Plausibile – Giuseppe Conte

Josef Sudek, Still life, 1956

 

Altri sogni, altri eroi.
La vita è l’incessabile.
Altri fiori, altri noi.
L’amore è l’inestinguibile.
Altre passioni, e poi
anche morire potrà
sembrarci dolce, plausibile.

Giuseppe Conte

da “Dialogo del poeta e del messaggero”, “Lo Specchio” Mondadori, 1992

Coscienza – Attila József

Sergio Larrain, Railway station, 1963

1.

Dalla terra il cielo scioglie l’alba
e alla sua mite parola pura
gli insetti ed i bambini
alla luce del sole si levano.
L’aria è senza vapori.
Vibrano lucide minuzie.
Sono volate stanotte sugli alberi
come minime farfalle le foglie.

2.

Ho visto in sogno figure screziate
di blú, di rosso, di giallo.
Quello era – sentivo in me – l’ordine:
non un grano di pulviscolo mancava.
Ora qui vola dentro le mie membra
il sogno. Ordine è il mondo di ferro.
Di giorno sorge in me la luna; e se fuori
è notte, qui risplende dentro un sole.

3.

Sono magro, solo pane
mangio qualche volta. Fra queste anime
vane, ciarliere, cerco inutilmente
qualcosa piú certo del dado da giuoco.
Mai che un pezzo d’arrosto mi si strusci
alla bocca ed un bambino al cuore.
Oh, si ingegna! Ma il gatto non sa
prendere il topo, insieme, dentro e fuori.

4.

Come catasta di legna
sta in un cumulo il mondo.
Stringe, spinge, rinserra
una cosa l’altra cosa
e ciascuno cosí è determinato.
Solo quel che non è, mette rami.
Solo quel che sarà, è il fiore.
Quello che è, si disfa.

5.

Lungo lo scalo merci
mi ero annidato ai piedi dell’albero
come un pezzo di silenzio. Una gramigna
mi sfiorava le labbra, aspra, stranamente dolce.
Morto, spiavo il guardiano
e tra i vagoni muti ostinato
i balzi della sua ombra sui lampi
del carbone bagnato di rugiada.

6.

Ecco, la pena è qui dentro.
Ma è fuori, lí, quel che la spiega.
Il mondo è la tua piaga. Brucia, arde;
e tu la tua anima senti, la febbre.
Schiavo se il cuore soltanto è in rivolta
non sarai libero finché per te
non avrai costruito una casa
e non per un padrone.

7.

Ho guardato dalla sera in alto
verso la ruota dei cieli:
con i lucidi fili del caso
si tesseva al telaio del passato la legge.
E ancora ho guardato verso il cielo
su dai sogni delle mie nebbie
e ho veduto: ora qui, ora là si sdruciva
la trama della legge sempre.

8.

Il silenzio ascoltava. Un colpo suonò.
Puoi la tua gioventú rivedere
tra cemento di umide mura
e immaginare qualche libertà,
pensavo. Ma, levandomi, su in alto
stelle e carri dell’Orse
brillavano come le sbarre
sopra la cella muta.

9.

Ho sentito gemere il ferro.
Ho sentito ridere la pioggia.
Vedevo, era rotto il passato,
solo quel che si immagina si perde
e io non so altro che amare,
curvo sotto i miei pesi…
Perché si deve fare di te
un’arma, coscienza d’oro!

10.

Adulto è chi non ha
né padre né madre nel cuore,
che sa di ricevere come
in aggiunta alla morte la vita;
come oggetto trovato sa renderla
in qualunque momento e per questo la serba;
chi non è prete o dio
né per se stesso né per nessuno.

11.

Io l’ho vista, la felicità:
morbida, bionda, piú d’un quintale.
Sull’erba austera del cortile
il suo sorriso ricciuto barcollava.
Sdraiata nel tepore della melma
grugní ammiccando verso di me.
Vedo ancora come indecisa
fra i crini la luce esitava.

12.

Abito lungo la ferrovia. Qui molti
treni vengono e vanno e mi piace
guardare le luci che volano
sul fondo sventolío del buio.
Cosí filano nella notte eterna
i giorni illuminati
e io sono nella luce di ogni scompartimento
mi appoggio sul gomito e non parlo.

Attila József

1957

(Traduzione di Franco Fortini)

da “Il ladro di ciliege e altre versioni di poesia”, “I Supercoralli” Einaudi, 1982 

Poesia per chi non legge poesie – Hans Magnus Enzensberger

 

Chi a bocca lacerata chiama
dalla camera a nebbia? Chi nuota,
un anello di gomma alla gola,
in questa pozza che ribolle
di birra e sangue?
                                È per lui
che questo nella polvere incido,
per lui che non decifra.

Chi è tutto sepolto dai giornali
e dal letame? Chi ha uranio nell’urina?
Che è cucito nella bava
tenace dei consigli direttivi? Chi
è idiota per attivi piombi?
                                                Guarda, è lui,
nella nuca l’antenna,
meningi di rogna, che mastica zitto.

Che incomprensibili orecchie sono mai quelle e colano
d’orrido zucchero candito
fasciate di listini-cambi, accumulate
nei classificatori,
in torvi fascicoli sordi,
di stralunati traditori orecchie;
                                                          io a quelle
freddo come la notte ostinatamente dico.

E l’ululato che queste parole
inghiotte? Sono le lorde
aquile pubbliche e alleluiano
attraverso il cielo attonito
per proteggere noi.
                                    Con il fegato
che è mio, che è tuo, si nutrono,
lettore che non leggi.

Hans Magnus Enzensberger

(Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser)

da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

∗∗∗

gedicht für die gedichte nicht lesen

wer ruft mit abgerissenem mund
aus der nebelkammer? wer schwimmt,
einen gummiring um den hals,
durch diese kochende lache
aus bockbier und blut?
                                           er ist es,
für den ich dies in den staub ritze,
er, der es nicht entziffert.

wer ist ganz begraben von zeitungen
und von mist? wer hat uran im urin?
wer ist in den zähen geifer
der gremien eingenäht? wer
ist beschissen von blei?
                                           siehe,
er ists, im genick die antenne,
der sprachlose fresser mit dem räudigen hirn.

was sind das für unbegreifliche ohren,
von wüstem zuckerguss triefend,
die sich in kurszettel wickeln
und in den registraturen stapeln
zu tauben mürrischen bündeln?
                                                           geneigte,
ohren verstörter verräter, zu denen
rede ich kalt wie die nacht und beharrlich.

und das geheul, das meine worte
verschlingt? es sind die amtlichen
schmierigen adler, die orgeln
durch den entgeisterten himmel,
um uns zu behüten.
                                   von lebern,
meiner und deiner,  zehren sie,
leser, der du nicht liest.

Hans Magnus Enzensberger

da “Landessprache”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1960

Questa felicità – Mario Luzi

Foto di Anja Bührer

 

Questa felicità promessa o data
m’è dolore, dolore senza causa
o la causa se esiste è questo brivido
che sommuove il molteplice nell’unico
come il liquido scosso nella sfera
di vetro che interpreta il fachiro.
Eppure dico: salva anche per oggi.
Torno torno le fanno guerra cose
e immagini su cui cala o si leva
o la notte o la neve
uniforme del ricordo.

Mario Luzi

da “Onore del vero”, Neri Pozza Editore, 1957

Ragazzo prodigio – Charles Simic

 

Sono cresciuto chino
su una scacchiera.

Amavo la parola scaccomatto.

Il che sembrava impensierire i miei cugini.

Era piccola la casa,
accanto a un cimitero romano.
I suoi vetri tremavano
per via dei carri armati e caccia.

Fu un professore di astronomia in pensione
che m’insegnò a giocare.

L’anno, probabilmente, il ’44.

Lo smalto dei pezzi che usavamo,
quelli neri,
era quasi del tutto scrostato.

Il Re bianco andò perduto,
dovemmo sostituirlo.

Mi hanno detto, non credo sia vero,
che quell’estate vidi
gente impiccata ai pali del telefono.

Ricordo che mia madre
spesso mi bendava gli occhi.
Con quel suo modo spiccio d’infilarmi
la testa sotto la falda del soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,
i maestri giocano bendati,
i campioni, poi, su diverse scacchiere
contemporaneamente.

Charles Simic

(Traduzione di Andrea Molesini)

da “Hotel Insonnia”, Adelphi, 2002

∗∗∗

Prodigy

I grew up bent over
A chessboard.

I loved the word endgame.

All my cousins looked worried.

It was a small house
Near a Roman graveyard.
Planes and tanks
Shook its windowpanes.

A retired professor of astronomy
Taught me how to play.

That must have been in 1944.

In the set we were using,
The paint had almost chipped off
The black pieces.

The white King was missing
And had to be substituted for.

I’m told but do not believe
That that summer I witnessed
Men hung from telephone poles.

I remember my mother
Blindfolding me a lot.
She had a way of tucking my head
Suddenly under her overcoat.

In chess, too, the professor told me,
The masters play blindfolded,
The great ones on several boards
At the same time.

Charles Simic

da “Classic Ballroom Dances”, New York: George Braziller, 1980