Fuori dai denti – Philip Schultz

 

Odio sentirmi chiedere
di inchinarmi davanti
a qualcosa nel cui nome
milioni di persone sono state sacrificate.
Non voglio avere niente a che fare
con l’anima. Odio
i suoi orli frastagliati
e le sue tasche senza fondo,
il suo sguardo privo di malizia, cieco.
Odio l’idea del paradiso,
dove le anime di Socrate
e di Machiavelli si trovano
a vivere fianco a fianco. Se
devo credere in qualcosa,
credo nella disperazione. Nei suoi
denti decrepiti, il fiato rancido
e la memoria lunga. Lascio
a lei in eredità il capolavoro
della mia coscienza, la regola
più inutile che esista.
Alla verità vadano gli avanzi
della mia dignità. Potrà fare
ciò che vuole dei miei desideri
folli e delle mie illusioni
impotenti. Preferisco
vedermi come un’anomalia
legata senza volerlo a
una coscienza ormai
obsoleta e provvisoria
che deve a ogni passo salvarsi
da se stessa,
come una specie di istinto speciale
per la felicità che
mi ha sostenuto per un breve
ma promettente momento.

Philip Schultz

(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)

da “Fallimento, 2007”, in “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2018

∗∗∗

Blunt

I hate the idea of being asked
to bow down before
something in whose name
millions have been sacrificed.
I want nothing to do
with a soul. I hate
its crenulated edges
and bottomless pockets,
its guileless, eyeless stare.
I hate the idea of paradise,
where the souls of Socrates
and Machiavelli are made
to live side by side. If
I have to believe in something,
I believe in despair. In its
antique teeth and sour breath
and long memory. To it
I bequeath the masterpiece
of my conscience, the most
useless government of all.
The truth gets the table scraps
of my dignity. It can do
what it likes with the madman
of my desire and the conjurer
of my impotence. I prefer
to see myself as an anomaly
involuntarily joined to
an already obsolete
and transitory consciousness
that must constantly save
itself from itself,
as a peculiar instinct
for happiness that
sustained me for a brief
but interesting time.

Philip Schultz

da “Failure”, Harcourt Books, 2007

Fallimento – Philip Schultz

Foto di William Gedney

 

Per pagare il funerale di mio padre
mi feci prestare soldi da persone
cui lui già doveva soldi.
Uno lo definì una nullità.
No, dissi io, lui era un fallito.
Nessuno ricorda
il nome di una nullità, perciò
sono chiamati nullità.
I falliti non li dimentichi.
Il rabbino che lesse l’elogio di rito
di un uomo che non apparteneva
e non credeva a niente
era lui un fallito e una nullità.
Non riuscì a capire che ogni
sua parola umiliava il figlio
e la moglie del morto.
A capire che non
credere e non appartenere a
niente richiedeva una sorta
di fede e di spavalderia.
Uno zio, che contava sulle dita
gli affari falliti di mio padre –
un parcheggio dove allevava oche,
un motel con lune di miele in palio,
un bowling con mariachi itineranti –
non riuscì ad amare e rispettare suo fratello,
che gli aveva insegnato a fischiare
di nascosto, a rubare mele
con la destra e la sinistra. In realtà,
mio padre era un tipo buffo.
L’orologio gli pizzicava il polso, inciampava
nel risvolto dei calzoni e russava
forte al cinema, dove
la stanchezza alla fine
lo vinceva. Non credeva a:
risparmi assicurazioni giornali
verdure bene e male fragilità
umana storia né Dio.
I parenti ci evitavano
come la peste. Lasciai la città
ma non riuscii a scappare.

Philip Schultz

(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)

da “Fallimento, 2007”, in “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2018

∗∗∗

Failure

To pay for my father’s funeral
I borrowed money from people
he already owed money to.
One called him a nobody.
No, I said, he was a failure.
You can’t remember
a nobody’s name, that’s why
they’re called nobodies.
Failures are unforgettable.
The rabbi who read a stock eulogy
about a man who didn’t belong to
or believe in anything
was both a failure and a nobody.
He failed to imagine the son
and wife of the dead man
being shamed by each word.
To understand that not
believing in or belonging to
anything demanded a kind
of faith and buoyancy.
An uncle, counting on his fingers
my father’s business failures –
a parking lot that raised geese,
a motel that raffled honeymoons,
a bowling alley with roving mariachis –
failed to love and honor his brother,
who showed him how to whistle
under covers, steal apples
with his right or left hand. Indeed,
my father was comical.
His watches pinched, he tripped
on his pant cuffs and snored
loudly in movies, where
his weariness overcame him
finally. He didn’t believe in:
savings insurance newspapers
vegetables good or evil human
frailty history or God.
Our family avoided us,
fearing boils. I left town
but failed to get away.

Philip Schultz

da “Failure”, Harcourt Books, 2007

Come ali – Philip Schultz

Andrew Wyeth

per Marie

Ieri notte ho sognato che ero il primo uomo ad amare una donna
& mi sono svegliato tremante & sono uscito a guardare
lo straccio stinto del cielo incendiarsi nell’alba.
Sono stanco del fiume prima ancora di sentirlo,
la gioia dobbiamo ritagliarla dall’ombra,
stanco della mia lingua intorpidita dal viaggio.

Non posso offrirti il mio respiro né avvolgerti l’orizzonte
intorno al polso & farmi perdonare.
Non posso sfregare il legno secco delle mie costole per fare il fuoco
& dormire. Il bordo del sonno non è sonno.
Vago di stanza in stanza annodando sensazioni.
Lo spazio che riempivamo ora riempie me.
Luce & buio non si mescolano.

Non posso rimanere come una casa gelata sullo sfondo.
Io sono questo corpo & questo tempo in tutte le stagioni.
Penso alla luce che ti inondò il nostro primo mattino,
come il vetro nei miei polmoni divenne suono
& io ti vidi donna & bambina & non riuscivo a respirare per amore.
La paura è il limite di quel rischio che è l’amore.
Puzza di sangue, attira gli squali.

Le notti che ballavi il valzer nuda intorno al letto,
io abbracciato alla sedia che avevo ridipinto di azzurro,
i gatti che correvano tra le ali dei tuoi bei capelli biondi.

C’è molto che gli uomini non sanno delle donne,
come le tue mani trasformano l’aria in acqua, il seme in vita,
perché il sale sulla punta dei tuoi seni splende
& sa di mollusco.

Ci sono ore in cui il futuro perde ogni speranza
& si ferma in mezzo a strade affollate
& non se ne cura. Ma pensa a quanta strada abbiamo fatto,
le mani che ci hanno stretto.
Ce ne saranno altre.

Ho letto che nell’antichità
si puntavano rasoi alla gola del medico
mentre operava – come se l’amore si potesse bilanciare,
come ali.

Una notte ho seguito le tue orme nella neve alta
& mi sono fermato in una vecchia scuola a guardare il nuovo sole
farsi rosso & mandare bagliori sui campi distesi,
il mondo bianco & piatto & una luce
che conoscevo da sempre mi bruciava in testa come un pugno di stracci,

come se non ricordassi più cosa temevamo
di aver preso o lasciato,
le mie braccia spalancate sulla tua figura, come se non potessi tirarmi
fuori dal mio corpo, la bocca gelata
intorno al suono del tuo nome.

Philip Schultz

(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)

da “Come ali, 1978”, in “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2018

∗∗∗

Like Wings

For Marie

Last night I dreamed I was the first man to love a woman
& woke shaking & went outside to watch
the faded rag of the sky burn into dawn.
I am tired of the river before feeling,
the joy we must carve from shadow,
tired of my road-thick tongue.

I cannot hand you my breath or wrap the horizon
round your wrist & be forgiven.
I cannot rub the dry wood of my ribs to fire
& sleep. The edge of sleep isn’t sleep.
I go room to room tying my feelings into knots.
The space we filled now fills me.
The light & dark won’t mix.

I cannot leave myself like a house frozen in the background.
I am this body & the weather all year round.
I think of the light that opened over you our first morning,
how the glass in my lungs turned to sound
& I saw you woman & child & couldn’t breathe, for love.
Fear is the edge that is the risk that is loving.
It stinks of blood, draws sharks.

The nights you waltzed naked round our bed,
myself holding the chair I’d painted blue again,
the cats flowing in the wings of your good yellow hair.

There is much men don’t know about women,
how your hands work the air to water, the seed to life,
why the salt at the tips of your breasts glows
& tastes of mollusk.

There are hours when the future gives up all hope
& stops in the middle of busy streets
& doesn’t care. But think of the distance we have come,
the hands which have wound us.
There will be others.

I have read of ancient people
who held razors to their doctor’s throat
as he operated – as if love could have such balance,
like wings.

One night I followed your tracks through deep snow
& stood in an old schoolhouse watching the new sun
come red & shimmer over the opening fields,
the world white & flat & a light

I’d known all my life burned in my head like a fist of rags,
how I couldn’t remember what we feared
we’d taken or left,
my arms opened to your shape, how I couldn’t lift
out of my body, my mouth frozen
round the sound of your name.

Philip Schultz

da “Like Wings”, Viking Press, 1978 

Tristezza – Philip Schultz

Foto di Arianna Marchesani

 

All’improvviso
e senza capirne la ragione
tutto mi appare postumo,
impassibile e inevitabile,
ho gli occhi cerchiati dall’unto di chiacchiere e complicità,
le mani ansiose di trattenere ogni piacevole infatuazione
che potrebbe altrimenti scappar via.
All’improvviso
è sera e le luci lungo
la strada appaiono promettenti,
perfino generose,
gonfie come sono di antichi rancori
e progetti inaciditi. Il cielo,
tuttavia,
appare ostile,
e distante, ansioso di consegnare la sua apatia alla mia sofferenza.
A proposito di sofferenza,
le case – le nostre sobrie case refrattarie – traboccano
di sogni diventati opachi con l’età,
per l’accumularsi di verità
non traducibili in un credo fiducioso.
Nel frattempo,
la mia solitudine,
su cui si basano tante leggi mie personali,
continua a consumare ogni cosa.
All’improvviso,
nonostante quel che dicono gli dei,
il presente resta inabitabile,
il passato non perdona il male che ha visto,
mentre
il futuro rimane diafano
e inequivocabile
nel suo desiderio di sfuggirmi.

Philip Schultz

(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)

da “Lusso, 1918”, in “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2018

∗∗∗

Sadness

Suddenly
for no reason I can point to
everything feels afterwards,
stoic and inevitable,
my eyes ringed with the grease of rumor and complicity,
my hands eager to hold any agreeable infatuation
that might otherwise slip away.
Suddenly
it’s evening and the lights up and
down the street appear hopeful,
even magnanimous,
swollen as they are with ancient grievances
and souring schemes. The sky,
however,
appears unwelcoming,
and aloof, eager to surrender its indifference to my suffering.
Speaking of suffering,
the houses – our sober, recalcitrant houses – are swollen
with dreams that have grown opaque with age,
hoarding as they do truths
untranslatable into auspicious beliefs.
Meanwhile,
my loneliness,
upon which so many personal laws are based,
continues to consume everything.
Suddenly,
regardless of what the gods say,
the present remains uninhabitable,
the past unforgiving of the harm it’s seen,
while
the future remains translucent
and unambiguous
in its desire to elude me.

Philip Schultz

da “Luxury: Poems”, W. W. Norton & Company, 2018

Lo scorso settembre… – Philip Schultz

Foto di William Gedney

QUATTRO
11.

Lo scorso settembre
il dott. O. mi chiese se
non sarebbe meglio essere
un po’ meno fissato
a contemplare l’esodo
di formiche idiote che attraversano
lente il voluttuoso
deserto della
mia coscienza…
a non essere invitato
così spesso allo spettacolo
di Dio da sempre in scena,
Erranti senza ali.
Non so come andare avanti,
dissi, non l’ho mai saputo
perché
fa molto male.
Sì, rispose, lo so,
sì, è così.

Philip Schultz

(Traduzione di Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli e Paola Splendore)

da “Erranti senza ali”, a cura di Paola Splendore, Donzelli Poesia, 2016

∗∗∗

FOUR
11.

Last September
Dr. O. asked if I
wouldn’t prefer to be
a tad less obsessed
with watching an exodus
of imbecile ants inch
across the voluptuous
wilderness of
my consciousness…
with not being called
quite so often to God’s
longest-running spectacle,
The Wandering Wingless?
I don’t know how to proceed,
I said, I never knew
because
it hurts so bad.
Yes, it does, he said,
Yes, indeed.

Philip Schultz

da “The Wandering Wingless”, in “Failure”, Harcourt Books, 2007