
Foto di Michael Kenna
a L. M.
Vanno a pelo dell’acqua, misteriose
effimere pattinatrici, le idrometre
sfiorandone il lucido miraggio.
Quando, o dove, ti ho visto, specchio, infrangerti
di rimando a un raggio di sole? Dove
o quando piegano il capo le viole
che tutto in sé bevono, e s’inebriano,
fino a un profumo quasi luttuoso,
quel sole fino al suo più ombroso siero?
È già un profumo tra pensiero e oblio.
Tutto a metà, anche la tua bellezza,
terra, se tutto porta nel suo compiersi
a infrangersi, il principio nella fine.
Tutto resta tra i propri estremi incline
a una forza che erra dubitosa:
anche l’audacia della rosa, infine
corrosa dalla sua spinosa ebbrezza.
Terra di poca brezza, e di molto
e forse troppo doloroso amore,
se qualcosa si spezza, altro si leva
in te. Le quaglie che hanno pigolato
a lungo tra i tuoi steli si sollevano
pesanti verso i veli cinerini
dell’orizzonte. Quanto ha atteso è fonte
del suo passato? Era quanto sarà?
Non è stata, nel serico sarong,
la tua muta dolcezza a trattenermi,
troppo oltre la stagione di quei voli,
qui presso il fuoco ad alimentare
la lontananza d’ogni tua presenza?
Ora cieca tu giri nella stanza
della mia mente: non potrai vedermi,
né additarmi la porta e forse chiuderla
col tuo passo opimo di orientale.
Ti sostengo, non so dove portarti,
dove lasciarti. Quasi fosse il male
a contenere il proprio bene. È certo
che qualcosa congiunge disgiungendo.
Ma l’amore è tremendo ora sul fremito
che tu non puoi vedere
delle tue labbra, se le tue parole,
non sapendo dove io sono, mi parlano,
mi parlano, e parlano di me.
Piero Bigongiari
25-27 marzo ’90
da “La legge e la leggenda” (1986-1991), “Saggi e testi” Mondadori, 1992