L’ultima notte – Paul Éluard

David Turnley, Fearful Palestinian Girl, 1995

I

Questo piccolo mondo assassino
È puntato sull’innocente
Gli toglie il pane di bocca
E dà la sua casa alle fiamme
Gli prende le vesti e le scarpe
Gli prende il tempo e i figli

Questo piccolo mondo assassino
Confonde i morti coi vivi
Assolve il fango grazia i traditori
La parola trasforma in rumore

Grazie mezzanotte dodici fucili
All’innocente rendono la pace
E tocca sempre alle folle
Sotterrare quella sua carne
Sanguinosa e il suo cielo nero
E tocca alle folle comprendere
Quanto debole è chi assassina.

II

Il prodigio sarebbe una spinta leggera
Contro questa muraglia
Sarebbe di potere disperdere questa polvere
Sarebbe essere uniti.

III

Gli avevano scarnite vive le mani piegata la schiena
Gli avevano scavato un foro nel cervello
E per morire aveva dovuto patire
Tutta la vita.

IV

Bellezza creata per chi è felice
Bellezza corri pericolo grande

Queste tue mani in croce alle ginocchia
Sono gli ordigni d’un assassino

Questa tua bocca che canta spiegata
Serve di brocca al mendicante

E questa coppa di latte puro
Diventa il seno d’una puttana.

V

Nel rigagnolo i poveri raccoglievano il pane
Con lo sguardo coprivano la luce
Non c’era piú paura della notte
Tanto deboli quella debolezza
Li faceva sorridere
In fondo al loro buio si portavano i corpi
Si vedevano solo attraverso la miseria
Si scambiavano solo una lingua segreta
E udivo lentamente cautamente parlare
Di un’antica speranza grande come la mano

Udivo calcolare
Le dimensioni multiple della foglia d’autunno
La fusione dell’onda in mezzo al mare calmo
Udivo calcolare
Le dimensioni multiple della forza futura.

VI

Io sono nato dietro una facciata orrida
Ho mangiato ho riso ho sognato ho patito vergogna
Sono vissuto come un’ombra
Eppure il sole ho saputo cantarlo
Il sole intero quello che respira
In ogni petto in ogni occhio
La goccia di candore che brilla dopo il pianto.

VII

Noi buttiamo nel fuoco il sacco delle tenebre
Noi spezziamo i serrami di ruggine dell’ingiustizia
Ecco uomini vengono
Che non hanno piú paura di se stessi
Perché sono sicuri d’ogni uomo
Perché il nemico dal viso d’uomo sparisce.

Paul Éluard

1953

(Traduzione di Franco Fortini)

da “Poésie et vérité”, 1942, in “Paul Éluard, Poesie”, “I Supercoralli” Einaudi, 1955

∗∗∗

La dernière nuit

I

Ce petit monde meurtrier
Est orienté vers l’innocent
Lui ôte le pain de la bouche
Et donne sa maison au feu
Lui prend sa veste et ses souliers
Lui prend son temps et ses enfants

Ce petit monde meurtrier
Confond les morts et les vivants
Blanchit la boue gracie les traîtres
Transforme la parole en bruit

Merci minuit douze fusils
Rendent la paix à l’innocent
Et c’est aux foules d’enterrer
Sa chair sanglante et son ciel noir
Et c’est aux foules de comprendre
La faiblesse des meurtriers.

II

Le prodige serait une légère poussée contre le mur
Ce serait de pouvoir secouer cette poussière
Ce serait d’être unis.

III

Ils avaient mis à vif ses mains courbé son dos
Ils avaient creusé un trou dans sa tête
Et pour mourir il avait dû souffrir
Toute sa vie.

IV

Beauté créée pour les heureux
Beauté tu cours un grand danger

Ces mains croisées sur tes genoux
Sont les outils d’un assassin

Cette bouche chantant très haut
Sert de sébile au mendiant

Et cette coupe de lait pur
Devient le sein d’une putain.

V

Les pauvres ramassaient leur pain dans le ruisseau
Leur regard couvrait la lumière
Et ils n’avaient plus peur la nuit
Très faibles leur faiblesse les faisait sourire
Dans le fond de leur ombre ils emportaient leur corps
Ils ne se voyaient plus qu’à travers leur détresse
Ils ne se servaient plus que d’un langage intime
Et j’entendais parler doucement prudemment
D’un ancien espoir grand comme la main

J’entendais calculer
Les dimensions multipliées de la feuille d’automne
La fonte de la vague au sein de la mer calme
J’entendais calculer
Les dimensions multipliées de la force future.

VI

Je suis né derrière une façade affreuse
J’ai mangé j’ai ri j’ai rêvé j’ai eu honte
J’ai vécu comme une ombre
Et pourtant j’ai su chanter le soleil
Le soleil entier celui qui respire
Dans chaque poitrine et dans tous les yeux
La goutte de candeur qui luit après les larmes.

VII

Nous jetons le fagot des ténèbres au feu
Nous brisons les serrures rouillées de l’injustice
Des hommes vont venir qui n’ont plus peur d’eux-mêmes
Car ils sont sûrs de tous les hommes
Car l’ennemi à figure d’homme disparaît.

Paul Éluard

da “Poésie et vérité”, 1942, Neuchâtel, Edition de la Baconnière, Collection des Cahiers du Rhône, 1943

La prima infanzia di Dominique – Paul Éluard

Sabine Weiss, Portrait of Anne-Marie Edvina, 1961

In quel tempo diviso tra l’uragano e la speranza
Cattivo tempo e primavera
Scrissi questo poemetto per conciliarmi
Con l’amore e con la vita.
I

La notte e la paura della notte tutti gli incendi della notte
Gli interdetti le zanne mostrate e le unghie sfoderate
I colori vaghi lo specchio che traspira il raso logoro
Lei non era nata

Il paesaggio si chiudeva come un sasso
Gli uomini si svegliavano stanchi smemorati
La nebbia dei loro sogni appestava l’aurora
Lei non era nata
Nessuno la conosceva

Pudore era ubriaco insozzato
La ricchezza adorava la stupidità
La bellezza la pietà abbeveravano sontuosi carnai
Lei non era nata
Nessuno la conosceva
I suoi occhi erano chiusi

La carne rauca tremava nel freddo silenzioso
E per prolungarsi il dolore ragionava
Dalle vene della notte si alzava un’onta insolubile
Lei non era nata
Nessuno la conosceva
I suoi occhi erano chiusi
Ma era già ritta contro la morte contro la notte.

II

Colei che si è data
Dolce come nell’erba
L’occhio umile di una sorgente

Colei che si è data
Piú sicura di un pensiero
Che lotta per esistere

Piú dura della vita
Intramezzata di speranza
Seme dei fiori avvizziti

Colei che si è data
Partendo da lei si dà tutto
Nella natura e nell’uomo

Si dà tutto in silenzio
A gesti a parole
Io disegno una donna

Una madre in accordo
Col gran giorno col passato
E fino al suo declino

Fino alla sua primavera
La vedo con i suoi difetti
Limpida come un campo di grano

Cancella il freddo
La giovinezza cresce sulla terra
Nessun fiore è senza radici

Il fanciullo è attaccato al seno di sua madre.

III

E la madre diventa interamente madre e senza vergogna
Simile a un anello
Ricolmo di carne
Simile a radura ideale all’oasi della foresta
Orizzonte di verde attorno a un sol frutto

Era un anello simile a un anello
Anello del cuore del corpo dell’occhio e della mano
Del ventre e della luna pallida di mezzoggiorno
Il sangue umano in lei colorava il mondo
Lei divenne prisma e la sua voce spazio

Ali distese screziarono le sue risa
Evidente ed esemplare risuonò in alto il suo canto
Lei diede subito un nome a ogni forma individuata
La curva delle braccia sviluppò la sua stretta
E la sua bocca infantile cancellò l’ignoranza

Con il dorso dritto e le anche come base
Seduta era saggia e parlava di costruire
Ritta in piedi sembrava annientare il vuoto
Le sue pupille lavate da una luce uniforme
Ripopolavano il deserto di insetti e di uccelli

Di insetti e di uccelli di scoiattoli e di scimmie
Di tutti i divertenti animali dell’aria
E di fanciulli turbolenti sfuggiti alla loro prigione
Ritta in piedi aveva l’aria di comporre i giochi
Che prendono per oro le meraviglie dei sensi

Disegnando su due bocche dei baci uguali
Accordava il suo cuore al tempo che gli avanza
Non voleva congiungere il vivere e il morire
Ripeteva vivere e infrangeva le barriere
Troppo rapida lei per non durare

Nella sua orbita brillavano il vomere dell’aratro
Il seme germogliato il mucchio del grano
Le sue nuvole notturne scoppiavano di tiepida pioggia
Un bambino si accendeva nel flusso del suo sangue
La sua trasparenza stabiliva la rassomiglianza.

IV

Già c’erano puliti d’aurora
Fiori per schiarirla
C’erano gemme sopra i rami
Le risa di nozze avevano varcato l’inverno

C’erano gli occhi di una fanciulla di vent’anni
Resa forte dai suoi sogni
E per domani un altro ragazzo altrettanto fiducioso

Il connubio era una ragione feconda
Ragione dei piú deboli e ragione di lotta
Per dominare contro la sfortuna

Bastava avanzare per vivere
Andare dritto davanti a sé
Verso tutto ciò che si ama

È lieve la strada davanti a sé
E s’apre su ogni sponda
Dietro non ci sono che catene

La carezza è come una rosa
Che rafforza la madreperla di un mezzoggiorno caldissimo
Presenza per sempre
Nulla si fa amore che non sia di futuro

La pianta lenta e cupa che conquista il giorno
Non ha altro culmine che l’estate
Nutrito dall’eternità dai semi senza posa
Che sublimano il giogo del tesoro della vita.

V

Terra c’è luce al suono di un giorno perfetto
E la passione assume un nuovo volto
Il ventre oscuro si schiude alla luce
La piana si spoglia un sentiero di foresta
Divide il suo fuso sotto i passi del sole

Un fanciullo è appena nato l’ombra di un uccello
Piú pesante di lui grava sulla terra enorme
Tranquillamente passa da un’ora all’altra
Il bel tempo lo compenetra con le sue campane d’oro
La brocca della luna gli rinfresca le midolla

Nel cavo della culla si raggomitola e addormenta
E nei pesanti solchi dei sogni confonde
Ciò che non può essere e ciò che sarà
Solo la sferza della fame lo sveglia e lo tormenta
Non ama la sua fame ma ama sua madre

Ama ed è nutrito dalla sua necessità
Vivere s’intende dappertutto allo stesso modo
Bisogna amare per vivere bisogna essere nutrito
Del desiderio e del piacere d’essere nutrito
Il fanciullo-riflesso anima un amore reciproco.

VI

Una perla un cumulo di umori congiunti
In un angolo cupo dove giace il fanciullo degli amori banali
Palma del futuro corona inincolpabile
Un bambino l’uscita del labirinto dell’età
Tenero passaggio del cielo verde tra il fogliame delle stelle

L’erba fugge sotto il vento la primavera si abbandona
E la morte mette i suoi brividi tra le mani dell’estate
Ma il bimbo appena nato nega il corso delle stagioni
Illumina tutto si trova alle porte della vita
Fuoco liquido diluvio del desiderio di vivere

Sempre lo stesso fanciullo immortale eterno
All’orizzonte dell’uomo stesso fulgore solare
E il muschio e la ruggine e il cuore secco d’inverno
S’inteneriscono fioriscono come una promessa
La giovinezza non ha una nascita
Ma è sempre presente in questo mondo.

VII

Un fanciullo piccolissimo un mattino eccezionale
Che fruttifica a fior di terra
Una cenere rosseggiante
Una domenica visibile
Un’onda ridotta a una goccia d’acqua

Una luce in pieno giorno.

VIII

I miei ricordi vanno al cuore lontano
Di ogni fanciullo inespressivo
Quasi gratuito quasi innocente

Un bimbo nei suoi primi giorni di vita
Fuscello d’erba appena disgiunto
Dalle grandi maree di primavera

Un bimbo grande come un bacio
Futuro per un bimbo futuro

Prima estasi del sole
Che brucia i ghiacci di rugiada
Prima sete illuminata

Un fanciullo immobile ma agile tanto
Che la natura prende il volo con lui

La terra è ai suoi piedi.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

∗∗∗

La Petite Enfance de Dominique

En ce temps divisé par l’orage et l’espoir
Mauvais temps et printemps
J’écrivis ce poème pour me concilier
Les formes de l’amour les formes de la vie.
I

La nuit et la peur de la nuit toutes les flammes de la nuit
Les interdits les crocs montrés et les griffes sorties
Les couleurs vagues la glace qui transpire le satin éraillé
Elle n’était pas née
Le paysage se fermait comme un caillou
Les hommes s’éveillaient fatigués sans mémoire
La fumée de leurs rêves empestait l’aurore
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait

Pudeur était soûle souillée
Richesse adorait la bêtise
La beauté la pitié abreuvaient des charniers somptueux
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait
Ses yeux étaient fermés

La chair rauque tremblait dans le froid silencieux
Et pour se prolonger le chagrin raisonnait
Des veines de la nuit surgissait une honte insoluble
Elle n’était pas née
Nul ne la connaissait
Ses yeux étaient fermés
Mais elle était déjà debout contre la mort contre la nuit.

II

Celle qui s’est donnée
Douce comme dans l’herbe
L’œil humble d’une source

Celle qui s’est donnée
Plus ferme que pensée
Luttant pour exister

Plus dure que la vie
Entremêlée d’espoir
Graine des fleurs fanées

Celle qui s’est donnée
À partir d’elle tout se donne
Dans la nature et dans l’homme

Tout se donne en silence
En gestes en paroles
Je dessine une femme

Une mère accordée
Au grand jour au passé
Et jusqu’à son déclin

Jusqu’à son renouveau
Je la vois avec ses défauts
Limpide comme un champ de blé

Elle efface le froid
Jeunesse monte dans la terre
Nulle fleur n’est sans racines

L’enfant tient au sein de sa mère.

III

Et la mère devint tout entière et sans honte
Pareille à un anneau
Comblé de chair
Pareille à la clairière idéale à l’oasis de la forêt
L’horizon de verdure entourant un seul fruit

Un anneau elle était pareille à un anneau
Anneau du cœur du corps de l’œil et de la main
Du ventre et de la lune pâle de midi
Le sang humain en elle colorait le monde
Elle devint le prisme et sa voix retentit

Des ailes étendues irisèrent ses rires
Son chant sonna très haut l’évidence et l’exemple
Elle nomma d’emblée toute forme avouée
La courbe de ses bras développa l’étreinte
Et sa bouche enfantine abolit l’ignorance

Le dos droit et les hanches figurant le socle
Assise elle était sage et parlait de construire
Debout elle semblait anéantir le vide
Ses prunelles lavées par la lumière unie
Repeuplaient le désert d’insectes et d’oiseaux

D’insectes et d’oiseaux d’écureuils et de singes
De tous les animaux aériens distrayants
Et d’enfants turbulents échappés à leur geôle
Debout elle avait l’air de composer les jeux
Qui prennent pour pain blanc la merveille des sens

Figurant sur deux bouches des baisers égaux
Elle accordait son cœur au temps qui se dépasse
Elle ne voulait pas joindre vivre et mourir
Elle répétait vivre et brisait les barrières
Elle était trop rapide pour ne pas durer

Dans son orbe brillaient le soc de la charrue
La semence levée et le bloc des moissons
Ses nuages de nuit éclataient de pluie tiède
Un enfant s’allumait dans le flot de son sang
Sa transparence établissait la ressemblance.

IV

Il y avait déjà lisses d’aurore
Des fleurs pour l’éclairer
Il y avait déjà des bourgeons sur les branches
Les rires de la noce avaient passé l’hiver

Il y avait les yeux d’une enfant de vingt ans
Robuste de ses rêves
Et pour demain un autre enfant aussi confiant.

Alliance était raison féconde
Et raison des moins forts et raison de lutter
Pour régner contre le malheur

Il suffit d’avancer pour vivre
D’aller droit devant soi
Vers tout ce que l’on aime

Devant soi la route est légère
Et s’ouvre sur tous les rivages
Derrière il n’y a que des chaînes

La caresse est comme une rose
Qui renforce la nacre d’un midi très chaud
Présence à tout jamais
Rien ne se fait amour qui ne soit d’avenir

La plante lente et sombre qui conquiert le jour
N’a pas d’autre sommet que celui de l’été
Nourri de l’infini des graines sans esprit
Qui subliment le joug du trésor de la vie.

V

Terre il fait clair au son d’un jour parfait
Et la passion prend un nouveau visage
Le ventre obscur s’entrouvre à la lumière
La plaine se dévêt un sentier de forêt
Dévide son fuseau sous les pas du soleil

Un enfant vient de naître l’ombre d’un oiseau
Pèse plus lourd que lui sur la terre géante
Il va d’une heure à l’autre avec tranquillité
Le beau temps le pénètre de ses cloches d’or
La cruche de la lune rafraîchit ses moelles

Au golfe du berceau il se noue et s’endort
Et dans les lourds sillons des rêves il confond
Ce qu’il ne peut pas être avec ce qu’il sera
Seul le fouet de la faim l’éveille et le tourmente
Il n’aime pas sa faim mais il aime sa mère

Il aime il est nourri de sa nécessité
Vivre s’entend partout de la même manière
Il faut aimer pour vivre il faut être nourri
De son désir et du plaisir d’être nourri
L’enfant-reflet anime un amour réciproque.

VI

Une perle un amas de sèves conjuguées
Dans un coin sombre où gît l’enfant d’amours banales
Palme de l’avenir couronne non coupable
Un enfant la sortie du dédale de l’âge
Tendre passage du ciel vert dans le feuillage des étoiles

L’herbe fuit sous le vent le printemps s’abandonne
Et dans les mains d’été la mort met ses frissons
Mais l’enfant nouveau-né nie le cours des saisons
Il rayonne il demeure aux portes de la vie
Feu liquide déluge du désir de vivre

Toujours le même enfant immortel éternel
À l’horizon de l’homme même éclat solaire
Et la mousse et la rouille et le cœur sec d’hiver
S’attendrissent fleurissent comme une promesse
Jeunesse ne vient pas au monde elle est constamment de ce monde.

VII

Un tout petit enfant un matin d’exception
Fructifiant au ras du sol
Une cendre rougeoyant
Un dimanche visible
Une vague réduite à une goutte d’eau

Une lampe en plein jour.

VIII

Mes souvenirs vont au cœur loin
De chaque enfant inexpressif
Presque gratuit presque innocent

Un enfant à ses premiers jours
Brin d’herbe à peine séparé
Des grandes marées du printemps

Un enfant grand comme un baiser
Futur pour un enfant futur

Première extase du soleil
Brûlant les glaces de rosée
Première soif illuminée

Un enfant immobile et pourtant si agile
Que la nature prend son essor avec lui

La terre est à ses pieds.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963

T’amo – Paul Éluard

Yves Pires, Le baiser, 2012

 

T’amo per tutte le donne che non ho conosciuto
T’amo per tutte le stagioni che non ho vissuto
Per l’odore d’altomare e l’odore del pane fresco
Per la neve che si scioglie per i primi fiori
Per gli animali puri che l’uomo non spaventa
T’amo per amare
T’amo per tutte le donne che non amo

Sei tu stessa a riflettermi io mi vedo cosí poco
Senza di te non vedo che un deserto
Tra il passato e il presente
Ci sono state tutte queste morti superate senza far rumore
Non ho potuto rompere il muro del mio specchio
Ho dovuto imparare parola per parola la vita
Come si dimentica

T’amo per la tua saggezza che non è la mia
Per la salute
T’amo contro tutto quello che ci illude
Per questo cuore immortale che io non posseggo
Tu credi di essere il dubbio e non sei che ragione
Tu sei il sole forte che mi inebria
Quando sono sicuro di me.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

***

Je t’aime

Je t’aime pour toutes les femmes que je n’ai pas connues
Je t’aime pour tous les temps où je n’ai pas vécu
Pour l’odeur du grand large et l’odeur du pain chaud
Pour la neige qui fond pour les premières fleurs
Pour les animaux purs que l’homme n’effraie pas
Je t’aime pour aimer
Je t’aime pour toutes les femmes que je n’aime pas

Qui me reflète sinon toi-même je me vois si peu
Sans toi je ne vois rien qu’une étendue déserte
Entre autrefois et aujourd’hui
Il y a eu toutes ces morts que j’ai franchies sur de la paille
Je n’ai pas pu percer le mur de mon miroir
Il m’a fallu apprendre mot par mot la vie
Comme on oublie

Je t’aime pour ta sagesse qui n’est pas la mienne
Pour la santé
Je t’aime contre tout ce qui n’est qu’illusion
Pour ce cœur immortel que je ne détiens pas
Tu crois être le doute et tu n’es que raison
Tu es le grand soleil qui me monte à la tête
Quand je suis sûr de moi.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963

La mia morta vivente – Paul Éluard

Foto di Katia Chausheva

 

Nel mio dolore nulla è in movimento
Di quello che io stesso sono stato
Attendo nessuno verrà
Né di giorno né di notte né mai piú

I miei occhi si sono separati dai tuoi occhi
Perdono la fiducia perdono la luce
La mia bocca si è separata dalla tua bocca
La mia bocca si è separata dal piacere
E dal senso dell’amore e dal senso della vita
Le mie mani si sono separate dalle tue mani
Le mie mani lasciano sfuggire tutto
I miei piedi si sono separati dai tuoi piedi
Non avanzeranno piú non ci sono piú strade
Non conosceranno piú né il peso né il riposo
Mi è concesso di veder finire la mia vita
Con la tua
La mia vita è in tuo potere
Che ho creduto infinita

E l’avvenire la mia sola speranza è il mio sepolcro
Identico al tuo circondato da un mondo indifferente

Ero cosí vicino a te che ho freddo vicino agli altri.

Paul Éluard

(Traduzione di Vincenzo Accame)

da “Paul Éluard, Ultime poesie d’amore”, Passigli Poesia, 1996

∗∗∗

Ma morte vivante

Dans mon chagrin rien n’est en mouvement
J’attends personne ne viendra
Ni de jour ni de nuit
Ni jamais plus de ce qui fut moi-même

Mes yeux se sont séparés de tes yeux
Ils perdent leur confiance ils perdent leur lumière
Ma bouche s’est séparée de ta bouche
Ma bouche s’est séparée du plaisir
Et du sens de l’amour et du sens de la vie
Mes mains se sont séparées de tes mains
Mes mains laissent tout échapper
Mes pieds se sont séparés de tes pieds
Ils n’avanceront plus il n’y a plus de routes
Ils ne connaîtront plus mon poids ni le repos
Il m’est donné de voir ma vie finir
Avec la tienne
Ma vie en ton pouvoir
Que j’ai crue infinie

Et l’avenir mon seul espoir c’est mon tombeau
Pareil au tien cerné d’un monde indifférent

J’étais si près de toi que j’ai froid près des autres.

Paul Éluard

da “Le Phénix”, 1951, in “Derniers poèmes d’amour”, Seghers, Paris, 1963

Quei tuoi capelli d’arance nel vuoto del mondo – Paul Éluard

Jeanne Hébuterne

 

Quei tuoi capelli d’arance nel vuoto del mondo,
Nel vuoto dei vetri grevi di silenzio e
D’ombra ove con nude mani cerco ogni tuo riflesso,

Chimerica è la forma del tuo cuore
E al mio desiderio perduto il tuo amore somiglia.
O sospiri di ambra, sogni, sguardi.

Ma non sempre sei stata con me, tu. La memoria
M’è oscurata ancora d’averti vista giungere
E sparire. Ha parole il tempo, come l’amore.

Paul Éluard

(Traduzione di Franco Fortini)

da “Capitale de la douleur”, 1926, in “Paul Éluard, Poesie”, “I Supercoralli” Einaudi, 1955

***

Ta chevelure d’oranges dans le vide du monde

Ta chevelure d’oranges dans le vide du monde
Dans le vide des vitres lourdes de silence
Et d’ombre où mes mains nues cherchent tous tes reflets.

La forme de ton cœur est chimérique
Et ton amour ressemble à mon désir perdu.
Ô soupirs d’ambre, rêves, regards.

Mais tu n’as pas toujours été avec moi. Ma mémoire
Est encore obscurcie de t’avoir vu venir
Et partir. Le temps se sert de mots comme l’amour.

Paul Éluard

da “Capitale de la douleur”, Librairie Gallimard, Paris, 1926