Parente della Morte – Endre Ady

Edward Steichen, Heavy roses, 1914

 

Io sono parente della Morte.
Amo l’amore morente,
amo baciare
chi se ne va.

Amo le rose malate,
le vogliose donne sfiorenti,
e i lucenti, malinconici
tempi d’autunno.

Amo il richiamo spettrale
delle ore tristi
e il fratello giocoso
della grande e santa Morte.

Amo coloro che partono,
che piangono e si destano
e, nei freddi mattini brinati,
i campi.

Amo la stanca rinuncia,
il pianto senza lagrime,
la pace, rifugio di saggi, di poeti
e di malati.

Amo i delusi, gl’infermi,
coloro che sono fermi,
gl’increduli, i tristi:
il mondo.

Io sono parente della Morte.
Amo l’amore morente,
amo baciare
chi se ne va.

Endre Ady

(Traduzione di Paolo Santarcangeli)

da “Endre Ady, Poesie”, Lerici editori, Milano, 1964

***

A Halál rokona

Én a Halál rokona vagyok,
Szeretem a tűnő szerelmet,
Szeretem megcsókolni azt,
Aki elmegy.

Szeretem a beteg rózsákat,
Hervadva ha vágynak, a nőket,
A sugaras, a bánatos
Osz-időket.

Szeretem a szomorú órák
Kisértetes, intő hivását,
A nagy Halál, a szent Halál
Játszi mását.

Szeretem az elutazókat,
Sírokat és fölébredőket,
S dér-esős, hideg hajnalon
A mezőket.

Szeretem a fáradt lemondást,
Könnyeden sírást és a békét,
Bölcsek, poéták, betegek
Menedékét.

Szeretem azt, aki csalódott,
Aki rokkant, aki megállóit,
Aki nem hisz, aki borús:
A világot.

Én a Halál rokona vagyok,
Szeretem a tűnő szerelmet,
Szeretem megcsókolni azt,
Aki elmegy.

Endre Ady

da “Vér es arany”, Franklin-Társulat, Budapest, 1908

La luce – Vicente Aleixandre

Foto di Antonio Mora

 

La terra, il mare, il fuoco, il vento,
il durevole mondo in cui viviamo,
gli astri remotissimi che quasi ci supplicano,
che son quasi talora una mano sugli occhi.

Venuta della luce che posa sulla fronte.
Di dove giungi, di dove vieni, amorosa forma che sento respirare,
che sento come un petto che racchiudesse musica,
che sento come arpe angeliche sonanti,
quasi ormai cristalline come il suono dei mondi?

Di dove vieni, celeste tunica che in forma di raggio luminoso
accarezzi una fronte che vive e soffre, che ama come la vita?;
di dove tu, che ora sembri il ricordo di un fuoco ardente come il ferro che marca,
ora ti plachi sopra la stanca esistenza di una testa che ti comprende?

Il tuo sfiorare tacito, il tuo arridente giungere come labbra dall’alto,
il tuo segreto mormorato all’udito che attende,
ferisce o fa sognare come il suono di un nome
che solo labbra fulgide possono pronunciare.

Adesso contemplando le tenere bestiole che si aggirano in terra,
bagnate dalla tua presenza o scala silenziosa,
rivelate alla loro esistenza, difese dalla mutezza
in cui s’ode soltanto il battere del sangue.

Guardando questa nostra pelle, il nostro corpo visibile
perché tu lo riveli, luce che ignoro chi invia,
luce che giungi ancora come detta da labbra,
con la forma di denti o di bacio implorato,
con il calore ancora di una pelle che ci ama.

Dimmi, dimmi chi è, chi mi chiama, chi mi dice, chi invoca,
dimmi che è quest’invio remotissimo che supplica,
che pianto a volte ascolto quando non sei che lagrima.
Oh tu, celeste luce tremante o desiderio,
fervente speranza di un petto che non si estingue,
di un petto che si lamenta come due braccia protese
capaci di allacciare tutt’intorno la terra.

Ahi amorosa cadenza dei mondi remoti,
degli amanti che tacciono sempre le loro pene,
dei corpi che esistono, delle anime che esistono,
dei cieli infiniti che in silenzio ci giungono!

Vicente Aleixandre

(Traduzione di Francesco Tentori Montalto)

da “La distruzione o amore”, Einaudi, Torino, 1970

***

La luz

El mar, la tierra, el cielo, el fuego, el viento,
el mundo permanente en que vivimos,
los astros remotísimos que casi nos suplican,
que casi a veces son una mano que acaricia los ojos.

Esa llegada de la luz que descansa en la frente.
¿De dònde llegas, de dònde vienes, amorosa forma que siento respirar,
que siento como un pecho que encerrara una música,
que siento como el rumor de unas arpas angélicas,
ya casi cristalinas como el rumor de los mundos?

¿De dònde vienes, celeste túnica que con forma de rayo luminoso
acaricias una frente que vive y sufre, que ama como lo vivo?;
¿de dònde tú, que tan pronto pareces el recuerdo de un fuego ardiente tal el hierro que señala,
como te aplacas sobre la cansada existencia de una cabeza que te comprende?

Tu roce sin gemido, tu sonriente llegada como unos labios de arriba,
el murmurar de tu secreto en el oído que espera,
lastima o hace soñar como la pronunciaciòn de un nombre
que sòlo pueden decir unos labios que brillan.

Contemplando ahora mismo estos tiernos animalitos que giran por tierra alrededor,
bañados por tu presencia o escala silenciosa,
revelasdos a su existencia, guardados por la mudez
en la que sòlo se oye el batir de las sangres.

Mirando esta nuestra propia piel, nuestro cuerpo visible
porque tú lo revrfas, luz que ignoro quién te envía,
luz que llegas todavía como dicha por unos labios,
con la forma de unos dientes o de un beso suplicado,
con todavía el calor de una piel que nos ama.

Dime, dime quién es, quién me llama, quién me dice, quién clama,
dime qué es este envío remotísimo que suplica,
qué llanto a veces escucho cuando eres sólo una lágrima.
Oh tú, celeste luz temblorosa o deseo,
fervorosa esperanza de va pecho que no se extingue,
de un pecho que se lamenta como dos brazos largos
capaces de enlazar una cintura en la tierra.

¡Ay amorosa cadencia de los mundos remotos,
de los amantes que nunca dicen sus sufrimientos
de los cuerpos que existen, de las almas que existen,
de los cielos infinitos que nos llegan con su silencio!

Vicente Aleixandre

da “La destrucción o el Amor”, M., Signo, 1935

Gli amanti – Bertolt Brecht

Auguste Rodin, Mains d’amants, marmo, 1904, Musée Rodin di Parigi

 

Guardalo, quel grand’arco delle gru!
Le nuvole che navigano erano
già insieme a loro quando via volarono
da una vita verso un’altra vita.
A eguale altezza e con eguale moto
paiono queste a quelle appena prossime.
Sí che la gru e la nube condividono
il bel cielo che in breve ora trasvolano,
sí che alcuno dei due piú non s’indugia
né altro se non l’ondulazione vede
dell’altro dentro il vento, cui consentono
essi che ora nel volo uniti posano;
cosí portare li può al nulla il vento
solo che non si sciolgano e in sé restino,
nulla li può turbare sino allora
e sino allora volan via da dove
piogge minaccino o schianti di spari.
Cosí per lune e soli, poco dissimili spere,
volano via, l’uno all’altro devoti.
E dove? – In nessun luogo – E via da chi? – Da tutti.
Da quando, voi chiedete, sono insieme?
Da poco – E si separeranno? – Presto.
Ché sembra amore agli amanti una sosta.

Bertolt Brecht

(Traduzione di Franco Fortini)

da “Poesie e canzoni”, “I Millenni” Einaudi, 1959

∗∗∗

Die liebenden 

Sieh jene Kraniche in grossem Bogen!
Die Wolken, welche ihnen beigegeben
Zogen mit ihnen schon, als sie entflogen
Aus einem Leben in ein andres Leben.
In gleicher Höhe und mit gleicher Eile
Scheinen sie alle beide nur daneben.
Dass so der Kranich mit der Wolke teile
Den schönen Himmel, den sie kurz befliegen
Dass also keines länger hier verweile
Und keines andres sehe als das Wiegen
Des andern in dem Wind, den beide spüren
Die jetzt im Fluge beieinander liegen
So mag der Wind sie in das Nichts entführen
Wenn sie nur nicht vergehen und sich bleiben
So lange kann sie beide nichts berühren
So lange kann man sie von jedem Ort vertreiben
Wo Regen drohen oder Schüsse schallen.
So unter Sonn und Monds wenig verschiedenen Scheiben
Fliegen sie hin, einander ganz verfallen.
Wohin, ihr? – Nirgend hin. – Von wem davon? – Von allen.
Ihr fragt, wie lange sind sie schon beisammen?
Seit kurzem. – Und wann werden sie sich trennen? – Bald.
So scheint die Liebe Liebenden ein Halt.

Bertolt Brecht

da “Gedichte, 1913-1929”, Suhrkamp Verlag, 1960

1913 -1929. Unveröffentlichte und nicht in Sammlungen enthaltene. Unveröffentlichte und nicht in Sammlungen enhaltene Gedichte. Gedichte und Lieder und Stücken.

Luglio – Lalla Romano

Wolfgang Sievers, Berlin, 1938

19 luglio

Silenzio come pienezza, non povertà.
Dal silenzio nasce sia l’attesa che l’appagamento.

La sofferenza – fisica – è un richiamo o un disturbo?
Non come negazione ma raccoglimento.

odore di fiore
silenzio come appagamento
silenzio voluto,
silenzio cercato
silenzio pieno, non vuoto
parole di silenzio
silenzio consistente
compatto eppure leggero
consenziente
affermativo
consolatorio
ricordo, non dimenticanza
pregnanza

 

Fame,
errabonda incontinenza

 

Solitudine come presenza
non assenza
parole taciute,
presenze
solitudine calda.

 

La bambina malata non va lasciata sola
presenza assente – soavità

soavità
di un’assenza
presente
parole forti
taciute
nell’assenza
soavi
presenze
fame
insaziata
incontinenza
dolce

Lalla Romano

da “Diario ultimo”, “I Supercoralli” Einaudi, 2006

Il deserto – Jorge Luis Borges

Sebastião Salgado, Sahara, Algeria, 2009

 

Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l’acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l’acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola.
Prima di sprofondarmi nell’inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa è ora il mio tormento
nell’oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L’uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un’altra parabola.
Nessuno sulla terra
ha il coraggio di essere quell’uomo.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

***

El desierto 

Antes de entrar en el desierto
los soldados bebieron largamente el agua de la cisterna.
Hierocles derramó en la tierra
el agua de su cántaro y dijo:
Si hemos de entrar en el desierto,
ya estoy en el desierto.
Si la sed va a abrasarme,
que ya me abrase.
Ésta es una parábola.
Antes de hundirme en el infierno
los lictores del dios me permitieron que mirara una rosa.
Esa rosa es ahora mi tormento
en el oscuro reino.
A un hombre lo dejó una mujer.
Resolvieron mentir un último encuentro.
El hombre dijo:
Si debo entrar en la soledad
ya estoy solo.
Si la sed va a abrasarme,
que ya me abrase.
Ésta es otra parábola.
Nadie en la tierra
tiene el valor de ser aquel hombre.

Jorge Luis Borges

da “La Cifra”, Alianza Editorial, S. A. Madrid, 1981