
Foto di Bill Brandt
Mi piaceva quel mio piccolo buco
con la finestra che dava su un muro di mattoni.
Nella stanza vicina c’era un piano.
Un vecchio storpio veniva a suonare
My Blue Heaven
due tre sere al mese.
In genere, però, era tranquillo.
Ogni camera con il suo ragno dal soprabito pesante
che cattura la mosca nella rete
fatta di fumo e cerimonie.
Era così buio laggiù
che non riuscivo a vedermi nello specchio del lavabo.
Di sopra, alle 5 del mattino, scalpiccìo di piedi nudi.
Lo « Zingaro » che legge la fortuna
(ha il negozio all’angolo)
va a pisciare dopo una notte d’amore.
Una volta, persino il singhiozzo di un bambino.
Era così vicino che per un attimo
pensai di singhiozzare io.
Charles Simic
(Traduzione di Andrea Molesini)
da “Hotel Insonnia”, Adelphi, 2002
∗∗∗
Hotel Insomnia
I liked my little hole,
Its window facing a brick wall.
Next door there was a piano.
A few evenings a month
A crippled old man came to play
« My Blue Heaven ».
Mostly, though, it was quiet.
Each room with its spider in heavy overcoat
Catching his fly with a web
Of cigarette smoke and revery.
So dark,
I could not see my face in the shaving mirror.
At 5 A.M. the sound of bare feet upstairs.
The « Gypsy » fortuneteller,
Whose storefront is on the corner,
Going to pee after a night of love.
Once, too, the sound of a child sobbing.
So near it was, I thought
For a moment, I was sobbing myself.
Charles Simic
da “Hotel Insomnia”, Harcourt Brace Jovanovich, 1992
un romanzo intero in una manciata di versi, questa sì che è classe
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