Raccoglimento – Valerio Magrelli

Andrew Wyeth, Afternoon flight, 1976

Uno diceva: io sono prevenuto contro me stesso fin dalla nascita
                                                                                     Friedrich Nietzsche

 

Mia debolezza, debolezza mia,
ma che devo fare con te?
Ho cinquant’anni e tremo quando tuona,
e sbaglio ancora posto
come quando sbagliai banco all’asilo.
Ho un corpo trapunto da graffe,
il sonno come un campo di macerie,
la forza che si sbriciola, la memoria in frantumi,
e in questo Grande Sfascio, l’unica cosa intatta resti tu,
mia ferita, mio Graal, codice a barre
di un estraneo che è leso, che è fallato,
costretto a essere me.
Mia debolezza, talpa del nemico,
creaturina indifesa che mi rendi indifeso,
il solo, vero premio della morte
sarà saperti morta insieme a me,
mio motore,
mio orrore,
mia consustanziale sconfitta.

Valerio Magrelli

da “Il sangue amaro”, Einaudi, Torino, 2014

«Esistono parole che costeggiano» – Valerio Magrelli

Matteo Massagrande, Stanze, 2018

 

Esistono parole che costeggiano
il pensiero o lo attraversano
dolcemente oblique come lacrime.
Come ospiti dimenticati si aggirano
segrete per le stanze,
ogni cosa toccando.
Il loro andare sembra l’offerta lenta
di un frutto della terra.

Valerio Magrelli

da “Aequator lentis” in “Ora serrata retinae”, Feltrinelli, 1989

«Ricevo da te questa tazza» – Valerio Magrelli

E la crepa nella tazza apre
un sentiero alla terra dei morti
                                        W. H. Auden
… come quando una crepa
attraversa una tazza
                                  R. M. Rilke

Ricevo da te questa tazza
rossa per bere ai miei giorni
uno ad uno
nelle mattine pallide, le perle
della lunga collana della sete.
E se cadrà rompendosi, distrutto,
io, dalla compassione,
penserò a ripararla,
per proseguire i baci ininterrotti.
E ogni volta che il manico
o l’orlo si incrineranno
tornerò a incollarli
finché il mio amore non avrà compiuto
l’opera dura e lenta del mosaico.

Scende lungo il declivio
candido della tazza
lungo l’interno concavo
e luccicante, simile alla folgore,
la crepa,
nera, fissa,
segno di un temporale
che continua a tuonare
sopra il paesaggio sonoro,
di smalto.

Valerio Magrelli

da “Clecsografie”, in “Valerio Magrelli, Nature e venature”, Mondadori, 1987

«Se io venissi a mancare a me stesso» – Valerio Magrelli

Foto di Boris Smelov

 

Se io venissi a mancare a me stesso,
è questo il mio turbamento.
Temo d’evaporare poco a poco,
di perdermi nelle fessure del giorno
dimenticando cosí il mio pensiero.
A volte mi scopro nel silenzio
delle cose che ho intorno,
oggetto tra gli oggetti,
popolato di oggetti.
Dunque il dolore è metamorfosi
e le cause si susseguono
non viste mostrandosi
per quello che non sono.
Questo anzi è il primo dolore.
Gli occhiali allora andrebbero portati
tra l’occhio ed il cervello,
perché è là, tra boscaglie
e piantagioni di nervi
l’errore dello sguardo.
Qui si smarrisce la vista
e nel suo andare alla mente
si corrompe e tramonta.
Come se traversando
pagasse ad ogni passo
il pedaggio del corpo.

Valerio Magrelli

da “Ora serrata retinae”, Feltrinelli, 1980

«Preferisco venire dal silenzio» – Valerio Magrelli

Foto di Gerard Laurenceau

 

Preferisco venire dal silenzio
per parlare. Preparare la parola
con cura, perché arrivi alla sua sponda
scivolando sommessa come una barca,
mentre la scia del pensiero
ne disegna la curva.
La scrittura è una morte serena:
il mondo diventato luminoso si allarga
e brucia per sempre un suo angolo.

Valerio Magrelli

da “Rima palpebralis”, in “Ora serrata retinae”, Feltrinelli, 1980