«Non diremo parole mortali» – José Saramago

Izis Bidermanas

Foto di Izis Bidermanas

 

Non diremo parole mortali, suoni
bagnati di saliva masticata,
nel dipanarsi dei denti e della lingua.
Colate tra le labbra, le parole
sono le ombre confuse, agitate
del verticale silenzio che si espande.

José Saramago

(Traduzione di Giulia Lanciani)

dalla rivista “Poesia”, Anno XXIII, Settembre 2010, N. 252, Crocetti Editore

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«Não diremos mortais palavras»

Não diremos mortais palavras, sons
Molhados de saliva mastigada
Na dobagem dos dentes e da língua.
Coadas entre os lábios, as palavras
São as sombras confusas, agitadas,
Do vertical silêncio que se expande.

José Saramago

da “Os Poemas Possíveis”, Portugália Ed., 1966

Il cuscino – Chandra Livia Candiani

Foto di Susan De Witt

 

La bambina non ha capelli
ma piume non è
uccello se non di neve
scioglie piano
pensieri imprestati
dalla veglia.
Dormo spalancato
forno bianco
per soffice cedere
al suo sonno
che raccoglie luce.

Chandra Livia Candiani

da “Fatti vivo”, 2006-2016, Einaudi, Torino, 2017

Pomeriggio d’ottobre – Miklós Radnóti

Fanni Gyarmati e Miklós Radnóti

 

Fanni dorme accanto a me sotto la quercia,
da quando dorme tante ghiande sono cadute,
mi metto a litigare con ogni fronda innocua –
perché con un abbraccio ha chiesto di vegliarne il riposo.

Ma il sole mi strizza l’occhio attraverso il cespo della fronda,
e mi assediano i ronzii delle vespe arrabbiate.
La fronda risponde ghianda su ghianda,
ne cade una, poi subito un’altra, non riesce a stare sull’albero.

Fanni si desta, gli occhi azzurri insonnoliti,
le mani così belle, mani di immagini sacre, preoccupata
cerca di riconciliarmi con la fronda, mi accarezza la bocca
e tiene il dito ancora sui miei denti che mordono

per non farmi parlare. È così che si prepara il nuovo silenzio
e dal silenzio lassù sono sei giorni
che la pioggia sibila pioggia, lavando via le ghiande,
legandoci come un nastro nero al novembre.

Miklós Radnóti

(1934)

(Traduzione di Edith Bruck)

da “Mi capirebbero le scimmie”, Donzelli Poesia, 2009

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Október, délután 

Mellettem alszik a tölgy alatt Fanni,
s mióta alszik, annyi makk hullt a fáról,
hogy minden jámbor lombbal veszekszem érte, –
mikor átkarolt, kérte, őrizzem pihenését.

De nap kacsingat át fodrán a lombnak,
vad darazsak dudolnak körül haraggal.
És a lomb makkal felel és feleselget,
hulló makk makkot kerget, nem tud a fán maradni.

Fanni fölébred és álmos szeme kék,
keze oly szép, mint szentkép keze és gonddal
békít a lombbal, végigsímit a számon
s ujját ott tartja három harapós fogamon még,

hogy ne beszéljek. Így készül az új csend
és a csendből odafent sziszegve eső
hatnapos esső, mely elmossa a makkot
s mint fekete szallagot, úgy köti ránk a novembert.

Miklós Radnóti

1934. október 3.

da “Újhold: versek”, Budai György fametszeteivel. Szeged: Szegedi Fiatalok Művészeti Kollégiuma, 1935

Racconto sentimentale – Nichita Stănescu

 

In seguito ci vedevamo sempre più spesso.
Io stavo a un’estremità dell’ora,
tu − all’altra,
come le due anse di un’anfora.
Solo le parole volavano fra di noi,
avanti e indietro.
Il loro vortice pareva essere quasi visto,
e all’improvviso,
piegavo un ginocchio,
e poggiavo il gomito a terra,
solo per vedere l’erba inclinata
dalla caduta di qualche parola,
come sotto la zampa di un leone in corsa.
Le parole ruotavano, ruotavano fra di noi,
avanti e indietro,
e quanto più ti amavo, tanto più
ripetevano, in un vortice quasi visibile,
la struttura della materia, dall’inizio.

Nichita Stănescu

(Traduzione di Fulvio del Fabbro e Alessia Tondini)

da “Una visione dei sentimenti”, 1964, in “Nichita Stănescu, La guerra delle parole”, Le Lettere, Firenze, 1999

∗∗∗

Poveste sentimentală

Pe urmă ne vedeam din ce în ce mai des.
Eu stăteam la o margine-a orei,
tu − la cealaltă,
ca două toarte de amforă.
Numai cuvintele zburau intre noi,
înainte şi înapoi.
Vârtejul lor putea fi aproape zărit,
şi deodată,
îmi lăsam un genunchi,
iar cotul mi-infigeam în pământ,
numai ca să privesc iarba-nclinată
de caderea vreunui cuvânt,
ca pe sub laba unui leu alergând.
Cuvintele se roteau, se roteau între noi,
înainte şi înapoi,
şi cu cât te iubeam mai mult, cu atât
repetau, într-un vârtej aproape văzut,
structura materiei, de la-nceput.

Nichita Stănescu

da “O viziune a sentimentelor”, Editura pentru Literatură, 1964

«Notte d’insonnia. Omero. Vele tese laggiú» – Osip Ėmil’evič Mandel’štam

Ivan Aivazovsky, The Black Sea, 1881

 

Notte d’insonnia. Omero. Vele tese laggiú.
Ho letto, delle navi, fino a metà il catalogo:
questa lunga nidiata, questo corteo di gru
che dall’Ellade un giorno si levò e prese il largo.

Cuneo di gru diretto verso estranee frontiere –
bianca schiuma divina sulle teste dei re –,
per dove fate rotta? Per voi Troia senz’Elena
sarebbe mai la stessa, maschi guerrieri achei?

L’amore tutto muove – muove Omero e il suo mare.
A chi presterò ascolto? Ma ecco tace Omero,
ed enfaticamente strepita un mare nero
che con un greve rombo si addossa al capezzale.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

Agosto 1915

(Traduzione di Remo Faccani)

da “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Ottanta Poesie”, Einaudi, Torino, 2009

Metro: esapodia giambica; quartine a rime incrociate, di cui le prime due con uscite aBBa, cDDc, e la terza con uscite EffE.
v. 2: «…delle navi, fino a metà il catalogo»; il verso si riferisce, com’è facile intuire, al secondo libro dell’Iliade, che contiene il catalogo, l’elenco delle navi salpate da Aulide alla volta delle coste troiane: pittoresca, incalzante sequela di nomi propri (di personaggi, città, luoghi, etnie). A ispirare la lirica fu, probabilmente, la lettura dell’Iliade in greco, – oltre che un giudizio espresso da Innokentij Annenskij nel suo articolo Čto takoe poèzija? [Che cos’è la poesia?]: «…anche il catalogo delle navi era autentica poesia, finché emanava suggestione. I nomi dei navarchi sbarcati davanti a Ilio, che oggi non ci dicono piú niente, il suono stesso di quei nomi, ammutolito e spento ormai per sempre, … nei ricordi di un greco dell’antichità si portava dietro vive catene di fiorenti narrazioni leggendarie che ai nostri giorni sono diventate lo scialbo patrimonio di dizionari dalle rilegature blu stampati a Lipsia» (I. Annenskij, Knigi [I libri delle immagini riflesse], Moskva 1979, p. 204; lo scritto era apparso la prima volta sulla rivista «Apollon», 6, 1911).
v. 5: «corteo» traduce il russo ;”poezd” (cfr. «svadebnyj poezd» [‘corteo nuziale’]).
v. 7: Con «per dove…» e «Per voi…» ho tentato di fornire un equivalente della paronomasia del testo russo – kudá (‘verso dove?’), kogdá (‘quando, qualora’).
v. 8: «maschi guerrieri» corrisponde al russo muži, plurale di muž, col valore desueto e solenne di ‘uomo (in contrapposizione a donna)’, valore che si ricollega ad alcuni dei significati del russo arcaico muž´ (‘uomo di spicco, di alto lignaggio’, ‘membro della scorta di un principe’, ‘guerriero’).
v. 9: «L’amore tutto muove» traduce il russo «Vsë dvižetsja ljubov´ju» (lett.: ‘Tutto è mosso dall’amore’) e riecheggia, rimodula scopertamente, forse volutamente, celebri versi della Commedia dantesca, da «La gloria di colui [= Dio] che tutto move» a «l’amor [= Dio] che muove il sole e l’altre stelle» (Par. I, 1, e XXXIII, 145), sullo sfondo, parrebbe, di versi non meno famosi come «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende…», «Amor, ch’a nullo amato amar perdona…» (Inf. V, 100, 106), – per tacere di altre formulazioni di Dante e degli stilnovisti in genere, che Mandel´štam poté aver modo di conoscere. Infatti, nella lirica di Mandel´štam l’“amore” (“Amore?”) è dato in un’accezione laica, terrena. Per altro, si è tentati di intravedere nel v. 9 il ricordo, un’eco piú o meno diretta del virgiliano (Bucolica X, 69) «Omnia vincit Amor» («Amore vince tutto; ha la meglio su tutto; riesce a dominare tutto, a superare tutti gli ostacoli»; e dunque, in un certo senso: «tutto è dominato, mosso da Amore»); cfr. anche il parallelismo sintattico con l’emistichio mandel´štamiano («Vsë dvižetsja ljubov´ju»). (Remo Faccani)

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«Бессонница. Гомер. Тугие паруса.»

Бессонница. Гомер. Тугие паруса.
Я список кораблей прочел до середины:
Сей длинный выводок, сей поезд журавлиный,
Что над Элладою когда-то поднялся.

Как журавлиный клин в чужие рубежи —
На головах царей божественная пена —
Куда плывете вы? Когда бы не Елена,
Что Троя вам одна, ахейские мужи?

И море, и Гомер — все движется любовью.
Кого же слушать мне? И вот Гомер молчит,
И море черное, витийствуя, шумит
И с тяжким грохотом подходит к изголовью.

Осип Эмильевич Мандельштам

Авгус 1915

da “Sobranie socinenij”, a cura di P. Nerler, A. Nikitaev, Ju. Frejdin, S. Vasilenko, Moskva, 1993-1994