
Mario Benedetti, foto di Dino Ignani
Come testimoniare i morti,
vivere come lo fossimo,
morire come lo siamo. Per la vita
è la scoperta
della morte e della vita.
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Di Mimnermo le poesie, la stanchezza dell’età.
Dalla vita l’Ade che non c’è, il non risvegliarsi più.
Inerte il sonno che già sai. Inerti nella polvere
a poco a poco le carni, le belle dita, i neri capelli.
Nessuna immagine o parola, o disperato mondo.
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“Anche per me una visione intera
dal primo uomo all’ultimo guardando
questi di questi giorni, provando
il brivido di stare.”
Era il tuo intarsio adolescente.
Entravi nell’ora dell’azzurro cupo:
“Soltanto i giorni tutto questo,
mi difendo con la paura ma non potrò per sempre
questo continuare.”
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Adesso i cani sono pecore e macchie.
Si chiamano anche per nome le bestiole.
Chi vive dice nella vita tante cose
che restano nella vita che muore.
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Ci si sporge all’esterno della vita nella sua paralisi,
si vede vivere quelli che sono diventati una cosa,
tante cose animate, un testardo sentire obbligato.
Futilmente presente è la parola, anche questo dire.
Mario Benedetti
da “Tersa morte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2013