Schiava – Oscar Vadislas de Lubicz Milosz

Foto di Katia Chausheva

A una vecchia amante

Dio di pietra caduto in un fiume di mota
Come un roseto vedo sanguinare i vecchi rimorsi
Io che ho mischiato il pianto al Riso delle tue gote
Inchiodando la nobile vita al marmo del tuo corpo.

I rovi delle tue braccia lacerano il volto
Di un vile agonizzante che ama la sua croce,
E l’inno tremulo delle eterne vedovanze
Schiude i fiori del tuo riso nei tuoi freddi occhi.

Ma quando sfioro il cinico oro delle carni piatte
Dove piangono i tuoi veleni imbellettati, o triste sorella,
M’inebria un’ardente musica di aromi.

E l’onice dei miei occhi grevi di ombra e di languore
Vede scintillare nella melma del tuo cuore
Le rose dalle labbra scarlatte dell’Ideale.

Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz

(Traduzione di Massimo Rizzante)

da “O.V. de L. Milosz, Sinfonia di Novembre e altre poesie”, Adelphi, Milano, 2008

∗∗∗

Esclave

A une vieille Maîtresse

Dieu de pierre tombé dans un fleuve de boue
Je vois comme un rosier saigner le vieux remords
Car j’ai mêlé des pleurs aux Rires de tes joues
Rivant la noble vie au marbre de ton corps.

Les ronces de tes bras déchirent le visage
D’un vil agonisant amoureux de sa croix,
Et l’hymne chevrotant des éternels veuvages
Fait éclore les fleurs du rire en tes yeux froids.

Mais quand j’effleure l’or cynique des chairs plates
Où pleurent tes venins fardés, ô triste sœur,
M’enivre une musique ardente d’aromates.

Et l’onyx de mes yeux lourds d’ombre et de langueur
Voit scintiller parmi la fange de ton cœur
Des roses d’idéal aux lèvres écarlates.

Oscar Vadislas de Lubicz Milosz

da “O.V. de L. Milosz, Œuvres complètes”, Vol. I, II, XII, Paris, Éditions André Silvaire, 1958

Donna – Carmen Yáñez

Herman Richir, A naked woman, Portrait of Marie – Madeleine

 

Quanto hai dato, donna:
secoli di luce
che non hanno riflesso le coscienze
ingoiate da abissi di silenzio.

E quanto altro:
radici per tener salda la terra
velluto dell’amore
una spiga per raggiungere il cielo
fertili semenze del coraggio
per un mondo abitato dalla guerra.

E quanto altro.

Dai tuoi occhi
albe e nebbie,
revisione del giudizio
in attesa dei fiori.
Minuta di piccole cose
recuperate dall’infanzia
nella scrittura dei sogni.

E quanto altro.

Foglie che coprono il pudore dell’universo
laghi generosi di acque vergini
spessore del segreto
delle profonde radici del tuo tempo.

Quanto autunno
a inondare la terra
e un colore crepuscolare
nella corteccia.

Carmen Yáñez

(Traduzione di Roberta Bovaia)

da “Paesaggio di luna fredda”, Guanda Editore, 1998

***

Mujer

Cuánto diste, mujer:
siglos de luces
que no reflejaron las conciencias
tragadas por abismos de silencio.

Cuánto más:
raíces para contener la tierra,
terciopelo del amor,
una espiga hasta alcanzar el cielo,
fértiles semillas del coraje
para un mundo habitado por la guerra.

Cuánto más.

Desde tus ojos
alboradas y nieblas,
revisión del juicio
a la esperanza de las flores.
Diminuta de pequeñas cosas
rescatadas de la infancia
en la escritura de los sueños.

Cuánto más.

Hojas que cubren el pudor del universo,
lagos generosos de aguas vírgenes,
espesura del secreto
de las profundas raíces de tu tiempo.

Cuánto otoño
inundando la tierra
y un color crepuscular
en la corteza.

Carmen Yáñez

da ­“Paisaje de luna fría”, Editorial Cuarto Propio, 1999

La spada nella roccia – Louise Glück

Galgano Guidotti, La spada nella roccia

 

 

Il mio analista alzò brevemente lo sguardo.
Naturalmente non potevo vederlo
ma avevo imparato, nei nostri anni insieme,
a intuire questi movimenti. Come al solito,
si è rifiutato di ammettere
se avessi ragione o meno. La mia ingegnosità contro
la sua evasività: il nostro giochino.

In quei momenti, ho sentito l’analisi
affiorare: sembrava far emergere in me
un’astuta vivacità ero
incline a reprimerla. L’indifferenza
del mio analista per le mie esibizioni
era adesso immensamente rilassante. Un’intimità

era cresciuta tra noi
come una foresta intorno a un castello.

Le persiane erano chiuse. Vacillanti
barre di luce avanzavano sulla moquette.
Attraverso una piccola striscia sul davanzale della finestra,
ho visto il mondo esterno.

Per tutto questo tempo ho avuto la vertiginosa sensazione
di fluttuare sopra la mia vita. Quella vita
scorreva lontana. Ma stava
ancora scorrendo: questa era la domanda.

Fine estate: la luce stava svanendo.
Scintille sfuggite guizzarono sulle piante in vaso.

L’analisi era al suo settimo anno.
Avevo ricominciato a disegnare –
piccoli schizzi modesti, casuali
costruzioni in tre dimensioni
modellati su oggetti funzionali —

Eppure, l’analisi richiese
gran parte del mio tempo. A cosa
questo tempo fu sottratto: questa
era anche la domanda.

Mi sdraio, guardando la finestra,
lunghi intervalli di silenzio si alternano
a riflessioni un po’ svogliate
e domande retoriche –

Il mio analista, ho sentito, mi stava guardando.
Così una madre, nella mia immaginazione, fissa il suo bambino addormentato,
il perdono che precede la comprensione.

O, più probabilmente, così mio fratello deve avermi guardato –
forse il silenzio tra noi prefigurava
questo silenzio, in cui tutto ciò che rimaneva non detto
era in qualche modo condiviso. Sembrava un mistero.

Poi l’ora finì.

Scesi come ero salita;
il portiere aprì la porta.

Il clima mite della giornata persisteva.
Sopra i negozi erano state spiegate le tende a strisce
a proteggere la frutta.

Ristoranti, negozi, chioschi
con gli ultimi giornali e sigarette.
Gli interni diventavano più luminosi
mentre l’esterno diventava più scuro.

Forse i farmaci stavano funzionando?
Ad un tratto si sono accesi i lampioni.

Ho sentito, improvvisamente, la sensazione che telecamere iniziassero a riprendere;
ero consapevole del movimento intorno a me, i miei simili
guidati da un insensato feticcio per l’azione —

Quanto profondamente ho resistito a questo!
Mi sembrava superficiale e falso, o forse
parziale e falso —
Invece la verità … beh, la verità come la vedevo io
si esprimeva come immobilità.

Ho camminato un po’, fissando le vetrine delle gallerie …
i miei amici erano diventati famosi.

Potevo sentire il fiume in sottofondo,
da cui proveniva l’odore dell’oblio
intrecciato con le erbe aromatiche in vaso dei ristoranti—

Avevo deciso di unirmi a una vecchia conoscenza per cena.
Eccolo al nostro solito tavolo;
il vino fu versato; era impegnato con il cameriere,
discutendo dell’agnello.

Come al solito, durante la cena è nata una piccola discussione, apparentemente
riguardante l’estetica. C’era libertà di espressione.

Fuori, il ponte luccicava.
Le auto correvano avanti e indietro, il fiume
brillò dietro, imitando il ponte. Natura
che riflette l’arte: qualcosa di simile.
Il mio amico ha trovato l’immagine potente.

Era uno scrittore. I suoi numerosi romanzi, all’epoca,
sono stati molto lodati. Uno era molto simile a un altro.
Eppure il suo compiacimento mascherava la sofferenza
come forse la mia sofferenza mascherava la compiacenza.
Ci conoscevamo da molti anni.

Ancora una volta lo avevo accusato di pigrizia.
Ancora una volta, ha respinto la parola …

Sollevò il bicchiere e lo capovolse.
Questa è la tua purezza, ha detto,
questo è il tuo perfezionismo
Il bicchiere era vuoto; non ha lasciato segni sulla tovaglia.

Il vino mi era andato alla testa.
Tornai a casa lentamente, meditabonda, un po’ ubriaca.
Il vino mi era andato alla testa, o no
la notte stessa, la dolcezza di fine estate?

Sono i critici, ha detto,
i critici hanno le idee. Noi artisti
(includeva me): noi artisti
siamo solo bambini con i nostri giochi.

Louise Glück

(TRADUZIONE DI MARCELLO COMITINI)
ALTRE POESIE DI LOUISE GLÜCK TRADOTTE DA MARCELLO COMITINI

∗∗∗

The sword in the stone

My analyst looked up briefly.
Naturally I couldn’t see him
but I had learned, in our years together,
to intuit these movements. As usual,
he refused to acknowledge
whether or not I was right. My ingenuity versus
his evasiveness: our little game.

At such moments, I felt the analysis
was flourishing: it seemed to bring out in
a sly vivaciousness I was
inclined to repress. My analyst’s
indifference to my performances
was now immensely soothing. An intimacy

had grown up between us
like a forest around a castle.

The blinds were closed. Vacillating
bars of light advanced across the carpeting.
Through a small strip above the windowsill,
I saw the outside world.

All this time I had the giddy sensation
of floating above my life. Far away
that life occurred. But was it
still occurring: that was the question.

Late summer: the light was fading.
Escaped shreds flickered over the potted plants.

The analysis was in its seventh year.
I had begun to draw again—
modest little sketches, occasional
three-dimensional constructs
modeled on functional objects—

And yet, the analysis required
much of my time. From what
was this time deducted: that
was also the question.

I lay, watching the window,
long intervals of silence alternating
with somewhat listless ruminations
and rhetorical questions—

My analyst, I felt, was watching me.
So, in my imagination, a mother stares at her sleeping child,
forgiveness preceding understanding.

Or, more likely, so my brother must have gazed at me—
perhaps the silence between us prefigured
this silence, in which everything that remained unspoken
was somehow shared. It seemed a mystery.

Then the hour was over.

Louise Glück

da “Faithful and Virtuous Night”, Farrar, Straus and Giroux, 2014

Alla deriva – Vincenzo Cardarelli

Gianni Berengo Gardin, Catania, 2001

 

La vita io l’ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all’alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.

Vincenzo Cardarelli

da “Poesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1960

«La sua mano è nella mia» – Adonis

Raphael Soyer, Consolation, 1959

                                 

                                         8

La sua mano è nella mia
entrambi siamo stranieri
ed entrambi saremo morti domani
in un letto lontano.

Avvolgeteci con i nostri fantasmi
o leggende dei nostri giorni,
fatti straniero e avvicìnati
o oceano che barcolli su una scala di schiuma,
o corpo.

Adonis

(Traduzione di Fawzi Al Delmi)

da “Cento poesie d’amore”, Guanda, Parma, 2003