
Stanisław Ignacy Witkiewicz “Witkacy” Self-portrait (1910)
Il cameriere che sbuccia l’arancia
nella lunga spirale ritornante
su se stessa, è il ritorno dell’uguale,
il canto che a ogni messa apre l’ale,
ma si svuota così dell’apparenza
quanto, deposto lieve sulla mensa
dell’essere, ritorna al proprio avere.
Non è un rancio, ritornano le fiere
a ruggire tra sbarre, il sangue e il fiele
torna sull’ostia, tornano le tenebre
a filtrare nel corpo della luce,
se le doghe non tengono.
Ora brucia
nella fiamma azzurrina l’omelette:
sono pronte per te le crêpes suzettes
flambées, bruciato l’alcool della vita,
quieti fantasmi ch’entrano nel buio
sull’assiette smarrita, fuochi fatui…
segmenti, amenità, quanto t’invita
a ricordare ancora quanto scordi
ora in punta di dita, ora sull’unghia
che morde su una liscia superficie
dove altro non traspare che il miraggio
del suo avverso ritorno su se stessa,
l’antico riformarsi dei precordi.
La mensa, che misura, quale fame
vicina sorridendo alla paura?
Non so se più ti elimino, mio Dio,
o ti stringo più forte alla mia vita,
io che mi attardo in questa smisurata
partita dove io non sono io
ma dove l’altro mira le mie carte
dietro le spalle e ammicca e più m’invita,
baro non so se per me stesso oppure
per il losco avversario che m’irrita.
Né più so se mi è avverso quanto è dietro
di me da sempre o quanto della vita
mi si porge festevole davanti,
controparte non so ormai più di quale
specchio infranto, non so di quale pianto.
Piero Bigongiari
15-27 giugno 1983
da “Col dito in terra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1986