L’angelo buono – Rafael Alberti

Giovanni Segantini, L’Amore alle fonti della vita, 1896, Galleria d’Arte Moderna, Milano

 

Venne quello che amavo,
quello che invocavo.

Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle che son cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.

Non quello che ai suoi capelli
legò la morte.

Ma quello che amavo.

Senza graffiare i venti,
senza ferire foglie o agitare cristalli.

Quello che ai suoi capelli
legò il silenzio.

Per scavarmi nel petto, senza farmi male,
di luce dolce una riva
e render navigabile la mia anima.

Rafael Alberti

(Traduzione di Vittorio Bodini)

da “Degli angeli”, Einaudi, Torino, 1966

***

El ángel bueno

Vino el que yo quería
el que yo llamaba.

No aquel que barre cielos sin defensas.
luceros sin cabañas,
lunas sin patria,
nieves.
Nieves de esas caídas de una mano,
un nombre,
un sueño,
una frente.

No aquel que a sus cabellos
ató la muerte.

El que yo quería.

Sin arañar los aires,
sin herir hojas ni mover cristales.

Aquel que a sus cabellos
ató el silencio.

Para sin lastimarme,
cavar una ribera de luz dulce en mi pecho
y hacerme el alma navegable.

Rafael Alberti

da “Sobre los ángeles”, Ediciones de la Compañía Ibero-Americana de Publicaciones S. A., Madrid, 1929

In salita – Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Insomma l’esistenza non esiste»
(l’altro: «leggi certi poeti,
ti diranno
che inesistendo esiste»).
Scollinava quel buffo dialogo più giù
di un viottolo o due
alla volta del mare.
Fanno di questi discorsi
nell’ora che canicola di brutto
i ragazzi Cioè? – mi dicevo
scarpinando per quelle petraie –.
Proprio non ha senso
se non per certi trapassanti amari
quando si stampano per sempre in loro
interi pezzi di natura
gelandosi nelle pupille.
                                            Ma ero
io il trapassante, ero io,
perplesso non propriamente amaro.

Vittorio Sereni

da “Stella variabile”, Garzanti, 1981

All’inizio delle sere – Nichita Stănescu

 

La quiete ti accompagnava ovunque, come un corteggio.
Se alzavi una mano, si faceva silenzio fra gli alberi.
Quando mi guardavi negli occhi, si pietrificava un istante
della forza fluente del tempo.

Sentivo di potermi addormentare, sognando stelle abitate.
E, solo se mi avesse toccato la tua ombra frusciante,
avrei potuto spingere le notti immobili
come un’elica che avanza, verso il sole.

E soltanto questo sentimento mi dava felicità,
soltanto il pensiero che sono e che sei.
Appoggiavo teloni sul cri-cri dei grilli,
sotto cui bevevo l’azzurro decantato in tazze.

E quando finivamo le parole, ne inventavamo altre.
E quando il cielo si faceva scuro, inventavamo cieli azzurri,
e quando le ore diventavano verdi come smeraldi,
ci abbronzavamo alla luce del nostro amore.

… Ma tutto il tempo suonava qualcosa… qualcosa risuonava,
un canto di erba falciata, di taciturni mari,
in cui il cuore di allora riversava
i meandri dei suoi perduti candori.

Nichita Stănescu

(Traduzione di Fulvio Del Fabbro e Alessia Tondini)

da “Una visione dei sentimenti”, 1964, in “La guerra delle parole”, Le Lettere, Firenze, 1999

***

La-nceputul serilor 

Liniştea te-nsoţea pretutindeni, ca o suită.
Dacă ridicai o mână, se făcea în arbori tăcere.
Când mă priveai în ochi, împietrea o clipită
din a timpului curgătoare putere.

Simţeam că pot adormi, visând stele locuite.
Şi, numai dacă m-ar fi atins umbra ta foşnitoare,
aş fi putut împinge nopţile-ncremenite
ca pe-o elice-naintând, spre soare.

Şi numai sentimentul acesta îmi da fericire,
numai gândul ca sunt şi că eşti.
Sprijineam pe ţârâitul greerilor coviltire,
sub care beam azurul decantat în ceşti.

Şi când sfârşeam cuvintele, inventam altele.
Şi când se-nsera cerul, inventam ceruri albastre,
şi când orele se-verzeau ca smaraldele,
ne bronzam la lumina dragostei noastre.

…Dar tot timpul suna ceva…ceva răsuna,
un cântec de iarba cosită, de taciturne mări,
în care inima de-atunci îşi revărsa
meandrele pierdutelor candori.

Nichita Stănescu

da “O viziune a sentimentelor”, Editura pentru Literatură, 1964

L’allodola e la luna – Vittorio Bodini

Foto di Hervé Guibert

                       

 

 

 

 

 

 

 

L’allodola e la luna sole nel cielo:
lei sorta appena e il passero spaurito
dal pino nero e i silenziosi spari
dei finti cacciatori in mezzo al grano nascente.
Nessuno l’attendeva. Nessuno attende.
Volava di traverso con tutto il cielo in gola.
Sotto di lei crollavano i papaveri,
un’ombra cancellava coi grossi pollici
il dolce vino e il viola del tramonto.

In una stanza in fondo, la memoria,
lasciata ai suoi più torbidi solitari,
di te non s’informava, fine d’un grande giorno:
giorno da meditare
davanti a una finestra, col silenzio alle spalle.

Vittorio Bodini

da “Dopo la luna” (1952-55), in “Vittorio Bodini, Tutte le poesie”, Besa muci, 2021

Tre voci – Adam Zagajewski

Foto di Renate von Mangoldt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La nube del crepuscolo si addensa nella stanza,
cresce l’ombra della sera, quieto desiderio.
Per radio il
Canto della terra di Mahler.
Fuori dalla finestra i merli fischiano sonori e spensierati.
E intanto sento il sommesso sussurro del mio sangue
(come neve che scivola dai monti).
Queste tre voci, tre voci straniere,
si rivolgono a me, ma nulla
vogliono, nulla promettono. In lontananza,
laggiù sul prato, a lungo si schiera, si prepara
il corteo della notte percorso da sordi bisbigli.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

da “ Andare a Leopoli e altre poesie, 1985”, in “Dalla vita degli oggetti”, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012

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Te trzy

W pokoju zbiera się chmura zmierzchu.
Rośnie cień wieczoru, spokojne pożądanie.
Radio nadaje Pieśń o ziemi Mahlera.
Za oknem głośno i beztrosko gwiżdżą kosy.
Jednocześnie słyszę cichy szelest mojej krwi
(jakby śnieg zsuwał się z gór).
Te trzy głosy, trzy cudzoziemskie głosy,
zwracają się do mnie,
ale niczego nie chcą, nic nie obiecują.W głębi,
gdzieś na łące, ustawia się długo, przygotowuje
orszak nocy, pełen głuchych szeptów.

Adam Zagajewski

da “Jechać do Lwowa”, London: Aneks, 1985