
Foto di Roberto Nespola, Roma, settembre 2013
Lo so che poco ho mantenuto, ma oso
pensare che già quello fosse il limite
del possibile, e che altro amare fosse
inscindibile forse dal suo opposto.
Dove stare, in quale strano posto
se non proprio nel luogo presupposto
come unico e impossibile per te:
amare senza credere di amare,
essere te senza pensare di esserlo?
Il viaggio, il nostos, che cos’è
se non allontanarsi da se stessi,
squilibrare un difficile equilibrio,
darsi al ludibrio azzurro dei miraggi,
mettersi ad ascoltare il sussurro
delle sirene, picconare il muro
della dimora, amare l’improbabile,
distruggere la storia del ritorno?
Sugli scogli verdastri di licheni
e viscidi del mare di Livorno
dove ha imparato a nuotare, un fanciullo,
con gli occhi pieni di quella malia,
ascolta il suadente andirivieni
della maretta, ascolta e distrugge
senza fretta la stanza dell’infanzia
e l’azzurra incostanza dello sguardo
nella vita che avanza
con moto alterno verso chi sta fermo
nega propria distanza immaginaria.
Non tutto ciò che sembra audace è eterno.
Ma forse solo lì è vera pace,
se solo nell’ alterno è l’identico,
quasi un batter di ciglia sotto il sole,
di cui è diversa solo la penombra.
In quella identità mi sono perso,
cerco me stesso in ogni alterità.
Sono fermo perché sono lontano
da me stesso e levo alta la mano
spesso a un saluto a chi non so chi è,
se si avvicina ignoto o si allontana,
gesto che sembra ma non è di resa:
è l’ignoto che in me fa la sua spesa
di un’avventura che in me e in lui
non si è arresa e non può arrendersi.
Chi è andato pel mondo a dolorare,
forse il mio doppio, di cui io nemmeno
riesco a immaginare il ritorno?
Forse gli itinerari ormai s’incrociano.
O divergono? Certo, sono rari,
sempre più rari, ormai gli appuntamenti
tra ciò che insegni e ciò che forse impari
o cerchi di imparare dall’ignoto
visitatore, che cosa e da chi
è più strano ormai d’ogni memoria?
Forse ho perduto una parte di me,
ma a chi l’ho data? Io non so dov’è.
Forse una fata l’ha rapita e
se mi ama non vuol restituirmela:
quasi è la perla di una promessa,
pegno ch’io devo ancora mantenere,
sulla soglia del suo fatato regno.
Ringrazio ogni mancanza. È la vita
che ormai danza con il mio fantasma,
con la mia gelosia, con ogni mia
ubbía: forse è il plasma incandescente
della mia allegria, simile a quello
che agita il segreto delle stelle.
E così sia, così sia, se è
quello che ormai ti visita nei sogni.
Piero Bigongiari
3-4 ottobre 1996
da “Il silenzio del poema: poesie 1996-1997”, Genova, Marietti, 2003
[…] Riferimento:https://poesiainrete.com/2021/10/15/segnando-il-passo-ovvero-lio-e-il-suo-doppio-piero-bigongiari/ […]
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