
Foto di Nicholas Buer
Non so vedere il Carro, da millenni,
vederlo come figura piena, intera,
come lo vide, ultimo, Platone sognando,
non sento il brivido del suo movimento nel cielo,
alto, lontano, irraggiungibile.
E non credo che mai le mie lacrime
possano svaporare in limpida rugiada,
né tramutarsi in perle i miei occhi,
né le mie labbra ritornare corallo.
Eppure qualcosa, sento, sta mutando
in me come nel tempo, indissolubili
l’uno dall’altro come la storia e il sangue.
Mi sono accorto all’improvviso che ogni giorno
io muoio e rinasco mille volte
ad ogni battito delle sue ciglia, il buio
eterno di quell’istante e la luce
gloriosa, piena del risveglio.
Io sto viaggiando sul Carro, nei suoi occhi,
il cielo da tempo canta nel volto.
Ora come in un sogno bianco del mattino
sento che il teschio di Yorik nella fossa
nell’incubo di Elsinore e dei suoi spalti
giaceva in attesa di risorgere.
E che il deserto forse fu creato
per rendere infallibile il miraggio.
Questo è un tempo di rinascita, io sento
in ogni battito del mio cuore un mutamento
in qualche cosa di inusitato e strano
che un giorno vidi nel Carro, poi nei suoi occhi.
Roberto Mussapi
da “La piuma del Simorgh”, “Lo Specchio” Mondadori, 2016