«Di pomeriggio uno scroscio di pioggia» – Jaroslav Seifert

Foto di Josephine Cardin

 

Di pomeriggio uno scroscio di pioggia
fece profumare anche l’erba pesta
e la sera, piena di primaverile malinconia,
lenta s’univa alla notte.

L’organetto tagliuzzava da tempo
una nuova canzone
quando tra le ali del cigno
entrò la ragazza dal bracciale d’argento.

Notai il suo polso
perché abbracciò il collo del cigno
e i suoi occhi
schivavano il mio sguardo avido.

Finalmente mi lanciò un’occhiata
ed ebbe un piccolo sorriso
per farmi poi un cenno con la mano
e infine mandarmi un bacio.
Fu tutto lì.

Aspettai che apparisse di nuovo
per saltar su da lei durante la corsa,
ma le ali restarono vuote.

Talvolta gli amori sembrano un fiore
di papavero selvatico,
non riesci a portarteli a casa.

Quella volta però le due lampade
sibilavano come serpe contro serpe,
due serpenti l’uno verso l’altro,
e io invano corsi
dietro le sue gambe

nel vasto buio.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Alena Wildová Tosi)

da “La colonna della peste”, in “Jaroslav Seifert, Le opere”, UTET, 1987

Domandate che sanno fare ancora le donne? – Jaroslav Seifert

Foto di Jeanloup Sieff

 

Domandate che sanno fare ancora le donne?
Ma tutto!

Se qualcuno distende sopra un abisso
tre fili di paglia,
vi passano sopra con piede leggero.
Come, non so spiegare,
ma ricordate
che i loro piedi hanno inventato la danza.

Nei momenti liberi
lavorano a croce per il bosco nero
le foglie di felce.
Se però càpitano nel bosco di notte,
spengono con coraggio le fiammelle fatue,
affinché neppure negli acquitrini il viandante
abbia timore.
Hanno anche consigliato ai timidi fiori
di riempirsi i calici
del familiare profumo.
Loro stesse sanno però come di spada
             far uso di profumi
pericolosi ancor piú
che gli scorpioni velenosi dei tropici.

Quel che è davvero straordinario:
hanno inventato i seni,
ed essi sono belli
come i castelli sulla Loira.
Forse piú belli ancora.

E che sanno fare gli uomini?
Non è molto.
Si sono inventati la guerra,
la miseria, la disperazione e il gèmito dei feriti.
Sanno forgiare folli cannoni,
ridurre città in macerie,
e intanto mettono bene in mostra
il povero coraggio virile.

Hanno inventato le pompe di benzina
e l’emancipazione delle donne.

E in cambio di baci fra le loro braccia
hanno progettato per loro sedili speciali
perché possano stare ancora
alle macchine
nell’ultimo mese di gestazione.

Cosí è.
Ed è tutto, arrivederci, adieu.
Volevate una cantilena da me
e ora c’è!

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Sergio Corduas)

da “La colata delle campane” (1967), in “Jaroslav Seifert, Vestita di luce”, Einaudi, Torino, 1986

∗∗∗

Ptáte se, co dovedou ještě ženy?

Ptáte se, co dovedou ještě ženy?
Patrně všechno.

Jestliže někdo položí přes propast
tři stébla slámy,
přejdou po nich lehkou nohou.
Jak, to neumím vysvětlit,
ale připomeňte si,
že jejich nohy vynalezly tanec.

Ve volných chvílích
uháčkují pro černý les
listí kapradin.
Octnou-li se však v lese za noci,
odvážně zhasnou plamínky bludiček,
aby pocestný ani v mokřinách
neměl strach.
Poradily i stydlivým květinám,
aby své kalichy naplnily
duvěrnou vůní.
Samy však dovedou jako s mečem
              zacházet s vůněmi,
které jsou ještě nebezpečnější
než jedovatí škorpióni tropů.

Co je však nejpodivuhodnější:
vymyslily ženská ňadra
a ta jsou krásná
jako zámky na Loiře.
Možná, že ještě krásnější.

A co dovedou muži?
Není toho mnoho.
Vymyslili si válku,
bídu, zoufalství a nářek raněných.
Umějí vykovat šílená děla,
obrátit města v sutiny
a přitom vystavovat na odiv
ubohou mužskou statečnost.

Vymyslili benzínové pumpy
a emancipaci žen.

A za polibky v jejich náručí
zkonstruovali jim zvláštní sedačku,
aby žena u stroje
mohla ještě pracovat
v posledním měsíci těhotenství.

Tak je to.
A to je vše, sbohem, adié.
Chtěli jste na mně kantilénu,
tady je!

Jaroslav Seifert

da “Odlʹevʹanʹi zvonů”, Ceskoslovensky spisovatel, 1967

Viaggio a Venezia – Jaroslav Seifert

Foto di Michael Kenna

 

Si può dire forse cosí:
l’amore va e va e va
               e non v’è angolo
dove non sia a casa sua.
E i baci si allungano veloci
come a primavera le giornate.

E per questo ci siamo una volta destati
solo nell’amoroso silenzio di un quadro
dove c’erano soltanto due colonne rosa
e un pezzetto di mare.

I palazzi stavano infilzati nel mare
come pèttini antichi
              con perle e bruscoli d’oro,
ma nelle lagune era sporco e limo.

E il gondoliere
              con riso cattivo
pescò col remo davanti a noi
ciò che lí al mattino gettano dalla finestra
i dormienti d’amor prudente
perché non hanno stufe.

E tu subito strappasti le dita
dalla mia mano!
              Ridammi la mano!
Sarebbe triste, nella bella città
dalla quale è cosí duro partire.
              E repentina
dalla piazza risonò la lusinga
di una musica dolce.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Sergio Corduas)

da “La cometa di Halley” (1967), in “Jaroslav Seifert, Vestita di luce”, Einaudi, Torino, 1986

∗∗∗

Cesta do Benátek

Snad je to možno tak říci:
láska jde a jde a jde
              a není kout,
kde nebyla by doma.
A polibky se rychle prodlužují
jak na jaře dny.

A proto jsme se jednou probudili
až v milostném tichu obrazu,
kde byly jen dva růžové sloupy
a kousek moře.

Paláce byly vetknuty do moře
jako staré hřebeny
              s perlami a zbytky zlata,
ale v lagunách byly špína a kal.
A gondoliér
s ošklivým smíchem
vylovil před námi veslem,
co tam házejí patrně z okna k ránu
spáči opatrné lásky,
protože tam nemají kamna.

A tys hned prudce vytrhla své prsty
z mojí dlaně!
              Dej mi zas ruku!
Bylo by smutno v krásném městě,
odkud se tak těžko odchází.
              A vzápětí
z náměstí před námi zazněla lichotně
sladká hudba.

Jaroslav Seifert

da “Halleyova kometa”, Albatros, Praha, 1969 

«Scruto la tua fronte» – Jaroslav Seifert

Mimmo Jodice, Elena, 1966

 

Scruto la tua fronte
come un pilota il pannello degli strumenti
quando vola nella tempesta.
Ti ho incontrata così tardi
e così all’improvviso.

Lo so, stavi nascosta
nel profondo nevaio dei tuoi capelli.
Risplendevano anche al buio,
ma ti ho cercato invano.
Sulle unghie mi è rimasta
solo la polvere d’oro.

Poi mi sei sfuggita per lo steccato delle ciglia
dentro il tuo riso.
E giugno, vestito a festa,
lanciava gelsomino nelle finestre.

Infine sei scomparsa per sempre
nella neve del tuo silenzio.
Come potevo anche solo scorgerti
in quella lontananza?
Faceva freddo, era l’imbrunire.

Puoi strappare i miei versi,
strappati gettarli al vento.
Puoi sgualcire le mie lettere,
sgualcite bruciarle nel fuoco.

Ma cosa farai con la mia testa,
fusa nel brumoso metallo,
che ti ha sempre guardata
mentre t’apprestavi al sonno,
e all’alba ti pettinavi?
Quel busto lo devi almeno
portare alla pattumiera.

Così una volta ancora, l’ultima,
terrai la mia testa
fra le tue mani.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Alena Wildová Tosi)

 da “La colonna della peste”, in “Jaroslav Seifert, Le opere”, UTET, 1987

Rondò di primavera IX. – Jaroslav Seifert

Johanna Harmon, Ethereal, 1968

 

Tu devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi
quando stasera dovrai ricucire
ciò che le mie mani ti hanno strappato.

Quelle mani che finora io sentivo
essere vuote senza i tuoi seni.
Tu devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi.

Quando poi starai per addormentarti,
il tuo sonno sia come quello di un re
che ha riconquistato il proprio castello

svettante sulla cima di una rupe.
Tu devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi.

Jaroslav Seifert

(Traduzione di Sergio Corduas)

da “Nove rondò” (1945), in “Jaroslav Seifert, Vestita di luce”, Einaudi, Torino, 1986

***

Jarní rondo

IX.

Jen věř mi, byl bych k smrti rád,
by se tvé oči usmívaly,
až budeš večer přišívat,
co ti mé ruce potrhaly.

Ty ruce, jež mi posavad
se bez tvých ňader prázdné zdály.
Jen věř mi, byl bych k smrti rád,
by se tvé oči usmívaly.

Až budeš potom usínat,
ať spí se ti, jak spí se králi,
jenž vyhrál bitvu o svůj hrad,

strmící na vrcholu skály.
Jen věř mi, byl bych k smrti rád,
by se tvé oči usmívaly.

Jaroslav Seifert

da “Devět rondó”, 1945, in “Jaro sbohen”, Fr. Borový, 1946