«Verso sera» – Chandra Livia Candiani

 

Verso sera
i morti siedono sui fili della luce
come gocce di pioggia
che è già caduta.

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015

«Bevendo il tè con i morti» – Chandra Livia Candiani

Foto di Olive Cotton, 1935

 

Bevendo il tè con i morti
c’è sempre uno
che sottilmente tace
non un silenzio esangue
ma un narrare interdetto
che non vuole
nell’ascolto pace.

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015

Il cuscino – Chandra Livia Candiani

Foto di Susan De Witt

 

La bambina non ha capelli
ma piume non è
uccello se non di neve
scioglie piano
pensieri imprestati
dalla veglia.
Dormo spalancato
forno bianco
per soffice cedere
al suo sonno
che raccoglie luce.

Chandra Livia Candiani

da “Fatti vivo”, 2006-2016, Einaudi, Torino, 2017

«Mi insegno» – Chandra Livia Candiani

Donata Wenders, Untitled I, 2002

 

Mi insegno
a non proferire urlo
mentre mi cadono addosso
secchi di notte
mentre mi inchiostro
nera sotto lenzuola
pallide e fremo d’alba
mi insegno
che non si trema e non si piange
neanche al chiuso di una faccia
e non ci si denuda come albero
appena soffia il gelo
di un assolo adulto
mi insegno nascoste acrobazie
d’ascolto, tane e cunicoli
sottopelle mentre l’erudita
superbia dell’ovest mi conta
le ciglia perdute per delicatezza.
Mi insegno a parlare molte lingue
sotto la fitta sassaiola
dei silenzi armati,
mi ingegno a non contare
niente, a declinare gli urli
come verbi senza transito,
ad addormentarmi coperta di neve
contro la porta della ragione
e dell’accordo, e dormendo sfioro
la foglia che ieri sbordando leggera
dalla traiettoria della sua caduta
voleva dire: «Niente».

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015

Mappa per pregare – Chandra Livia Candiani

Matteo Massagrande, Finestra sul mare, 2016

 

Quando vuoi pregare,
quando vuoi sapere
quel che sa la poesia,
sporgiti,
e senza esitazione
cerca il gesto piú piccolo che hai,
piegalo all’infinito,
piegalo fino a terra,
al suo batticuore.

Quando hai fame di luce
e l’amore è cinghia serrata
e il cuore stracolmo
di voli che allacciano troppo
al leggero del cielo,
istruisciti alla pura verità,
quella che non vuoi
e nemmeno immagini,
quella «polvere sul pavimento
e pane sulla tavola»,
ginocchia sbucciate
e pane che parla,
dice la fame giusta.

Offriti al paesaggio grande,
dalla finestra
o in piena aria aperta,
chinati a portare il mondo
sulla schiena nelle ossa
e poi lascialo
scivolare sbocconcellarsi
ai piedi della terra,
ascolta il suo silenzio
che risponde:
«Qui neve su albero.
Qui foglia piccola su pianura
sconfinata. Ghiaccio
esatto. Qui apprendista della luna
raccoglie luce».

Ci vuole incrollabile
ardente pazienza
e vicinanza al pavimento
fronte che lo fronteggi
e dica l’amore pesante,
la fame di giusti mietitori,
di macina.
Per cercare un’altra strada
al desiderio che ti inaridisce
ci vuole furore,
farsi creatura randagia
nel disastro delle falci,
che ti cali il silenzio
sulla testa, l’affamato
sapere che tace
e fa foreste delle ferite.

Se vuoi dare la forza,
raccogliti in un balzo,
uno slancio senza mondo,
polvere da spazzare con devozione,
piccoli scricchiolii di ossa
che parlano alle tue prossime ceneri:
se vuoi essere adesso,
datti la forza,
senza salvare,
senza costringere l’amore
in relazione, lascialo soffiare,
mietere. È un grande paesaggio
il mondo,
ogni animale
lo conserva, gli dà sguardo.

Non serve schiodare il cielo
a caccia di segreti,
sei tu
che di notte scegli,
non guardi la luce minuscola
ma il buio tutto
che le preme attorno.
Visto che non puoi
essere qui, allora ama altrove,
in rettilinea sequenza,
allora prega.

Chandra Livia Candiani

da “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore”, Torino, Einaudi, 2014