстры молодость, любовь, и наслажденье,
И слава, и мечты, а ты еще быстрей.

Мне что-то новое сказали эти очи,
И новой истиной невольно грудь полна, –
Как будто на заре, подняв завесу ночи,
Я вижу образы пленительного сна.

Да, сладок был мой сон хоть на одно
мгновенье! –
Зато, невольного тоскою отягчен,
Брожу один теперь и жду тебя, виденье,
И ясно предо мной летает светлый сон.

Афанасий Афанасьевич Фет

da “Стихотворения и поэмы”, 1986

«Alquist aspetterà il mio ritorno, ma è inutile» – Angelo Maria Ripellino

Toni Schneiders, Self Portrait, 1952

49.

Alquist aspetterà il mio ritorno, ma è inutile.
Io sono un labile, lamentoso carnevale
con il midollo conigliesco dell’autunno.
Gli amici potrebbero testimoniare la mia inesistenza,
il mio umido stato di maschera, a stento
tenuta in piedi da apotecarie ricette.
Stracci di nebbia su un corroso stradivario
e un’arruffata bambagia con occhi sgranati:
ecco il mio identikit, perché è chiaro
che io non sono, ma sono un viluppo di invidia
di quelli che sono, e nessuno mi ha visto
come fastidio di carne, benché tutti sappiano
che fitta mestizia annegrisce il mio sangue.
Finita la festa, non tornerò. Me ne vado nella caligine,
con lunghe bende di Lazzaro, stelle filanti.

Angelo Maria Ripellino

da “Notizie dal diluvio”, Einaudi, Torino, 1969

Dell’algebra dei sentimenti – Hans Magnus Enzensberger

Philippe Ramette, Irrational contemplation, 2009

 

Sovente ho la sensazione (bruciante,
oscura, indefinibile ecc.)
che l’Io non sia un dato di fatto
bensì una sensazione
di cui non mi libero.

La coltivo, le do spazio,
la corrispondo, di caso in caso.
Ma è solo una delle tante.

Le sensazioni si possono contare all’infinito,
cioè si lasciano sostanzialmente numerare,
fino alla noia.

Il numero della gelosia
è manifestamente il sette.
Anche la paura è un numero primo.
E ho la vaga sensazione
che l’umiliazione
rechi sulla fronte il 188 −
un numero senza qualità.
Anche la sensazione di essere numerato
suppongo sia da un pezzo numerata,
però: a che pro e da chi?

La sublime sensazione dell’ira
abita nel Grand Hotel di Hilbert
una stanza diversa
dalla sensazione
di essere superiori all’ira.

E solo chi è capace di darsi
alla sensazione astratta
dell’astratto sa
che questa in certe notti particolarmente chiare
suole assumere il valore di √− 1.

Poi mi corrono di nuovo i brividi
per la schiena, la sensazione
di essere un pacco,
quella non sensibile sensazione di intorpidimento
che sembra faccia scoppiare la lingua
dopo un’iniezione
quando va a saggiare un dente,
o il disagio
col suo penetrante sapore di piombo,
la potente sensazione d’impotenza
che tira irresistibilmente verso lo zero,
e la falsa sensazione
della vera emozione
con la sua orribile frazione continua.

Poi mi riempie
un’intersezione di sentimenti confusi,
colpa, estraneità, benessere, perdita,
tutte in una volta.

Soltanto alla suprema della sensazioni
l’Io sarebbe impari.
Invece di cercare di trascendere
con limite ∞,
preferisce lasciarsi sopraffare
per un minuto
dalla scossa dell’acqua gelido-bollente
sotto la doccia, il cui numero
nessuno ha ancora decifrato.

Hans Magnus Enzensberger

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “Chiosco”, Einaudi, Torino, 2013

∗∗∗

Von der Algebra der Gefühle

Ich habe oft das Gefühl (brennend,
dunkel, undefinierbar usw.),
daß das Ich keine Tatsache ist,
sondern ein Gefühl,
das ich nicht loswerde.

Ich hege es, lasse ihm freien Lauf,
erwidere es, von Fall zu Fall.
Aber es ist nur eins unter vielen.

Die Menge der Gefühle ist abzahlbar unendlich,
d. h. sie lassen sich im Prinzip numerieren,
bis ins Aschgraue.

Die Nummer der Eifersucht
ist offensichtlich die Sieben.
Auch die Angst ist prim.
Und ich habe das dumpfe Gefühl,
daß die Demütigung
die 188 auf ihrer Stirn trägt –
eine Zahl ohne Eigenschaften.
Auch das Gefühl, numeriert zu sein,
ist vermutlich längst numeriert,
nur wozu und von wem?

Das erhabne Gefühl des Zorns
bewohnt ein anderes Zimmer
in Hilberts Hotel
als das Gefühl,
über den Zorn erhaben zu sein.

Und nur wer sich hingeben kann
dem abstrakten Gefühl
für die Abstraktion, der weiß,
daß es in manchen sehr hellen Nächten
den Wert √− 1 anzunehmen pflegt.

Dann wieder läuft es mir kalt
über den Rücken, das Gefühl,
ein Paket zu sein,
das gefühllose, pelzige Gefühl,
von dem die Zunge zu bersten droht
nach der Injektion,
wenn sie dem Zahn auf den Zahn fühlt,
oder die Peinlichkeit
mit ihrem durchdringenden Bleigeschmack,
das mächtige Gefühl der Ohnmacht,
das unaufhaltsam der Null zustrebt,
und das falsche Gefühl
der wahren Empfindung
mit seinem abscheulichen Kettenbruch.

Dann erfüllt mich
eine Schnittmenge aus gemischten Gefühlen,
schuldig, fremd, wohl, verloren,
alles auf einmal.

Nur dem höchsten der Gefühle
wäre das Ich nicht gewachsen.
Statt Aufwallungen zu suchen
mit dem Limes ∞,
läßt es sich lieber
eine Minute lang übermannen
vom Schauder des eisig heißen Wassers
unter der Dusche, dessen Nummer
noch keiner entziffert hat.

Hans Magnus Enzensberger

da “Kiosk”, Suhrkamp Verlag GmbH, Berlin, 1995

«Pian piano anche tu ti sfilerai dalla stretta» – Angelo Maria Ripellino

Foto di Josef Ehm

50.

Pian piano anche tu ti sfilerai dalla stretta
cruna della rivolta,
per diventare un vecchietto benpensante che sgretola
croste di massime ottuse, la stolta
avena del fastidioso Buon Senso.
Pian piano diverrai anche tu un oggidiano,
un arcisapiente melenso,
che fruga perdute felicità fra i detriti,
getterai gli spallacci dorati dell’arroganza,
tutte le obese spoglie dei miti,
sarai buffo sul làstrico verde,
sarai raggricchiato, minuscolo, nano
nella luce palustre della tua notte che avanza,
avrai tanto freddo, come Varsavia a novembre.

Angelo Maria Ripellino

da “Lo splendido violino verde”, Einaudi, Torino, 1976