L’addio – Nazim Hikmet

Foto di Alfred Eisenstaedt

 

L’uomo dice alla donna
      t’amo
e come:
    come se stringessi tra le palme
    il mio cuore, simile a scheggia di vetro
    che m’insanguina i diti
        quando lo spezzo
            follemente.

L’uomo dice alla donna
         t’amo
e come:
    con la profondità dei chilometri
    con l’immensità dei chilometri
cento per cento
    mille per cento
         cento volte l’infinitamente cento.

La donna dice all’uomo
ho guardato
      con le mie labbra
         con la mia testa col mio cuore
con amore con terrore, curvandomi
sulle tue labbra
    sul tuo cuore
         sulla tua testa.
E quello che dico adesso
l’ho imparato da te
come un mormorio nelle tenebre
e oggi so
   che la terra
       come una madre
           dal viso di sole
allatta la sua creatura più bella.
         Ma che fare?
I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore
non posso strapparne la testa
devi partire
     guardando gli occhi del nuovo nato
          devi abbandonarmi.
La donna ha taciuto
si sono baciati
un libro è caduto sul pavimento
una finestra si è chiusa.

     È così che si sono lasciati.

Nazim Hikmet

(Traduzione di Joyce Lussu)

da “Fuori del carcere”, Istambul, 1951

daNazim Hikmet, Poesie d’amore”, “Lo Specchio” Mondadori, 1963

L’attesa – Guy Goffette

Foto di Richard Tuschman, from “Hopper Meditations series”

 

Se vieni per restare, lei dice, non parlare.
Bastano pioggia e vento sopra le tegole,
basta il silenzio accumulato sopra i mobili
come polvere dopo secoli senza te.

Ancora non parlare. Ascolta ciò ch’è stato
lama nella mia carne: ogni passo, un ridere lontano,
l’abbaiare di un cane, lo sportello che sbatte
e questo treno che non finisce mai di passare

sulle mie ossa. Rimani senza parole: non c’è nulla
da dire. Lascia che la pioggia ridiventi pioggia
e il vento questa marea sotto le tegole, lascia

il cane gridare il suo nome nella notte, lo sportello
sbattere, andarsene lo sconosciuto in quel luogo vuoto
dove io morirò. Rimani se vieni per rimanere.

Guy Goffette

(Traduzione di Marcello Comitini)

∗∗∗

L’attente

Si tu viens pour rester, dit-elle, ne parle pas.
Il suffit de la pluie et du vent sur les tuiles,
il suffit du silence que les meubles entassent
comme poussière depuis des siècles sans toi.

Ne parle pas encore. Écoute ce qui fut
lame dans ma chair : chaque pas, un rire au loin,
l’aboiement du cabot, la portière qui claque
et ce train qui n’en finit pas de passer

sur mes os. Reste sans paroles : il n’y a rien
à dire. Laisse la pluie redevenir la pluie
et le vent cette marée sous les tuiles, laisse

le chien crier son nom dans la nuit, la portière
claquer, s’en aller l’inconnu en ce lieu nul
où je mourais. Reste si tu viens pour rester.

Guy Goffette

da “La Vie promise”, Éditions Gallimard, 1991

Desiderio – Paola Loreto

Foto di Katia Chausheva

 

Cerco un uomo che adori le stagioni,
che non tema l’inverno, e neppure
il primo vero. Che sappia vedermi,
come oggi, in questa luce che non so
afferrare, che mi tiene in una palla
di vetro, bagna d’ambra e scompiglia
i riflessi dei capelli sulle ciglia.

Ho trovato qualcuno che si sveglia
a mezzanotte per scalare una montagna,
senza freddo e senza esitazioni.
Oggi sa di che colore ho la pelle
anche se non è con me. Sa il giallo
del larice e il rosso dell’acero.
La ruggine del faggio e il verde cupo
degli abeti. Sa la vita e le sue vere
esigenze: quale pasta mi piace
mangiare la sera e mi dà forza,
e come sfilo la camicia la notte
per far finta di andare a dormire.

Paola Loreto

da “La memoria del corpo”, Crocetti Editore, 2007

Febbre a 40° – Sylvia Plath

 

Pura? Che vuol dire?
Le lingue dell’inferno
sono ottuse, ottuse come le tre lingue

dell’ottuso e grasso Cerbero
che ansima all’ingresso. Incapaci
di pulire leccando

il tendine febbrile, il peccato, il peccato.
L’esca da fuoco stride.
L’indelebile odore

di una candela soffocata!
Amore, amore, i bassi fumi si svolgono
da me come le sciarpe di Isadora, ho il terrore

che una s’impigli e resti presa nella ruota.
Fumi così gialli e tetri
creano il proprio elemento. Invece di levarsi

rotolano intorno al globo
soffocando i vecchi e i mansueti,
il gracile

bimbo di serra nella culla,
l’orrida orchidea
che appende il suo giardino pensile nell’aria,

diabolico leopardo!
La radiazione l’ha resa bianca
e in un’ora l’ha uccisa.

Ungono i corpi degli adulteri
come cenere di Hiroshima e li corrodono.
Il peccato. Il peccato.

Tesoro, è tutta la notte
che vacillo, spenta, accesa, spenta, accesa.
Le lenzuola si fanno grevi come il bacio di un vizioso.

Tre giorni. Tre notti.
Acqua e limone, acqua
di pollo, acqua mi fanno vomitare.

Sono troppo pura per te o per chiunque.
Il tuo corpo
mi fa male come il mondo fa male a Dio. Sono una lanterna——

la mia testa una luna
di carta giapponese, la mia pelle oro in foglia
infinitamente delicata e infinitamente costosa.

Non ti sbalordisce il mio calore? E la mia luce.
Tutta sola, sono un’enorme camelia
che arde e viene e va, vampa su vampa.

Sto sollevandomi, credo.
Credo che salirò——
I grani di metallo bollente volano, e io, amore, io

sono una pura
vergine
di acetilene, scortata da rose,

da baci e cherubini,
da tutte queste strane cose rosa.
Non tu, né lui,

non lui, né lui
(i miei io che si dissolvono, vecchie gonnelle di puttana)——
verso il Paradiso.

Sylvia Plath

20 ottobre 1962

(Traduzione di Anna Ravano)

da “Ariel”, in “I capolavori di Sylvia Plath”, Mondadori, Milano, 2004

***

Fever 103°

Pure? What does it mean?
The tongues of hell
Are dull, dull as the triple

Tongues of dull, fat Cerberus
Who wheezes at the gate. Incapable
Of licking clean

The aguey tendon, the sin, the sin.
The tinder cries.
The indelible smell

Of a snuffed candle!
Love, love, the low smokes roll
From me like Isadora’s scarves, I’m in a fright

One scarf will catch and anchor in the wheel.
Such yellow sullen smokes
Make their own element. They will not rise,

But trundle round the globe
Choking the aged and the meek,
The weak

Hothouse baby in its crib,
The ghastly orchid
Hanging its hanging garden in the air,

Devilish leopard!
Radiation turned it white
And killed it in an hour.

Greasing the bodies of adulterers
Like Hiroshima ash and eating in.
The sin. The sin.

Darling, all night
I have been flickering, off, on, off, on.
The sheets grow heavy as a lecher’s kiss.

Three days. Three nights.
Lemon water, chicken
Water, water make me retch.

I am too pure for you or anyone.
Your body
Hurts me as the world hurts God. I am a lantern——

My head a moon
Of Japanese paper, my gold beaten skin
Infinitely delicate and infinitely expensive.

Does not my heat astound you. And my light.
All by myself I am a huge camellia
Glowing and coming and going, flush on flush.

I think I am going up,
I think I may rise——
The beads of hot metal fly, and I, love, I

Am a pure acetylene
Virgin
Attended by roses,

By kisses, by cherubim,
By whatever these pink things mean.
Not you, nor him

Not him, nor him
(My selves dissolving, old whore petticoats)——
To Paradise.

Sylvia Plath

20 October 1962

da “Ariel”, London, Faber and Faber, 1965

Antico inverno – Salvatore Quasimodo

Foto di Damiano Errico

 

Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.

Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.

Salvatore Quasimodo

da “Acque e terra”, Edizioni Solaria, Firenze, 1930